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Nordsjørittet 2011 - Sandnes [NOR]

11/6/2011

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Nel profondo nord dell'Europa, dove i lunghi, bui e freddi inverni la fanno da padrone, e dove d'estate la temperatura difficilmente sale sopra i venti gradi, la cultura sportiva e la pratica delle attività outdoor raggiungono livelli inimmaginabili: eventi sportivi con migliaia di partecipanti, siano essi ciclisti, runners o sciatori, sono all'ordine del giorno e la bicicletta - di qualsiasi tipo essa sia - è vista come un irrinunciabile mezzo di trasporto comodo e veloce.

La Norvegia, in particolare, può vantare un curioso primato: sul suo territorio si tengono i due più affollati eventi mountain bike al mondo. Il primo, poco a nord di Oslo, è la famosa Birkebeinerrittet (versione estiva della tradizionale gara sugli sci da fondo) e vede oltre 14000 ciclisti pedalare a fine agosto da Rena a Lillehammer. La seconda invece è la Nordsjørittet che si svolge a ovest lungo la costa del Mare del Nord; qui i partecipanti sono 'solo' 12000 e gareggiano da Egersund a Sandnes, poco a sud della città di Stavanger.

La Nordsjørittet si è svolta lo scorso Sabato 11 Giugno: noi c'eravamo, ed ecco com'è andata.

Nordsjørittet, una parola a prima vista impronunciabile, significa letteralmente 'Gara del Mare del Nord' ed è un avvenimento molto sentito da queste parti: giunto ormai alla quattordicesima edizione, ha visto il numero di partenti crescere vertiginosamente al ritmo di quasi 2000 ogni anno attratti dal fascino dell'evento e dalla facilità del percorso, riassunte molto bene nello slogan 'For Folk Flest' (per la maggior parte delle persone). Chiunque, con un minimo di pratica e con un mezzo in buono stato, può partecipare e vivere l'emozione di ripercorrere l'antica Via del Re, usata nei secoli per il trasporto delle merci lungo la costa occidentale da Kristiansand a Bergen.

La gara si svolge nella contea di Rogaland, l'area più ricca della Norvegia che deve la propria fortuna al petrolio, estratto in grandi quantità nelle numerose piattaforme nel Mare del Nord. Il capoluogo della regione, Stavanger, è considerato non a caso la capitale europea dell'oro nero con la presenza di tutte le maggiori compagnie petrolifere mondiali. Importanti sono anche le attività di cantieristica navale e la pesca, senza dimenticare il turismo attratto dalle bellezze della città vecchia e dalle crociere nei fiordi. L'area attorno a Stavanger è molto famosa per queste bellezze naturali: in circa un'ora d'auto si giunge al Lysefjord e alle sue meraviglie, come la sporgenza rocciosa del Preikestolen ('Pulpito') a strapiombo sul mare (600 metri più in basso), o l'enorme sasso del Kjerag incastrato tra due pareti verticali e sospeso nel vuoto.

Tornando all'evento sportivo, esso è di proprietà di cinque club ciclistici locali che affidano l'organizzazione ad uno staff preparato e professionale capitanato da due donne, Eli Orre e Hilde Brueland Sand, aiutate da oltre 500 volontari per i giorni di gara. Importanti sostenitrici e testimonial dell'evento sono le due più grandi atlete norvegesi, Gunn Rita Dahle e Lene Byberg, entrambe originarie e residenti da queste parti.

Curiosa è la posizione della sede logistica: dopo anni all'interno di un negozio di biciclette locale, da questa edizione si è spostata nella nuova e avvenieristica scuola superiore di Sandnes, operando in perfetta sintonia con le esigenze di studenti e attività scolastiche senza recare disagio alcuno. Nonostante l'elevatissimo numero di iscritti, le operazioni pre-gara si sono svolte con massimo ordine e velocità sin dal giovedì.

Piuttosto elevata la quota di iscrizione, 550 Corone (circa 70€) a cui andavano aggiunte altre 200 Corone (25€) per l'eventuale licenza giornaliera, ma comunque in linea con i prezzi e il tenore di vita della ricca Norvegia. A differenza di altri paesi europei, qui non esiste il classico 'pacco gara' ma era possibile ottenere una maglia tecnica aderendo a uno degli eventi benefici collegati all'evento. Era poi allestito un piccolo expo-fiera mercato con prezzi scontati e vantaggiosi, anche rispetto a quelli italiani.

La gara si svolge su di un tracciato di 91 chilometri con poco meno di mille metri di dislivello, percorsi in direzione nord con partenza dal porto di Egersund e arrivo nella baia di Sandnes. L'organizzazione aveva previsto speciali pacchetti per il trasporto degli atleti con autobus e treni, mentre le biciclette venivano caricate su dei camion (sono stati utilizzati ben sette TIR) e recapitate a Egersund già dal venerdì. Le partenze, organizzate in maniera esemplare con ben 38 griglie, si sono svolte durante tutto l'arco della giornata dalle 7.30 alle 15.00, agevolando così un afflusso di persone, auto e mezzi in zona partenza, senza ricaduta alcuna sul traffico locale.

Il percorso, pur risultando molto facile, veloce e scorrevole, prevedeva moltissime diverse ambientazioni e scenari. Subito dopo l'uscita dalla città di Egersund iniziavano gli sterrati, compatti e filanti, che per oltre venti chilometri di saliscendi a tratti ripidi guidavano i partecipanti in una zona isolata fatta di rocce e piccole alture, baie e insenature, gole e boschi, passando continuamente dall'acqua del fiordo a quella dei laghi. L'ambientazione selvaggia di questa zona, che regalava a ogni curva un paesaggio diverso, è sicuramente la parte più interessante del percorso. Una veloce discesa anticipava l'attraversamento di alcune serre, dopo le quali il paesaggio cambiava completamente diventando una campagna verde e ondulata.

Il tracciato si dirigeva allora verso il Mare del Nord fino a lambirne le acque, attraversando un campeggio sede del primo ristoro, e tornando poi a salire verso l'entroterra con lunghi settori asfaltati; superati dei pascoli e un tratturo erboso, il percorso entrava in un bosco fangoso dove la quasi totalità dei biker era costretta a mettere il piede a terra. Una breve discesa tecnica anticipava il secondo ristoro da cui ricominciavano le strade veloci, prima su ghiaia poi su asfalto che riportavano verso il mare.

Un lungo tratto lungo la costa, sferzato dal vento laterale, conduceva al terzo ristoro e al successivo ponte sospeso e traballante di Hå Gamle Prestegaard, un po' il passaggio simbolo della corsa. Da qui all'arrivo (circa 30 chilometri) la corsa si faceva velocissima correndo lunghi settori asfaltati pianeggianti intervallati da qualche passaggio su facile sterrato, prima sulla ripida erta di Tinghaugbakken (ultimo ristoro) e poi nel costeggiare alcuni laghi nella parte finale del percorso.

All'arrivo nella baia di Sandnes gli atleti ricevevano la medaglia di finisher, trovando poi un abbondante ristoro finale e gli stand degli sponsor. Il grande palco dove si alternavano concerti, interviste e spettacoli, e il maxischermo con le immagini in diretta (la gara era trasmessa dalla TV locale e in streaming su internet) catalizzavano l'attenzione del folto pubblico presente, mentre gli yacht ormeggiati in porto erano teatro di esclusive feste private. Numerosi anche i party delle squadre organizzati nelle tensostrutture lungo il molo.

Degli oltre 12000 iscritti solo una piccola parte (circa 2000) provenivano da fuori regione, a testimonianza di quanto questo evento sia un happening molto sentito a livello locale: è vissuto infatti come una sorta di campionato tra le varie aziende dei dintorni, che schierano al via i propri team 'dopolavoristici' che possono arrivare a contare fino a trecento unità. Relativamente bassa invece la presenza straniera con circa cento atleti esteri al via (quasi tutti lavoratori nelle multinazionali del petrolio a Stavanger) mentre impressionante era la partecipazione femminile che superava il 22%.

Le tipologie di bicicletta viste in gara erano le più svariate: dalla mountain bike top di gamma a quella da trekking, da bici ibride a ciclocross, fino a quelli noi definiremmo 'cancelli' e/o catorci. I norvegesi tuttavia non sembravano darci troppa importanza, in fondo sono i mezzi di trasporto che usano quotidianamente per andare al lavoro o a fare la spesa.

Ciò che più stupisce alla Nordsjørittet è però la partecipazione festosa e appassionata del pubblico locale: migliaia e migliaia erano gli spettatori a bordo strada che incitavano i concorrenti al grido di 'Heia! Heia!', suonando trombe, fischietti e campanacci e sventolando l'immancabile bandiera norvegese, segno di quanto qui amino la propria patria.

In uno dei punti chiave del percorso, il muro di Tinghaugbakken, due ragazzi avevano addirittura organizzato una festa con tanto di musica e tribuna, catalizzando l'attenzione non solo degli abitanti ma anche di TV e giornali accorsi sul posto per documentare le due ali di folla che assistevano al passaggio della corsa.

Tirando le somme, la tipologia della gara è sicuramente diversa da quelle alle quali siamo abituati in Italia: pur garantendo un'elevata qualità dei servizi fondamentali (quali ristori e sicurezza) con un enorme spiegamento di uomini, mezzi e risorse, Nordsjørittet vuole essere prima di tutto una grande festa, un evento che coinvolga sempre più persone anno dopo anno, incentivando l'aggregazione e l'amicizia tra le persone.

Per un biker italiano questo evento è anche e soprattutto motivo per scoprire l'affascinante Norvegia. L'aeroporto di Stavanger, raggiungibile dall'Italia via Amsterdam, si trova a soli dieci chilometri da Sandnes e un efficiente servizio ferroviario collega tutte le principali località sulla costa e tutti (ma proprio tutti!) parlano inglese in maniera perfetta. A giugno il meteo è solitamente benevolo: il vento è una costante ma le temperature si aggirano tra i 15 e i 20 gradi; le piogge non sono frequenti ma possono abbassare sensibilmente la temperatura come nel 2010, quando la gara si svolse in un clima quasi invernale. In caso di necessità esiste la possibilità di noleggiare delle biciclette presso il Racing Depot o lo Spinn Shop di Sandnes, accordandosi ovviamente con dovuto anticipo.

In conclusione, Nordsjørittet è un'esperienza da provare almeno una volta nella vita. E' un'occasione per vivere la bicicletta in un modo radicalmente diverso a quello al quale siamo abituati in Italia: l'educazione civica, il rispetto verso i ciclisti, la passione per lo sport e il calore del popolo norvegese fanno letteralmente impallidire le abitudini nostrane, sportive e non. E metterebbero voglia di non tornare più a casa...

Stefano De Marchi - www.solobike.it

Sito internet: www.nordsjorittet.no

Fotogallery: https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/NordsjRittet2011

Video: http://www.vimeo.com/25052794

Traccia GPS: http://connect.garmin.com/activity/92163513

Informazioni turistiche: www.regionstavanger.com

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Craft Bike Transgermany 2011

5/6/2011

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Molti biker vedono nelle gare a tappe che sempre più vanno diffondendosi un qualcosa di difficile da concepire, da organizzare, da gestire e da preparare. Tuttavia, una volta provata l'esperienza di una corsa di più giorni, ci si rende subito conto che le cose sono in realtà molto meno complicate di quanto possano sembrare inizialmente. Il vivere in funzione della bicicletta, con i riti quotidiani che la corsa impone, regala un senso di libertà e spensieratezza difficilmente replicabili nelle corse di un giorno, e il condividere con molte altre persone le stesse fatiche e difficoltà, luoghi e panorami, piaceri e divertimenti, regala un senso di appartenenza al 'gruppo' che nessuna corsa di un giorno saprà mai offrire.
Tutto questo, ovviamente, a patto di scegliere con attenzione l'evento che meglio si addice alle proprie caratteristiche ed esigenze.

La Craft Bike Transgermany, andata in scena dall'1 al 4 Giugno scorsi, è senza dubbio la corsa a tappe più versatile e adatta a ogni tipologia di biker, dall'agonista al semplice escursionista, senza raggiungere livelli estremi di difficoltà. L'evento, un vero e proprio happening internazionale con oltre 1200 iscritti provenienti da oltre 30 nazioni, ha il suo principale punto di forza nel percorso veloce e scorrevole, per nulla tecnico, in linea con gli standard tedeschi. L'organizzazione di Bike-Magazin e Plan-B, semplice ma efficace, è la stessa della più blasonata Transalp di cui la Transgermany può considerarsi a tutti gli effetti la 'sorella minore'.

Quattro tappe in tutto, dalle colline di Sonthofen alle montagne austriache di Achensee Maurach passando per Pfronten, Lermoos e Garmisch Partenkirchen, per un totale di circa 350 chilometri e 8500 metri di dislivello.

La prima tappa da Sonthofen a Pfronten, sebbene fosse la più corta (68 chilometri), era sicuramente la più impegnativa con i suoi oltre 2500 metri di dislivello divisi su quattro salite principali. Le condizioni meteo hanno poi reso ancor più difficile la giornata, caratterizzata da nebbia, pioggia freddo fin quasi all'arrivo.

La seconda frazione, con sconfinamento in Austria a Lermoos, presentava un percorso vario e completo con salite pedalabili e lunghi settori di trasferimento alternati ad alcuni passaggi tecnici; complice il meteo finalmente favorevole la tappa ha dato modo di ammirare i verdi boschi alpini e le prime vette rocciose avvicinandosi alle falde dello Zugspitze, prima di tuffarsi nei funambolici chilometri finali sulle piste da freeride del comprensorio.

Lo Zugspitze è stato il teatro della terza tappa che, dopo due dure salite attorno a Lermoos, prevedeva un lunghissimo falsopiano a scendere di oltre 40 chilometri, prima nella spettacolare Valle di Gais e poi nella Leutaschtal, lambendo Mittenwald (partenza della Transalp 2011) ed effettuando così il periplo della montagna più alta di Germania. In vista della città di Garmisch la tappa veniva neutralizzata per motivi di sicurezza, percorrendo così il tratto cittadino della tappa a velocità ridotta. Lo spettacolo all'arrivo era comunque garantito da uno speciale 'sprint' lungo i 300 metri del rettilineo finale, cronometrati a stilare una speciale classifica.

L'ultima tappa, che da Garmisch riportava in Austria a Maurach, ha avuto dei risvolti senz'altro strani ed originali: un passaggio a livello posto a cinque chilometri dal via ha obbligato gli organizzatori a prevedere una partenza a velocità controllata che ha causato non poche difficoltà nelle retrovie, dove però non si sono registrate lamentele da parte degli atleti; chi preferiva viaggiare sulle più comode e meno affollate ciclabili laterali si è ben presto ritrovato a pedalare direttamente in testa al gruppo al fianco di mostri sacri come Sauser e Lakata. Il fatidico passaggio a livello si è chiuso esattamente all'arrivo del gruppo, e la cosa ha suscitato parecchio divertimento tra gli atleti.

La corsa ha poi preso il via e si è svolta regolare fino al trentesimo chilometro, dove una seconda 'stranezza' dettata da motivi di sicurezza ha caratterizzato questa tappa: il tratto asfaltato lungo la scenografica Deutsche Alpenstrasse, aperta al traffico, è stato neutralizzato per circa 30 chilometri. La classifica è stata poi ottenuta dalla somma dei tempi dei due settori cronometrati a inizio e fine tappa. Una soluzione che non ha tuttavia creato grossi problemi ai partecipanti che, anzi, ne hanno approfittato per procedere a velocità regolare ammirando le vette del Karwendel e le limpide acque del lago Sylvenstein.

Al di là di questi problemi legati al voler limitare al massimo i pericoli, peraltro gestiti in maniera ottimale, nel complesso la Transgermany 2011 può considerarsi un evento riuscito quasi alla perfezione: sebbene qualche piccolo errore ci sia stato (come alcuni stretti passaggi nelle fasi iniziali di tappa hanno causato ingorghi e lunghe attese) l'organizzazione ha saputo garantire una altissima qualità dell'evento sotto tutti i punti di vista. Il pronto soccorso, in particolare, era garantito dai Moto-Docs del Rescue Team, veri e propri angeli custodi sempre pronti a intervenire negli incidenti più gravi, se necessario anche bloccando la corsa per facilitare l'intervento dell'elicottero.

La bellezza dei luoghi attraversati, il calore delle città ospitanti, l'educazione e fair-play di tutti i partecipanti completano il quadro di un'esperienza sicuramente da ripetere. Un'esperienza che si discosta molto dagli standard italiani ai quali siamo abituati, troppe volte improvvisati e poco professionali, troppo votati al risultato del singolo rispetto al divertimento di tutti.

Il modo in cui da queste parti viene vista la mountain bike - e la bicicletta in generale - è un qualcosa di inconcepibile agli occhi di un italiano: il pedalare per il solo piacere che questo sport può dare, la massiccia presenza di giovani e donne, il rispetto e riconoscenza reciproca tra organizzatori e partecipanti, l'interesse attivo degli sponsor che non solo finanziano ma partecipano e collaborano in prima persona alla buona riuscita dell'evento, l'attenzione dei media generalisti, il tifo lungo le strade per il primo come per l'ultimo. E addirittura le scuole, dove per un giorno non si fa lezione ma si va fuori in strada a vedere passare i ciclisti, neanche passasse il Giro d'Italia.

Dopo aver visto e vissuto tutto questo, è impossibile non chiedersi come mai in Italia - il paese europeo che forse più si addice alla mountain bike per clima e territorio - manchi ancora un appuntamento 'multi-stage' di rilievo mondiale che possa competere e confrontarsi con eventi del calibro della Transgermany.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

Sito internet: www.bike-transgermany.de
Info in italiano: www.bikeandmore.it

Fotogallery:
https://picasaweb.google.com/BIKE.Transgermany
http://www.sportograf.com/bestof/964/

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Un sogno chiamato Transalp

24/7/2010

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Da oltre vent’anni, da quando in pratica esiste la mountain bike, ogni estate le Alpi diventano il teatro di un fenomeno tanto estremo quanto attraente: sono centinaia, se non addirittura migliaia, i biker tedeschi che calano dai valichi di frontiera in sella alle loro biciclette con destinazione Lago di Garda. L’Alpencross, così si chiamava all’inizio la traversata delle Alpi, divenne ben presto un’esperienza talmente avvincente che verso la fine degli anni novanta nacque quella che oggi è universalmente riconosciuta come la corsa più affascinante e prestigiosa al mondo: la Transalp.

Non esiste infatti corsa più globalizzata sulla faccia della terra: al via seicento coppie di bikers provenienti da trentatré nazioni di tutti e cinque i continenti, ognuno determinato a raggiungere le sponde del Lago di Garda dopo aver pedalato per oltre seicento chilometri e ventimila metri di dislivello, in otto tappe attraverso Germania, Austria, Svizzera e Italia.

Perché tutto questo? Cosa spinge appassionati da ogni parte del mondo a voler far parte di questo caravanserraglio cosmopolita e multiculturale? L’unico modo per capirlo, in realtà, è esserci: proviamo allora a scoprirlo.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
L’appuntamento è a Fussen, Germania meridionale: una terra dove boschi, laghi e castelli fanno da spartiacque tra la pianura e le Alpi. Al primo impatto la Transalp non pare avere nulla di così speciale: sembra una gara come tante altre, con i suoi pregi e i suoi difetti, che offre tutto lo stretto necessario (pasta party, ristori, trasporto bagagli, sicurezza) facendo però pagare a caro prezzo ogni extra come tracce GPS, area camper, colazione, posto letto nel Transalp-Camp. Un’organizzazione del genere in Italia verrebbe probabilmente criticata, eppure qui i padroni di casa e gli altri stranieri non sembrano farci caso più di tanto: sanno bene che l’importante, alla Transalp, è ben altro.

La partenza è degna di un grande evento, con i biker che sfilano tra le vie cittadine circondati da due ali di folla: la prima destinazione è Imst, in Austria, toccando i celebri manieri di Re Ludwig, le falde dello Zugspitze e un primo assaggio di montagna sul Marienbergjoch. E’ la prima tappa e ogni cosa è nuova ed inedita: dalle lingue ufficiali, rigorosamente il tedesco e l’inglese, alle ragazze, presenti in percentuale sorprendentemente elevata, fino alla perfetta simbiosi con il proprio compagno di squadra, quanto mai fondamentale. Stupisce poi la calma e la tranquillità con cui gran parte del gruppo affronta le facili e veloci sezioni della prima frazione. Impariamo così la prima regola: la Transalp si “costruisce” una tappa alla volta con intelligenza tattica e lucidità mentale; basta anche il minimo incidente, una semplice crisi o una banale caduta per vanificare tutto il tempo e il denaro investiti in questa avventura.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
Al secondo giorno le cose si fanno più difficili: raggiungere Ischgl dopo oltre tremila metri di dislivello e tre salite una peggio dell’altra è già difficile di per sé, figuriamoci nell’economia di una corsa a tappe. Eppure anche oggi, nel colorato gruppo di Transalper, l’atmosfera è tutt’altro che tesa: in tutte e quattro le griglie di partenza, dai campioni della prima, passando per i fenomeni e gli umani, fino ai “desperados” dell’ultima, il clima è disteso e rilassato. In fondo, finalmente lo capiamo, tutta questa gente non è qui in gara ma in vacanza: una vacanza originale, attiva e speciale da gustarsi al meglio giorno dopo giorno, senza fretta né pensieri, con il solo obiettivo di raggiungere l’arrivo e dedicarsi al relax. Tra gli accoglienti stand degli sponsor e le piscine delle sedi di tappa le occasioni non mancano di certo.

La bellezza della Transalp non arriva però subito: bisogna infatti aspettare almeno la terza tappa, quella che porta la carovana in Svizzera attraverso le montagne del Silvretta. E’ proprio a cavallo tra Tirolo ed Engadina, ai 2737 metri dell’Idjoch, che le Alpi escono allo scoperto: dopo i grandi boschi e le monotone vallate austriache ha finalmente inizio la montagna vera. Quella che ti toglie il fiato per l’alta quota. Quella fatta di cime, pietre, nevai e ghiacciai. Quella da ammirare a 360 gradi.
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L’Idjoch è però solamente l’inizio: fino all’ultima tappa si susseguiranno infatti luoghi, scorci e paesaggi dalla bellezza sublime. Come il selvaggio Parco Naturale Svizzero, i sentieri della Val Mora e i laghi del Livignasco, tutti teatro della quarta tappa che segna anche l’ingresso in territorio italiano. A dir la verità rimpatriamo non senza un pizzico di tristezza: l’impressione è che nei territori di lingua tedesca la Transalp (e la mountain bike in generale) vengano vissute come un fenomeno di massa, una moda, uno sport da seguire e praticare per relax e divertimento. Non importa l’allenamento, tantomeno l’attrezzatura o l’abbigliamento: pedalare è uno stile di vita. Ed è proprio grazie a questa forte cultura outdoor se a ogni paese, a ogni incrocio, a ogni villaggio attraversato l’atmosfera di festa ed entusiasmo è tale tanto per i primi quanto per gli ultimi.

Questa tendenza bike-oriented caratterizza fortemente anche la giornata-tipo alla Transalp: la chiamano “Transalp-Life” ed è nient’altro che il vivere in funzione della bicicletta dall’alba al tramonto, assieme a tante altre persone accomunate dalla stessa passione. Sveglia, colazione, tappa. Lavaggio bici, doccia, lavaggio indumenti. Riposo, pasta party, sonno. Sveglia, colazione… e così via per una settimana, senza pensare ad altro, magari incappando pure in qualche esperienza originale come cenare in un rifugio a duemila metri di quota o fare il bucato al fiume come una volta. Senza contare poi i bellissimi e divertenti momenti del pasta party, dove tra premiazioni, musica, foto e video della tappa del giorno e briefing di quella dell’indomani, l’aggregazione tra i partecipanti raggiunge l’apice.
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Aggregazione che si fa tangibile quando, al giro di boa di Livigno, la corsa viene funestata da un evento luttuoso: all’alba un biker tedesco viene trovato deceduto nella sua camera d’albergo. La notizia, comunicata pochi minuti prima del via della tappa, fa piombare nello sgomento tutta la carovana e l’episodio, per quanto drammatico, ci fa capire cosa significhi essere parte della Transalp: a mancare non è stato un biker qualsiasi ma un compagno di viaggio.

Lo spirito di condivisione che accomuna tutti i partecipanti, forti e meno forti, dal pre-gara fino al pasta party serale, è infatti la vera magia della Transalp: l’affrontare una delle avventure più significative al mondo insieme a tante altre persone, attraverso le stesse fatiche, sofferenze, emozioni e difficoltà, vivendo per giorni fianco a fianco con biker di tutto il mondo, crea un fortissimo senso di appartenenza e amicizia. Ne è testimonianza anche l’applauso caloroso e sincero che, a tarda sera, viene rivolto dai biker arrivati già da ore a coloro i quali tagliano il traguardo di Ponte di Legno tra le tenebre, illuminati solo dai fari delle moto, dopo aver impiegato dodici ore per percorrere oltre cento chilometri, 3400 metri di dislivello, quattro salite di cui una chiamata Mortirolo e decine di chilometri di discesa proibitiva.

Sono proprio questi biker, i “desperados” dell’ultima griglia, a rappresentare nel migliore dei modi il “vero” spirito Transalp: a vederli non gli si darebbe una sola possibilità di finire anche una sola tappa, eppure a gente come il “ciccio” tedesco o i vecchietti costaricani non importa quanto tempo ci si impieghi, non importa quanta fatica si faccia. L’unico obiettivo è arrivare al traguardo, a ogni costo e con ogni mezzo a disposizione. C’è chi si fa trainare dal proprio compagno, chi si fa chilometri a piedi e chi si fa medicare dai dottori motociclisti, veri e propri angeli custodi che suturano ferite e dispensano flebo e medicinali direttamente sui sentieri di gara: è solo grazie al loro operato se in tanti possono presentarsi al via ogni mattina e proseguire l’avventura. Avventura che nel nostro caso continua tra le montagne dell’Adamello e le ciclabili della Val di Sole fino a Malè, proseguendo poi verso Madonna di Campiglio con la settima tappa, quella che sulla carta sembra essere la più semplice.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
Tra le tante regole che la Transalp insegna c’è anche il non dover sottovalutare nulla. Ogni curva, ogni discesa, ogni istante - anche il più insignificante - possono rivelarsi decisivi. E allora ecco che proprio quando il traguardo sembra vicino, i miseri 47 chilometri della penultima frazione (iniziata con una temperatura vicina ai trenta gradi) si trasformano in un calvario di pioggia, freddo e fango. La situazione coglie un po’ tutti di sorpresa al punto che in cima al Rifugio Orso Bruno non si contano i biker tremanti e infreddoliti sotto l’acqua mista a neve. E’ in momenti come questi che la determinazione e la forza d’animo fanno la differenza: solo chi sa gestirsi con attenzione, intelligenza e lucidità  può arrivare indenne al traguardo.

Alla fine, con l’ultima frazione che sa tanto di ultimo giorno di scuola, la Transalp giunge al suo capolinea: le agognate sponde del Lago di Garda sono finalmente raggiunte.
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Credits Bike Transalp – Peter Musch
Sono stati otto giorni faticosi ed intensi, ognuno dei quali ha saputo regalare nuove emozioni, nuove fatiche, nuovi panorami e nuove montagne. Ma anche nuovi amici con cui condividere l’emozione e la consapevolezza sempre crescenti dell’impresa che andava compiendosi.Tagliata la linea d’arrivo ha inizio la festa: alla sera, dopo il classico pasta party, i festeggiamenti sono tutti per i “Finisher”. Maglie, medaglie, diplomi, foto, flash, interviste. In mezzo a questo trambusto ci si ritrova tutti sul palco a festeggiare, primi e ultimi, professionisti e turisti, allenati e fuori forma. E solo qui può capitare che, almeno per una volta, la standing ovation del pubblico ai vincitori sia dedicata anche a noi.

Stefano De Marchi
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Credits Bike Transalp – Peter Musch
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Bike Transalp 2010 - Stage #8

24/7/2010

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Riva del Garda, Sabato 24 Luglio 2010

Otto tappe, seicento chilometri, ventimila metri di dislivello, quattro nazioni. Un modo unico di vivere la mountain bike, semplice e genuino; non competizione ma condivisione: di esperienze, divertimento, amicizia, avventura, fatica, sofferenza, gioia.

Questa, in parole povere, è la Transalp.

Un evento globale che ti mette faccia a faccia con il mondo, tutti accomunati per un'insana passione per la mountain bike. Biker tedeschi e austriaci su tutti, ma anche inglesi, olandesi, persino americani da California e Alaska, addirittura da Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa. Senza contare quelli da Costa Rica, Brasile e Thailandia. Veri e propri globetrotter del pedale che si ritrovano insieme con un unico obiettivo: attraversare le Alpi in MTB.

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Bike Transalp 2010 - Stage #08
Un po' come Annibale, insomma, solo che al posto degli elefanti ci sono le bici e che invece di distruzione ci sono colore e folclore; una festa che inizia  alla mattina alle nove e si protrae fino a sera, fino al tradizionale pasta  party che è forse il momento più bello e coinvolgente di tutto l'evento: prima  ci sono le premiazioni dei vincitori di tappa e la vestizione delle maglie di  leader, il tutto condito da musica allegra e celebrativa che ravviva l'ambiente. Poi tocca al classico briefing di Uli Stanciu, il deus-ex-machina della  Transalp, seguito in religioso silenzio dalla platea di Transalper per carpire nel dettaglio ogni segreto della tappa dell'indomani.

Poi, solo alla fine, arriva il bello: la proiezione delle foto e dei video della giornata dura pochi minuti ma sono istanti di puro divertimento. A venire immortalato non è il più forte ma il più originale, il più stravagante, il più divertente, il più sfigato. A guadagnarsi gli applausi e le risate sono il tizio  che sale il Mortirolo impennando con una sola mano sul manubrio, chi si fa il  bagno cadendo in un torrente, chi gioca a palle di neve sul Passo Trela, chi  scappa inseguito da mucche e asini. Il clima che viene a crearsi è di profondo relax, una tranquillità che sdrammatizza le fatiche appena concluse e fa dimenticare per un istante quelle che hanno ancora da venire.

È proprio durante il pasta party che la Translp-Life raggiunge il suo apice: si cerca di capire se quel tizio è quello che ti ha passato su quella discesa, si incontra in abiti civili la biondina con cui hai parlato in partenza, si stringono amicizie vere e spontanee da consolidare giorno dopo giorno direttamente sulla strada.

Ogni mattina tutto ha inizio da quell'Highway to Hell degli AC-DC che è il segnale che si parte: un'autostrada per l'inferno che spesso conduce direttamente in un paradiso fatto di rocce, crode, guglie, laghi, ghiacciai, precipizi. La Transalp è sì una gara ma solo per i primi i primi, per tutti gli altri è avventura allo stato puro: per questo motivo non ci si capacita di come alcuni personaggi possano completare tappe tremende e schierarsi al via il giorno dopo, per di più sorridenti, più motivati e convinti di ieri. Come Georg e Jennaro, due costaricani di mezz'età che a vederli gli dai zero probabilità di finire anche solo la prima tappa, o 'il ciccio', un biker dal fisico tutt'altro che atletico, o ancora gli spagnoli che corrono dietro alle mucche al pascolo mimando la corrida. Il tutto ripreso dalle telecamere di mezzo mondo al seguito di una gara tedesca che si svolge per più di metà sul suolo italico, con buona  pace della MTB italiana che sembra snobbare tutto ciò, troppo intenta a battagliare nel fittissimo calendario di gare del ponte e del campanile, troppo  intenta a fare dell'agonismo il proprio stile di vita, troppo intenta a farsi la  guerra fratricida dei poveri. Noi lo abbiamo capito già da un pezzo e non ci  facciamo più fregare: meglio la Transalp.

L'ultima giornata di gara è trascorsa rapidamente: il percorso veloce e abbastanza facile ha invogliato un po' tutti a spingere, tenendo per la prima volta ritmi esasperati. La fretta e la concitazione di arrivare al traguardo erano papabili fin dalla fredda partenza di Madonna di Campiglio (otto gradi) dove il pensiero correva già alla visione mistica e conclusiva della Transalp: il Garda! Quando l'inconfondibile sagoma scura del lago appare in lontananza, d'improvviso si formano capannelli di biker fermi a bordo strada intenti a fare foto e a scambiarsi le prime congratulazioni. Poi l'ultimo pericoloso trail da fare a piedi, poi gli ultimi chilometri pianeggianti, poi finalmente il cartello  'Riva del Garda'.

Tagliamo il traguardo a braccia alzate in un mare di bikers euforici: chi ride, chi piange, chi urla e gioisce. Baci, abbracci, strette di mano con biker che neanche si conoscono. E intanto Zoran e Sven, gli speaker che ogni giorno erano li ad aspettarci e ad annunciare il nostro arrivo, scandiscono uno dopo l'altro i nomi dei FINISHER: una parola sognata per mesi e mesi che in un attimo  ti viene affibbiata di diritto, e la cui ostentazione diventa un dovere.

La vera festa, il vero non-plus-ultra della Transalp, è però il party serale: dopo il classico pasta party, dopo le tradizionali premiazioni dei vincitori, è il momento dei comuni mortali, i veri protagonisti della Transalp. Coppia per coppia saliamo sul palco a ritirare la maglia commemorativa e la medaglia. Il centro congressi di Riva si trasforma così in un tappeto di maglie bianco-azzurre che alla fine convergeranno tutte sul palco per la classica foto di rito, tutti insieme, a godersi il momento di gloria collettivo. 'STAND UP FOR  THE CHAMPIONS!' è la colonna sonora del momento e il salone va in visibilio: gli  applausi, i flash dei fotografi, la standing ovation del pubblico, dei parenti e  degli amici sono tutti per noi, Finisher 2010, che ci gustiamo il meritato  momento abbracciati con costaricani, neozelandesi,  americani, tedeschi, italiani e chi più ne ha più ne metta.

La festa continuerà ancora tra birra e musica fino notte fonda, non prima però dell'ultimo immancabile rituale della Transalp-Life: le foto e i video di giornata. Il palazzetto ritorna composto, tutti vanno a sedersi per rivivere le emozioni di una settimana tra le Alpi. La musica di sottofondo e le foto non hanno però il classico tema scherzoso e semiserio degli altri giorni: è un momento solenne, malinconico, se vogliamo anche triste. E' il segnale definitivo  che l'avventura è arrivata alla fine: le lacrime che solcano i volti dei Transalper non sono più di gioia come nel pomeriggio, ma di tristezza e dispiacere.

Tutto è finito da un attimo, ed è già nostalgia Transalp.


Ringraziamenti:

Non possiamo non ringraziare tutte le persone che hanno contribuito a rendere indimenticabile questa nostra prima Transalp: Massimo Panighel e Pedali di Marca per aver creduto in noi, Michele Teso per la passione e la disponibilità, le nostre squadre - Team Performance e Team New Downhill - per la fiducia e il supporto accordatici, Computer Discount per la strumentazione elettronica, i Fratelli Scavezzon per il materiale e l'assistenza tecnica pre-gara. E, ovviamente, Marco Tuninetti e la redazione di Solobike per averci dato la possibilità di raccontare giornalmente la nostra avventura.

Per l'aiuto nel superare le varie piccole difficoltà incontrate siamo inoltre grati a Bike&More per tutte le informazioni logistiche e organizzative, al Team Bulls per la disponibilità dimostrata di fronte a ogni nostra richiesta di aiuto, allo speaker Zoran Filicic (che scopriremo solo alla fine essere nostro conterraneo) per i puntuali incoraggiamenti e consigli quotidiani sulla linea d'arrivo.

Con felicità abbiamo poi conosciuto degli amici straordinari: Michele Festini e Alberto Gerardini del Team Val Comelico-Dolomiti, che insieme a Martina, Alberta e al piccolo Leonardo si sono rivelati una compagnia piacevole e squisita per tutta la durata della Transalp.

Un pensiero, poi, va a chi da lassù ci ha protetto e aiutato: la dedica è tutta per Fabio Basso.

Dulcis in fundo, non finiremo mai di ringraziare una persona che si è rivelata determinante per la nostra Transalp, supportandoci e sopportandoci nel migliore dei modi con pazienza, simpatia e dedizione, risolvendo nel migliore dei modi ogni problema ci si parasse davanti: è il nostro autista, cuoco, meccanico, aiutante, faccendiere, factotum e chi più ne ha più ne metta. Un cuore grande, la battuta sempre pronta e una simpatia disarmante e contagiosa: Federico, sei un mito!

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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Bike Transalp 2010 - Stage #7

23/7/2010

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Madonna di Campiglio, Venerdì 23 Luglio 2010

Proprio mentre la carovana sognava già con anticipo l'arrivo sul Garda, la settima tappa della Transalp ha fatto tornare tutti con i piedi per terra: sulla carta quella dalla Val di Sole a Madonna di Campiglio doveva infatti essere una frazione sì dura, ma comunque transitoria e ben più facile delle precedenti. Questi presupposti sono invece stati puntualmente smentiti e la giornata si è trasformata in un inferno di pioggia e freddo.

E pensare che stamattina a Malè il sole splendeva alto nel cielo e la temperatura era di quelle da piena estate, al punto da mandare in crisi di caldo più di un biker lungo la pedalabile prima salita di giornata, verso le  case di Bolentina, utile solo ad allungare il gruppo in vista dell'ennesimo single track-imbuto dove comunque gli ingorghi non sono mancati neanche stavolta. Nella  successiva tecnica e ripida discesa sorpassiamo un biker caduto, sanguinante in  volto e sofferente, che ci fa venire in mente l'antico proverbio 'chi va piano  va sano e va lontano': meglio quindi scendere a piedi con cautela che stare in  sella e rischiare di compromettere la Transalp a un passo dalla  fine.

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Bike Transalp 2010 - Stage #07
La ciclabile della Val di Sole, a differenza di ieri, oggi è solo un breve assaggio di pianura in un mare di montagna: niente trenini, niente alti ritmi, ora si procede ognuno del proprio passo perché la salita che ha da venire è di quelle che fanno male. Fino al Rifugio Orso Bruno, quota 2150, saranno  infatti quattro tronconi uno peggio dell'altro: il primo ti affatica, il secondo  ti logora, il terzo ti tramortisce e il quarto ti fa letteralmente stramazzare  al suolo. Il fondo compatto compensa solo in parte le pendenze streme e  costanti che non ne vogliono sapere di scendere sotto al tredici - quattordici  per cento.

Come se non bastasse, nel bel mezzo dell'ascesa il sole scompare, la temperatura precipita e il cielo inizia a riversare acqua sulla corsa: scrosci intensi e intermittenti che inzuppano dalla testa ai piedi i Transalper. Non basta: più si sale e più fa freddo, più si guadagna quota e più piove. La vista del rifugio, abbarbicato sul cucuzzolo della montagna, dà qualche speranza di porre fine in fretta all'agonia, ma l'ultimo troncone lungo la pista da sci va percorso quasi tutto a piedi, sempre sotto la pioggia che ora si fa mista a grandine.

Finalmente in cima la pioggia cessa: se il superbo panorama su Brenta e Presanella è rovinato dalle nuvole, almeno su Madonna di Campiglio, laggiù in basso, sembra splendere il sole. Rinfrancati dal desiderio di calore scappiamo dai dieci gradi della vetta e ci lanciamo in discesa.

La picchiata è una vera e propria saponetta: sul fondo liscio e compatto allagato dalla pioggia si fatica a tenere la bici, che scappa da tutte le parti senza riuscire a domarla, e ogni tornante diventa una preghiera di non trovarsi distesi. Quando la discesa finisce la pioggia torna a flagellare i Transalper, come e più di prima: il sentiero negli acquitrini di Malga Dimaro, già fangoso di suo, si trasforma allora in una putrida palude puzzolente dove si  affonda fino alle caviglie nella melma, visto che procedere in sella è praticamente impossibile.

Mancano solo cinque chilometri all'arrivo, ma non ne possiamo proprio più: il traguardo arriverà dopo diverse altre brevi divagazioni tra boschi e campi allagati, tra Campo Carlo Magno e la periferia del paese, fino a scorgere in lontananza l'agognato striscione di fine gara.

Subito dopo aver concluso le nostre fatiche, il maltempo torna a sferzare con violenza inaudita Madonna di Campiglio: una situazione meteo inattesa e inaspettata che coglie di sorpresa un po' tutti, compresa l'organizzazione che non ha niente di caldo da offrirci al ristoro.

Tutto il resto sarà normale Transalp-life, che in queste condizioni assume però un aspetto completamente diverso: con la pioggia, il freddo e l'umidità tutto si rivela più difficile e complicato, il vestiario non si asciuga, la scarpe restano umide, l'attesa al lavaggio bici si fa eterna, ogni cosa è sporca e bagnata.

Per fortuna siamo ormai alla fine: domani la Transalp vivrà l'arrivo trionfale a Riva del Garda e l'avventura attraverso le Alpi giungerà a termine. La giornata di oggi ha comunque dimostrato che qui nulla può essere dato per scontato: anche il sentiero più facile, la discesa più banale o la tappa più semplice possono tenere in serbo difficoltà inaspettate e sorprese sgradite. Dovremo quindi tenere gli occhi aperti fino alla fine, fino all'ultimo metro, fino al'ultima curva.

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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Bike Transalp 2010 - Stage #6

22/7/2010

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Malè, Giovedì 22 Luglio 2010

La via per il Lago di Garda è ogni giorno più breve e da stasera, con l'ingresso in Trentino, saranno solo due le tappe ancora da disputare. Oggi, intanto, siamo arrivati in Val di Sole con una  tappa interlocutoria e tutto sommato agevole.

Abbandoniamo Ponte di Legno dopo esserci crogiolati al sole del parco giochi per una buona mezz'ora, insieme a tanti altri biker ancora segnati dalla tappa traumatica di ieri (si vocifera che gli ultimi siano arrivati verso le dieci di sera!). Il gruppone sfila ordinato e compatto per le vie del centro prima di innestarsi su una strada leggendaria verso un luogo che di nome fa Passo Gavia: saranno solo pochi chilometri di asfalto prima di imboccare l'ennesima serie di sentieri e single track con i classici e consueti imbottigliamenti a cui ormai non ci facciamo neanche più caso.

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Bike Transalp 2010 - Stage #06
Ritornati all'abitato di Pezzo approcciamo una salita mitica per l'off-road locale: quella verso il Montozzo e il rifugio Bozzi, toccando l'ameno e isolato villaggio di Case di Viso, è forse la salita simbolo del comprensorio dell'Adamello. Salita simbolo, ma anche spacca gambe, spacca braccia e spacca schiena: le autostrade austro-elvetiche sono purtroppo solo un lontano ricordo ma almeno qui, in questo ambiente di rocce e dirupi, sentiamo per la prima volta il fischio delle marmotte.
Al GPM a quota 2400 metri ha inizio l'ultimo,  grandioso trail alpestre della Transalp: l'Alta Via Camuna va percorsa con  attenzione pena precipitare di sotto, verso Ponte di Legno che compare tra la  foschia milleduecento metri più sotto, come capita a qualcuno che si distrae  ammirando l'immenso panorama sui ghiacciai di Adamello e Presanella. La discesa  si fa poi più tecnica ma meno esposta, lungo sentieri messi a nuovo di recente  dallo staff Adamello Bike, fino al Passo del Tonale: siamo finalmente giunti in Trentino.

Il più è fatto, visto che gli ultimi trenta chilometri  fino a Malè si preannunciano semplici e veloci. Sul più bello però che  l'attenzione cala, ecco arrivare beffarda la foratura in un single track. Quindici minuti persi nella riparazione e poi di nuovo in sella, ora però con tranquillità e senza rischiare: manca ormai poco a Riva del Garda e non vale la  pena farsi male proprio ora.

La ciclabile della Val di Sole ci accoglie con un caldo torrido e un forte vento contrario: iniziano allora a  formarsi trenini che percorrono a velocità folli il fondovalle seminando il panico tra i turisti a passeggio, automobilisti impacciati e cicloturisti  impauriti. In gruppo è bagarre per tenere le ruote migliori, cioè quelle delle ragazze da conquistarsi rigorosamente a suon di spallate e colpi proibiti, fino a Dimaro dove compare la classica salita che non t'aspetti: un solo facile  chilometro sulla strada per Madonna di Campiglio che fa letteralmente scoppiare il gruppetto. In cima uno spettatore maldestro, nel tentativo di offrirci dell'acqua fresca, crea scompiglio e fa finire a terra Alessandro; per lui  neanche un graffio, per lo spettatore una lunga serie di  improperi.

Raggiungiamo Malè pedalando a fianco del fiume Noce, affollato di patiti del rafting, dove abbozziamo la classica volata 'dei poveri' con due tedeschi e due slovacchi, tra spinte e scorrettezze fino all'immancabile rissa verbale poliglotta finale.

A Malè la logistica è a dir poco caotica: facciamo fatica persino a trovare il ristoro finale. Meglio allora andare dal nostro Federico all'area camper: anche qui, come ci racconterà, non pochi problemi per parcheggiare il camper. Non resta che consolarsi con lo spuntino pomeridiano: oggi il cuoco ci ha preparato un menù da veri atleti. Braciole, salcicce e wustel: alla faccia della classifica.

Domani approderemo a Madonna di Campiglio con una tappa corta ma infida: le insidie sono sempre dietro l'angolo, ma le nostre pedalate, sempre più stanche ed incerte, ci condurranno sicuramente alla meta.

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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Bike Transalp 2010 - Stage #5

21/7/2010

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Ponte di Legno, Mercoledì 21 Luglio 2010

Oggi è un giorno triste alla Transalp: è infatti venuto a mancare uno dei partecipanti, l'attore tedesco Heinrich Schmieder, deceduto nel sonno durante la notte. Una notizia bruttissima comunicata poco prima della partenza che ha lasciato tutti di sasso: il fatto di essere tutti sulla stessa barca, forti e meno forti, protagonisti di una delle avventure più belle e dure al mondo, crea un senso di appartenenza incredibile. Il bello della  Transalp è proprio questo.

Ecco perché il lutto odierno è vissuto con tanta tristezza: non è venuto a mancare un semplice biker ma un amico, magari neanche mai visto, comunque compagno di tante pedalate. In una parola, un Transalper,  come noi. Il minuto di silenzio, la musica messa a tacere e le premiazioni sommesse sono le forme di rispetto prese dalla Transalp, che comunque va  avanti.

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Bike Transalp 2010 - Stage #05
La tappa si preannunciava tremenda, come effettivamente è stato: 107 chilometri e oltre 3400 metri di dislivello che contenevano tutto ciò che un biker può immaginare. Single track infiniti, salite ripide e sconnesse, discese tecniche, salitoni eterni e settori da lungo rapporto. Un percorso da università della mountain bike che ha compiuto una spietata selezione naturale sui partecipanti: chi non avesse avuto il proprio bagaglio tecnico all'altezza della  situazione oggi era spacciato.

La nostra corsa inizia dalla terza griglia, conquistata ieri a suon di alti ritmi: gli argomenti di discussione, rispetto alla quarta griglia, sono radicalmente diversi. Se prima non si parlava che di tempi massimi, luoghi e  paesaggi, qui invece spuntano fantomatiche tattiche di gara e studio dell'avversario. La partenza tra le vie di Livigno spara tutti i 1200 concorrenti direttamente su per una sterrata dalle pendenze e dal fondo proibitivi che costringono a proseguire a piedi per una buona mezz'ora. 

Fortunatamente in vista del Passo d'Eira le pendenze calano e si può procedere in sella proseguendo poi sui magnifici sentieri freeride di Trepalle, il paese più alto, freddo e nevoso d'Italia. Da qui si continua ancora per diversi chilometri in single track fino al Passo Trela, culminando l'ascesa a piedi tra gli ultimi nevai rimasti dall'inverno. Poi finalmente discesa, verso i laghi di Cancano, con spettacolari curve incastonate tra pareti di rocce e burroni a strapiombo.

I successivi venti chilometri, prevalentemente pianeggianti tra i tornanti di Decauville e i ruderi delle Torri di Fraele, si dimostrano un inferno: caldo, vento e un polverone che nasconde anche le ruote di chi sta davanti. Al ristoro di Arnoga le facce dei Transalper sono irriconoscibili maschere di polvere, le maglie tinta ocra, le bici coperte da uno spesso strato di sabbia. Da qui l'inedito e ostico Passo di Verva (ripido e cementato all'inizio, dolce e sconnesso nel finale) conduce la carovana in Valtellina con una discesa di quelle di ricordare.

Strada sassosa e sconnessa nella parte alta fino a Eita, sentiero tecnico nel bosco fino a Fucine, quindi asfalto velocissimo con auto contromano fino al fondovalle. In totale oltre venti chilometri e 1700 metri di dislivello all'ingiù, da quota 2300 a 600, con un'escursione termica dai 15° ai 35°.

Al ristoro di Grosotto, in piena Valtellina, finalmente si sente parlare un po' di italiano: ne approfittiamo per chiedere informazioni circa la salita che andremo ad affrontare, il Mortirolo. Che non è il classico versante del Giro d'Italia ma un'altra, inedita e ben più dura salita: venti per cento la  pendenza media dei primi due chilometri, poi mano a mano che si guadagna quota  la pendenza cala fino a stabilizzarsi sul dieci per cento. Pendenze che in mountain bike sono all'ordine del giorno e che non fatichiamo ad affrontare, guadagnando posizioni su posizioni a scapito di coppie già alla frutta a quaranta chilometri dall'arrivo.

In cima foto di rito al cartello 'Passo Mortirolo' e via, sotto una pioggerellina leggera, verso il Pianaccio: altri sei logoranti chilometri in leggera salita che mettono a dura prova le nostre forze. Fortunatamente la discesa inizia presto, ma avremmo preferito continuare a salire: la picchiata si  dimostra infatti quanto di più tecnico e impegnativo che un biker possa trovarsi  di fronte. Rocce bagnate dalla pioggia, drop, radici, tornanti, pendenze estreme. Più e più volte ci fermiamo per raffreddare i freni, sperando che la tortura finisca presto.

Dopo dieci chilometri di sofferenza la strada torna finalmente all'insù: non resta affrontare in leggera ma costante salita gli ultimi chilometri verso Ponte di Legno lungo i quali in tanti vanno in crisi. Non vediamo l'ora di arrivare e tiriamo alla morte, ma dopo un po' Alessandro cede. Non ne ha più, non va più avanti. Per fortuna il traguardo è vicino, e il suo momento di crisi termina in fretta. Al ristoro finale ci abbuffiamo a più non posso di panini e dolci, stesi sul prato affollato di biker dalle facce stravolte.

Dopo otto ore in bici il tempo a disposizione per la Transalp-life è veramente poco: oggi quindi niente lavaggio bici (ci penseremo domani mattina) e niente riposino pomeridiano. Stasera ci aspetta una piccola festicciola con gli amici del Comelico con cui facciamo ormai gruppo fisso: questa tappa, la più  dura della serie, è stata infatti una strano e masochistico modo di festeggiare il proprio ventiseiesimo compleanno.

Oggi la Transalp ci ha messo a dura prova: siamo stati colpiti, feriti ma non affondati. Siamo ancora vivi. E da stasera il Lago di Garda è un po' più  vicino.

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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Bike Transalp 2010 - Stage #4

20/7/2010

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Livigno, Martedì 20 Luglio 2010

La tattica di oggi era chiara: attaccare! Il perché lo diremo solo alla fine, ma l'obiettivo dichiarato era entrare nelle prime 175 coppie della categoria Men: in questo modo nella tappa di mercoledì saremmo passati dalla quarta alla terza griglia di partenza. A favore del nostro team giocava il fatto  di conoscere a menadito la prima parte del percorso, già affrontato un anno fa  in escursione, immersa nel cuore del Parco Nazionale Svizzero.

Appunto, il Parco Nazionale Svizzero. Una riserva naturale nata a fine ottocento con gli stessi ideali dei grandi parchi americani: natura allo stato brado, intervento umano ridotto a zero, il destino di piante e animali deciso dalla sola selezione naturale. Un albero che cade non viene rimosso, un animale che muore è considerato cibo per altre specie. In una parola: wilderness. Nel parco l'uomo vi può accedere solo attraverso poche e controllate vie d'accesso, le stesse teatro della tappa di oggi.

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Bike Transalp 2010 - Stage #04
Il Passo Costainas è una salita lunga ma agevole con mille metri di dislivello diluiti in ventidue chilometri toccando a metà strada l'ameno villaggio di S-Charl: un paese d'altri tempi che sbuca all'improvviso nel mezzo della valle, con le case in legno, le stalle affacciate sulla piazzetta e gli animali da cortile che scorazzano liberi per la strada. Alla vista di questo luogo fuori dal mondo il pensiero corre a un'icona storica dell'Engadina: qui manca solo Heidi e il quadro è completo.

Ma veniamo alle fatiche: io e Alessandro procediamo di buon ritmo, sia in salita che soprattutto in discesa dove forse ci prendiamo qualche rischio di troppo. Oggi però non si guarda in faccia nessuno: l'obiettivo primario è avanzare in classifica.

Quelli della Val Monastero sono gli ultimi centri abitati di lingua e cultura tedesche della Transalp: anche qui, come del resto nei giorni scorsi, a ogni paese veniamo accolti da capannelli di persone festose che con applausi e incitamenti omaggiano i Transalper in transito. I più piccoli, in particolare, se ne inventano di tutti i colori pur di farsi notare: chiedono 'il cinque',  disegnano striscioni, rincorrono i biker, offrono caramelle, fanno rumore con i più disparati aggeggi rumorosi (vuvuzelas su tutte): un aspetto, quello del  pubblico partecipe, che sicuramente vedremo molto meno di frequente in Italia.

Salutiamo allora la Svizzera ed entriamo finalmente in Italia valicando il Doss Radond, una salita lunga e monotona che offre allo scollinamento il suggestivo spettacolo della Val Mora. La percorriamo in leggerissima discesa su sterrato, poi sentiero, poi single track. A ogni chilometro uno scenario diverso: montagne innevate, prati sconfinati, torrenti impetuosi, pareti di roccia verticali. Il single track nella parte centrale, poi, è un'esperienza che ogni biker che si rispetti non può farsi mancare: stretto, velocissimo, con saliscendi, dossi, curve e controcurve da sembrare un ottovolante affacciato sul  baratro del torrente qualche decina di metri più sotto. Il divertimento dura venti minuti abbondanti, poi il Lago di San Giacomo ci riporta con i piedi per terra.

Le forze iniziano a mancare (in effetti è da sessanta chilometri che pedaliamo oltre le nostre possibilità) e la salita al Passo Alpisella si trasforma quasi in un piccolo calvario, ma le agevoli pendenze della parte sommitale agevolano la pedalata. E' fatta quindi: non resta che scendere fino a Livigno. Le sorprese non sono però ancora finite: prima qualche nevaio obbliga a procedere a piedi, poi la discesa si fa quanto mai ostica.

La picchiata dal Passo Alpisella è tutt'altro che tecnica: larga, scorrevole, veloce, con curve e controcurve continue, molte delle quali cieche; il problema è però il baratro di almeno centro metri che si spalanca appena oltre qualcuna di queste curve cieche. Nessuna protezione, nessun addetto, nessun segnale di avviso: la sicurezza, in questo caso, è lasciata al buon senso di ogni singolo biker. Un aspetto, quello della sicurezza, che per quanto venga  seguito costantemente dai dottori in moto, lascia spesso a desiderare.

Una volta raggiunto il fondovalle, per fortuna ancora vivi e vegeti, il Livignasco ci accoglie con un fortissimo vento contrario e con una marea di turisti a passeggio sul lungolago; in centro al paese ci arriviamo praticamente finiti e distrutti, complice pure l'ultima fetente rampa dell'arrivo dove diamo spettacolo inscenando una quanto mai tragicomica volata, che viene comunque apprezzata dal pubblico divertito.

All'arrivo si presentano due problemi. Il primo, l'ennesimo raggio rotto (il quarto in due giorni), viene prontamente riparato dal meccanico del Team Bulls. Il secondo, invece, è piuttosto sgradito e fastidioso: l'area camper  sembra essere già piena.

Qui bisogna aprire una parentesi e sfatare almeno in  parte l'efficienza tedesca del mito Transalp: dopo cento euro già pagati a  inizio gara a non si sa bene che titolo per l'area camper, di giorno in giorno  ci si deve pure pagare ogni onere previsto dalle città di tappa per soste e allacciamenti. Dieci euro a Fussen, trenta a Imst, quindici a Scuol, fino qui a  Livigno dove nell'area camper - provvista di docce, bagni e allacciamenti  elettrici - neanche ci stavano tutti i camper accreditati. Un disservizio grave che costringe noi e molti altri equipaggi ad accamparci con sistemazioni di emergenza. Magra consolazione, almeno abbiamo riscoperto il piacere antico di lavare i panni nel fiume come una volta.

Domani intanto, come quinta frazione, ci toccherà sgobbare lungo la tappa regina di tutta la Transalp: fino a Ponte di Legno saranno più di centro chilometri e tremila metri di dislivello, Mortirolo compreso. Subito all'inizio ci saranno quindi difficili chilometri tra salite ripide, strade strette e single track tecnici in cui si preannuncia già confusione. Ecco il perché del tentativo di avanzare in classifica: avere almeno cinquecento biker in meno da aspettare potrebbe farci risparmiare almeno mezz'ora, tempo quanto mai prezioso nella frenetica Transalp-life.

Riuscire a perdere solo due ore nei primi 15km sarà già un successo. Poi, se entro sera la meta sarà raggiunta, ci si potrà anche inventare qualcosa per festeggiare al meglio il proprio ventiseiesimo compleanno.

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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Bike Transalp 2010 - Stage #3

19/7/2010

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Scuol, Lunedì 19 Luglio 2010

Più passano i giorni e più ci si rende conto come la Transalp, nel suo spietato incedere quotidiano, regali comunque la soddisfazione di liquidare in poche ore le tappe, le salite e le difficoltà che per mesi hanno attanagliato i pensieri e la psiche dei Transalper. Anche la frazione di oggi non è stata da meno e l'Idjoch, la salita più elevata e ripida che l'edizione 2010 aveva da offrire, è andata in archivio in poco più di due ore senza particolari difficoltà di sorta. 

Da Ischgl l'Idjoch inizia con diversi ingorghi sulle prime erte della salita: rampe dure e impegnative in gran parte alleviate dai grandiosi panorami si aprono sul Silvretta e sulla Paznauntal. Alle bellezze naturali il gruppetto di italiani che strada facendo va creandosi preferisce però un altro tipo di bellezze. Le discussioni e i commenti tra noi, i ragazzi del Cellina Bike e quelli del Team Dolomiti Stars, infatti, sono tutti per le tante, tantissime ragazze che popolano la carovana della Transalp. Discutendo animatamente su quale sia la biker più bella, raggiungiamo quasi senza accorgercene gli impianti  di Idalp: da qui in poi ognun per sé.
Bike Transalp 2010 - Stage #03
L'Idjoch appare infatti dinanzi a noi in tutto il suo terribile fascino: una strada dritta come un fuso che taglia in due la montagna, una colonna interminabile di bici e bikers appiedati, gli 'indiani' in cima al valico, con il classico respiro affannato dei 2700 metri di quota. Tutto questo in un anfiteatro di cime, rocce, nevai e ghiacciai a perdita d'occhio: l'Idjoch è un luogo mistico, speciale, di una spettacolarità unica. Non a caso questi luoghi sono stati colonizzati dai patiti dello sci - al loro scopo si deve lo scempio degli innumerevoli impianti di risalita - e da pochi anni anche in estate dai freeriders che trovano in queste montagne uno dei comprensori più all'avanguardia d'Europa, con sentieri e trails disegnati da Hans Rey, la leggenda del freeride.La discesa sul versante meridionale del Silvretta,  verso Samedan e la Samnauntal, avviene come di consueto tra i freni tirati e le traiettorie pulite dei bikers teutonici. Il dente della Kobleralm serve solo ad accumulare dislivello e ad offrire l'immancabile discesa tecnica e divertente in single track.

Dal fondovalle a Scuol saranno infine trenta chilometri lunghi, noiosi e monotoni, un po' su strada un po' su ciclabile, con l'unica piccola soddisfazione di passare la frontiera Svizzera senza alcun controllo grazie al numero Transalp come lasciapassare. E i gendarmi, almeno per una volta, invece di controllare i documenti sono lì ad applaudire ed incitare.

Prima dell'arrivo un tifoso d'eccezione ci coglie letteralmente di sorpresa: è Federico, il nostro aiutante, che stanco di aspettarci ormai da ore, ci accompagna negli ultimi metri della tappa - tra la curiosità generale - urlando ogni epiteto immaginabile al nostro indirizzo. Tagliamo poi il traguardo in perfetta tabella di marcia, nonostante gli ultimi trenta chilometri percorsi 'al risparmio' senza inseguire i numerosi trenini che ci superavano strada facendo.

All'arrivo, però, oltre alle classiche incombenze di rito, anche oggi alcuni problemi meccanici ci costringono a perdere più tempo del previsto: per entrambi un raggio rotto. Io perdo un'ora e mezza da un meccanico, Alessandro risolve invece più rapidamente allo stand Rocky Mountain. Piccoli disguidi e perditempi che ci fanno perdere l'occasione di andare al pasta party serale, con  briefing e premiazioni, che per l'occasione si svolge in un rifugio a quota 2000  metri.

L'occasione persa di ammirare uno dei tramonti più belli delle Alpi,  valore aggiunto alla tappa di Scuol, è buon motivo per tornare in questa graziosa cittadina, magari già per la National Park Bike Marathon di Agosto sul cui stesso percorso si svolgerà la tappa di domani. Una tappa interlocutoria che, oltre a rappresentare il giro di boa della Transalp, sarà anche un po' come la quiete prima della tempesta.

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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Bike Transalp 2010 - Stage #2

19/7/2010

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Immagine
Ischgl, Domenica 18 Luglio 2010

Se le salite lunghe si patiscono e quelle ripide fanno soffrire, quelle sia lunghe che ripide possono mettere decisamente ko: è il caso del Venetalm, un salitone eterno appena fuori Imst, solo il primo di una lunga serie qui alla Transalp.

Io e Alessandro lo imbocchiamo nel cuore delle retrovie, quando i primi del gruppo sono già piccini piccini sui tornanti lassù in alto: da quota 700 ci ritroveremo, dopo quasi due ore e nove durissimi chilometri nelle gambe, ai 2000 metri dell'Alpe Veneta, uno dei luoghi più suggestivi e panoramici del Tirolo occidentale. Di ciò, tuttavia, in pochi sembrano curarsene: le facce attorno a noi (e probabilmente anche le nostre) sono infatti stravolte dalla fatica e dallo sforzo, cianotiche e paonazze, con più di qualche biker disteso tramortito tra l'erba. Un simpatico biker tedesco riesce comunque a vivacizzare la situazione doppiando la cima urlante a braccia alzate tra gli incitamenti del suo compagno, conquistando le simpatie e i sorrisi di tutti rendendo così il luogo e il momento meno drammatico.

Gallery

Bike Transalp 2010 - Stage #02
Nel successivo discesone facile e veloce emergono a pieno titolo le caratteristiche del Transalper comune: per riuscire a raggiungere l'agognato Lago di Garda servono prima di tutto intelligenza e lucidità. Che significa non prendersi nessun rischio inutile, soprattutto in discesa dove - qui come sul Marienbergjoch ieri - la Transalp dei comuni mortali diventa un'ordinata fila indiana che perde quota senza che si verifichi una caduta o addirittura un sorpasso.

Raggiungiamo così, uno dietro l'altro, il fondovalle della Pitztal: da Wenns inizia la scalata al Pillerhohe. Sulle facili pendenze asfaltate facciamo l'ennesima conoscenza, questa volta con i biker pordenonesi del Team Cellina Bike. Gianni ci racconta che per lui sarà una giornata difficile, sofferente com'è di un mal di gola che neanche lo staff medico della Transalp ha saputo contenere al meglio. Li perdiamo di vista al ristoro in vista del GPM: proseguiamo allora in discesa, sempre in rigorosa fila indiana, fino a Fliess da  dove hanno inizio i primi trails che i teutonici tanto amano. Questo che ci si  para davanti sembra molto agevole, ma quando all'orizzonte compare la sagoma del  castello di Landeck, la città del Loden, le cose si complicano.

Il sentiero scende ripido tra sassi bagnati, fango e radici con la scarpata lì a pochi centimetri pronta a inghiottire i meno ligi alle regole 'intelligenza e lucidità'. Regole che non sembra seguire l'immancabile 'fenomeno' che vuole a tutti i costi affrontare in bici un passaggio particolarmente difficile, con il risultato di volare - sembra comunque senza danni - a pelle di leone sulle rocce sottostanti; oltre al danno la beffa: il tutto viene impietosamente immortalato dalla telecamera della TV posta su una moto dell'organizzazione.

Attraversata la graziosa cittadina di Landeck si può attaccare l'ultima salita, Almstuberl, che sembra la fotocopia della scalata al Pillerhohe: stesso fondo (asfalto), stessi chilometri (dieci), stesso dislivello (circa 550 metri).  Qui le energie arrivano purtroppo alla fine: stanchezza, sonno e vista annebbiata sopraggiungono improvvise. Una crisi di quelle che non sai più né come ti chiami, né dove sei, né che stai facendo. A un certo punto mi ritrovo a parlare (in tedesco!) di non neanche cosa con un austriaco finito tanto quanto me. Per fortuna però il ristoro arriva in mio soccorso: ingurgitata ogni tipologia di poltiglia energizzante a disposizione, ecco che tornano le forze.

Finalmente riesco a tenere il passo di Alessandro e con lui mi butto a capofitto in discesa. A capofitto? Magari! L'ennesimo trail scovato da Uli Stanciu è l'ennesimo budello fangoso e sconnesso dove si fa fatica a scendere anche a piedi. E da buon italiano non mi faccio mancare la ricerca del classico 'taglio' per guadagnare presunti preziosi secondi, con il risultato di ritrovarmi abbracciato a un pino con la bici in fondo alla scarpata. Questa volta è andata bene, per il futuro... 'intelligenza e lucidità'. La discesa comunque fa i suoi danni: a saltare è un raggio della ruota posteriore di Alessandro, riparato in tempo zero subito dopo la linea del traguardo dal gentilissimo meccanico del Team Bulls.

Dopo sessanta chilometri e quasi tremila metri di dislivello la tappa non è però ancora conclusa: la Paznauntal sembra essere l'unica valle austriaca sprovvista di pista ciclabile e pertanto a Ischgl ci si arriva con chilometri di single track e sentieri in puro stile cross country; saliscendi veloci ed entusiasmanti che, se affrontati dopo oltre cinque ore di gara, hanno comunque un altro sapore.

Alla fine al traguardo ci arriviamo in poco meno di sei ore, guadagnando qualche posizione in classifica di cui comunque ce ne facciamo poco.  Ad aspettarci, ora, c'è il rito della Transalp-life: doccia, lavaggio e controllo bici, lavaggio indumenti, spuntino, pasta party sono le classiche incombenze che aspettano quasi tutti i Transalper ogni giorno, dopo aver pedalato per ore nel cuore delle Alpi, rubando tempo prezioso al quanto mai fondamentale recupero post-gara. Per fortuna noi abbiamo il mai domo Federico che pensa a farci trovare al nostro arrivo un piatto di pasta, una doccia calda,  un aiuto per ogni necessità si dovesse presentare: se mai arriveremo a Riva del  Garda, gran parte del merito sarà anche suo.

Nel frattempo pensiamo al domani. Dopo due giorni di boschi e vallate austriache approderemo in terra elvetica: ad aspettarci sarà il gruppo del Silvretta e sull'Idjoch, salitone indigesto a quota 2700 metri, sarà finalmente montagna vera.

Stefano De Marchi - www.solobike.it
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