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Il percorso di 3EPIC

24/7/2015

28 Comments

 
Un alone di mistero aleggia attorno alla prima edizione di 3EPIC, la marathon delle Tre Cime di Lavaredo che vedrà la luce ad Auronzo di Cadore il prossimo 5 Settembre. La folle curiosità attorno all’evento ha provocato addirittura il diffondersi di svariate dicerie, spesso vere e proprie leggende metropolitane senza capo né coda.

Vogliamo raccontare una volta per tutte com’è questo percorso? Ok, facciamolo!

Il Pian dei Buoi, la Val di Poorse e il Pian de Sera

Si parte da Auronzo, spalle alle Tre Cime e via in leggera discesa asfaltata verso Lozzo (i puristi già storceranno il naso, ma alla larga statale alternativa non c’è!).

Dopo poco più di otto chilometri, vicino allo svincolo per Lorenzago, oltrepassato il ponte sul Piave si sale leggermente fino a Lozzo e un chilometro più avanti comincia l’ascesa vera e propria.

I primi ottocento metri al 10% e oltre sono i peggiori, poi ci si innesta sulla rotabile principale e ci si arma di pazienza: si sale infatti per 11 lunghissimi chilometri immersi nel bosco con pendenze sempre agevoli (6-8%), su fondo asfaltato in buone condizioni ma i tornanti (ben 25) sembrano non finire mai.

La salita è noiosa, monotona e logorante, priva di vedute che non siano alberi e fogliame. Nell’ultimo chilometro il fondo diventa sterrato e il bosco si dirada: inizia finalmente lo spettacolo delle vette circostanti, su tutte le propaggini più orientali delle Marmarole che incombono proprio sopra il Pian dei Buoi.

Nei pressi del vecchio rifugio Marmarole (secca svolta a destra) la salita può dirsi completata, anche se in realtà si sale ancora un po’ fino a una galleria. Da qui l’eccezionale panorama sul Centro Cadore e le vette delle Dolomiti di Oltre Piave fa da sfondo al falsopiano che scende al Col Cervera e ai ruderi militari del Pian Formai.
Passando sul lato nord del Col Cervera si ammirano finalmente le Tre Cime di Lavaredo (ancora molto lontane) oltre a un’infinità di altre vette; con qualche saliscendi si attraversano i pascoli del Pian dei Buoi, “buttandosi” poi letteralmente in discesa.

La prima discesa di 3EPIC non va sottovalutata: la larga sterrata che scende in Val di Poorse invoglia a mollare i freni, ma il mix di pendenze elevate, fondo instabile e tornanti stretti e improvvisi potrebbe rivelarsi micidiale. Si tratta quindi di una discesa da affrontare con prudenza e attenzione, sia per le elevate velocità che si possono raggiungere che per le difficoltà che si avranno poi a rallentare.

Una radura con dei fienili segna l'arrivo in Val da Rin: un guado rinfrescante, una svolta secca a sinistra e la strada si impenna di nuovo.

Il dente del Pian de Sera fa male, molto male: pendenze sterrate attorno al 15% per almeno un chilometro, poi fortunatamente la strada spiana. Ma in discesa non è che vada tanto meglio: ora oltre alle pendenze elevate c’è pure il fondo un po’ malmesso.

In un modo o nell’altro si arriva comunque a valle, dove si prende la nuovissima ciclabile (sterrata) dell’Ansiei e la si segue per circa quattro chilometri fino all’imbocco della Val Marzon.

Il percorso corto

Il percorso più corto di 3EPIC si risparmia questo primo anello, percorrendo verso nord i sette chilometri che separano Auronzo dalla Val Marzon sulla ciclabile che verrà affrontata anche nel finale di gara.

Forcella Maraia

Diciamolo subito: la salita di Forcella Maraia, fatta da questo versante, è una delle più dure che possiate trovare in zona. All’inizio però non sembra così impegnativa: i primi 3,5 chilometri su asfalto puntano sì dritto verso le Tre Cime, che svettano in cima alla valle, ma con pendenze tutto sommato pedalabili.

Il peggio arriva al Cason de la Crosera, quando si devia a sinistra sullo sterrato della Val d’Onge incontrando subito le erte peggiori (si sfiora il 15%) ma su fondo tutto sommato in buone condizioni; fondo che poi diviene un po' più irregolare e sconnesso, mentre le pendenze si stabilizzano attorno al 10-12%. Qualche tratto per rifiatare c’è, ma almeno fino ai 1800 metri di quota si soffre, e pure tanto.

Dopo l’ultimo di una lunga serie di tornanti la scalata va via via addolcendosi: qualche rampa impegnativa c’è ancora, ma almeno fuori dal bosco ci si può distrarre ammirando le cime rocciose circostanti (impressionante in particolare il colpo d’occhio sul vallone appena risalito, dominato sullo sfondo da Croda dei Toni e Monte Popera). 
Si arriva finalmente a Forcella Maraia, collocata poco sotto il rifugio Città di Carpi e dominata dai pinnacoli rocciosi dei Cadini, concludendo così una scalata estenuante che i biker di metà classifica completeranno in non meno di un’ora e mezza di pura agonia.

Niente paura: il peggio è passato, da qui in poi inizia lo spettacolo.

Misurina e il Col de Varda

La discesa da Forcella Maraia sembra un tuffo nel vuoto. Vedere la foto per credere.

Illusioni ottiche a parte, la strada bianca è larga e compatta, ripida il giusto e con solo un po’ di ghiaino a renderla più scivolosa. Una volta dentro il bosco si torna all’insù con la contropendenza del Col de Varda, dapprima dolce e poi con un ultima rampetta più impegnativa affacciata sulla valle sottostante.
Si scende quindi definitivamente su Misurina lungo la carrareccia a tornanti che taglia più volte la pista da sci con pendenze elevate e il solito brecciolino a complicare le cose; dalla sponda sud dello specchio d'acqua si imbocca quindi il lungolago che tenendosi a pelo d’acqua conduce alla base delle salite per il lago di Antorno e il Monte Piana.

Monte Piana

L’accesso alle bici è tassativamente vietato, senza esclusione alcuna se non per alcuni permessi speciali riservati ai sopralluoghi organizzativi per 3EPIC (come nelle foto che vedete qui). L’unica occasione per accedervi in mountain bike sarà il 5 Settembre, in ogni altro giorno dell'anno si dovraà deviare sull'asfalto del lago di Antorno proseguendo poi fino al casello ai piedi delle Tre Cime.
Tecnicamente questa parte di percorso dice poco o nulla, ma la principale attrattiva qui è un’altra: da una parte la consapevolezza di pedalare in esclusiva su una strada “vietata”, dall’altra lo straordinario colpo d’occhio e la magnifica cornice naturale che accompagnano la salita.

La strada del Monte Piana sale a strappi, un po’ in asfalto e un po’ su sterrato, fino alla base della serpentina finale: qui la vecchia mulattiera si avvita aggrappandosi alla parete rocciosa superando gli ultimi cento metri di dislivello che separano da Forcella Alta, dove una fugace apparizione delle Tre Cime accompagna lo scollinamento.
Con un’altra ripida rotabile dal fondo misto asfalto-sterrato si ritorna verso Misurina, salvo poi deviare a sinistra su un sentiero poco battuto che – tra rocce, radici e qualche area umida – porta ai prati sotto le Tre Cime.
Dal casello del pedaggio si scende dolcemente sulla comoda strada bianca per Malga Rimbianco, nei cui vicinanze si inizia a salire. Un centinaio di metri su una traccia più stretta e quindi ci si innesta sulla salita della leggenda.

Le Tre Cime di Lavaredo

C’è poco da raccontare: 4 chilometri al 12% e anche di più. I primi tornanti sono i più facili, poi si esce dal bosco e si affronta il terribile drittone centrale. La mazzata finale la danno gli ultimi tornanti, alcuni dei quali veramente terrificanti.
Dato che al rifugio Auronzo in tanti non sapranno più come si chiamano, probabilmente non riusciranno neanche a godersi del tutto la vista da quassù. E il peggio deve ancora venire, distante solo un chilometro di panoramica mulattiera pianeggiante affacciata su Auronzo, 20 chilometri e 1400 metri di dislivello più in basso.

Lavaredo Supertrail

La discesa finale ha dato origine alle dicerie più varie e infondate. C’è chi pensa sia una discesa da downhill e chi sostiene si possa fare con una bici da ciclocross. Qualcuno dice sia vietata alle mountain bike, mentre altri se la immaginano da fare tutta a piedi. Per qualcun altro, ancora, è pericolosissima.

Cominciamo a fugare qualche dubbio: il sentiero che scende lungo il Vallon di Lavaredo (segnavia 104) ricalca il tracciato di una vecchia mulattiera militare e non presenta divieti di sorta. Data la sua lunghezza (più di 5 chilometri e quasi 1000 metri di dislivello) incontra ambienti e terreni molto diversi tra loro che rendono la picchiata estremamente variegata.
Proprio grazie alla sua origine militare ha un andamento sinuoso e regolare che permette di tagliare i pendii con numerosi tornanti intervallati da tratti rettilinei: si tratta in sostanza di un classico trail di alta montagna che richiede sia buona tecnica in discesa che – soprattutto – esperienza in ambienti d’alta quota. Scordatevi le comode discese rilassanti di altri eventi simili, qui servono lucidità e prontezza di riflessi per riuscire a stare in sella per quasi il 100% del sentiero.

Il livello tecnico del trail è quindi sì abbastanza alto, ma comunque decisamente lontano dagli standard delle discipline gravity: la bici ideale è una full-suspended leggera, mentre chi pedalerà su una front patirà molto di più le sconnessioni dovute al fondo roccioso.
A vederla dall’alto, questa discesa, può effettivamente incutere timore. Una volta dentro, complice la velocità mai elevata e l’assenza di punti particolarmente esposti, ci si accorge che pericoli seri non ce ne sono, per lo meno non più di tante altre discese.

Nel dettaglio, il Lavaredo Supertrail può essere diviso in quattro distinti settori:


1 – Il ghiaione
E’ il tratto più bello, sia per il paesaggio che per la morfologia del sentiero: i primi 500 metri di dislivello si snodano infatti su un ghiaione che offre una meravigliosa vista sia su Auronzo e il suo lago (verso il basso) che sulle Tre Cime di Lavaredo (verso l’alto).
Il trail è scorrevole e presenta rettilinei intervallati da tornanti più o meno stretti, ma comunque sufficientemente larghi da poter essere affrontati anche solo appoggiando il piede interno a terra. Non manca qualche piccola frana da superare di slancio.

La difficoltà maggiore in questa fase è data dal fondo spesso coperto da uno strato di rocce e ghiaia che potrebbe risultare insidioso nel caso di brusche frenate o cambi di direzione improvvisi.
2 – Il bosco
Al limitare del bosco una brevissima salita introduce alla parte centrale del trail: qui il tracciato si fa più lento e tortuoso e le pendenze più marcate; il fondo è mutevole, con tratti sassosi alternati a terra battuta e sottobosco, mentre qualche tornante risulterà più stretto di quelli affrontati nella prima parte. Non mancano alcuni passaggi su radici trasversali.

E’ senza dubbio la parte più tecnica della discesa, dove andrà prestata maggiore attenzione per via della vegetazione rigogliosa, le curve cieche e alcuni punti piuttosto impegnativi come ad esempio i ripetuti attraversamenti del torrente o alcuni passaggi franati: al momento della ricognizione (Luglio 2015) i tratti non ciclabili sono almeno una decina, molti dei quali verranno sistemati e resi percorribili nelle settimane immediatamente precedenti la gara. Due o tre passaggi saranno comunque da percorrere a piedi, ma si tratta comunque di non più di dieci metri per volta.
3 – Il greto del torrente
Dopo un tratto abbastanza filante si giunge all’intersezione con il sentiero 119: l’ultimo chilometro del trail (150 metri di dislivello) si sviluppa nel greto di un torrente in secca passando continuamente da una parte all’altra di esso. Il tracciato, dal fondo di nuovo roccioso con alcuni passaggi su sabbia fina, presenta attualmente delle brevissime interruzioni nell’attraversamento dell’alveo ghiaioso che verranno presumibilmente ripristinate in vista della gara.

4
– Il bonus track
Per limitate il più possibile l'asfalto della Val Marzon, gli ultimi 400 metri di dislivello verranno in parte coperti nel soffice sottobosco: numerose saranno le ondulazioni e i cambi di direzione in quella che sarà probabilmente la parte più veloce e divertente di tutta la discesa, anche se intervallata da alcuni inevitabili raccordi sulla rotabile già affrontata in salita a inizio gara.


Dopo tutta questa descrizione sul Lavaredo Supertrail, se ancora avete dei dubbi su cosa vi aspetta date un occhio a questo video:

L'arrivo ad Auronzo

I sette chilometri finali si snodano sulla ciclabile dell'Ansiei il cui fondo compatto permette di arrivare in vista del lago a gran velocità (se ancora si avranno le energie per farlo, ovviamente). Strada facendo si attraversa il ponte coperto di Reane, percorrendo poi gli ultimi due chilometri di gara sul lato destro della valle e tagliando il traguardo sul ponte di Transaqua.

Qualche considerazione personale?

Sarà una gara completamente diversa dalle altre, unica nel suo genere. Non si dovrà dare tutto in salita ma bisognerà conervare ancora tante energie per la discesa finale, dove a fare la differenza saranno lucidità e prontezza di riflessi.

Il percorso corto “basta e avanza”: è il clou dell’evento sia sotto l’aspetto paesaggistico che sotto quello tecnico, anche perché il tratto iniziale del percorso lungo - oltre al bel panorama - non regala nulla di particolare se non dislivello e fatica.

Chi intende concludere il percorso più lungo solo per l’orgoglio di arrivare “in qualche modo” alla fine, ma anche chi deve a tutti i costi “fare il tempo”, forse è bene che faccia una riflessione. Non è la Dolomiti Superbike, non è la Sellaronda Hero. Chi arriva “finito” alle Tre Cime corre il concreto rischio di non essere più in grado di scendere dal Vallon di Lavaredo: qui oltre al tempo massimo ci va di mezzo anche la salute visto che senza lucidità le probabilità di farsi male aumentano esponenzialmente. Insomma, ognuno si faccia un esame di coscienza e valuti le proprie reali possibilità: perdere una mezz’ora al rifugio a riposarsi, o addirittura girare la bici e scendere per l’asfalto, potrebbe essere la scelta migliore. Per una volta l’orgoglio o l’agonismo possono anche essere messi da parte.

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Nervoso come un ciclista in una rotonda

25/10/2011

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Se vi dico “Nervoso come un ciclista in una rotonda”, mi capite?

Se sto in parte… so’ in mezzo, e in mezzo…rivarghe! E co ghe rivo quando vegno fora?

E allora cosa faccio?

Giro. Giro, intorno alla rotonda, in fondo è ciclismo anche quello! Giro anche delle mezzorette, finché mi scappa.

E a quel punto dove vado a farla? In mezzo: in mezzo alla rotonda!

Siete mai stati in mezzo alla rotonda? No?!

Male! non hai capito niente se non sei stato in mezzo a una rotonda. Non puoi dire “Io son stato in Veneto, ho visto tutto, ho visto Montagnana, ho visto Vittorio Veneto, ho visto anche Jesolo, ho visto Bassano, ho visto Verona, ho visto Villafranca...”.

Sì, ma sei stato in mezzo alla rotonda di Verona? E a quella di Villafranca, di Scorzè? Se non le hai viste non puoi dire che hai visto tutto!

Guarda che diamo il meglio di noi oggi sulle rotonde!

Quella col sasso tondo, hai presente? Quella col sasso quadro?

Quella con le erbette? Con l’ulivo? Quella con la vite?

Quella che hanno fatto il campo di pannocchie...!

Adesso ne ho vista una con un salgaro, un salice, enorme talmente grande che tu pensi: c’era già e ci hanno fatto la rotonda intorno!

È quella l’arte: fare sembrare che la rotonda gliel’hai fatta intorno… e invece no! Il salgaro viene dalla Croazia perché non ci sono più quei salici da noi, come gli ulivi viene dalla Valle del Belice...

E quelle con le macchine agricole, o anche solo coi tocchi di macchine agricole?

Con il macchinario che non si capisce cos’è, ma se lo metti là è bello: qualsiasi cosa tu metta in una rotonda... se si dimenticano una vanga in una rotonda sono tutti là a guardarla!

Vuoi esporre al mondo il tuo prodotto interno lordo da record? Mettilo su una rotonda! Oggi è quello l’apice dell’attenzione: dove vuoi che guardino gli automobilisti in quel momento? E poi anche a vedersi non sono tutte uguali, alcune sono piane, altre hanno una leggera inclinazione, un dosso, altre ancora le hanno inclinate in maniera più andreottiana… a Rovigo hanno esagerato: ne hanno fatto una con la gobba talmente alta che nevica fino a giugno!

Ma in mezzo a tutte le rotonde, e proprio a tutte, che però se non sei mai stato non puoi saperlo, c’è il buco! Al centro, dove cultura feconda natura, dove hanno piantato il compasso per fare la rotonda.

E là, proprio al centro, io ci piscio! Sì, non è vandalismo, è solo che mi cavo una piccola soddisfazione... sai quanti comuni ci sono in questa regione?

581, avranno 10 rotonde a testa... fa 5810. Fino ad adesso io ne ho fatte 312, caro... è il mio modo di conoscere il territorio!

Anche perché, scolta, se sei ciclista sulle rotonde te ne fanno passare di tutti i colori. Guarda che è per questo che i ciclisti da noi si mettono in divisa da supereroi. Io la domenica vado a pedalare con Fantomas, l’Uomo Mascherato e due Uomo Ragno, ma in cinque supereroi non fai niente!

Secondo te perché i cicloturisti la domenica si mettono in gruppo? Per la compagnia? Ma va là, non gliene frega niente a nessuno della compagnia, è gente antipatica, sai!

No, è per la massa critica, che pedalano in compagnia, se hai la massa critica l’automobilista prima di sorpassarti mette la freccia, rallenta, ti saluta anche, ha paura.

Però è solo la domenica che riusciamo a fare massa critica... eh, per via degli orari di lavoro non mi trovo. E se vai a pedalare da solo, sei il più sfigato dei supereroi su una rotonda: l’Uomo Invisibile!

Però guarda che se mi incazzo...

Abbiamo 30 milioni di biciclette in cantina noi altri in Italia! Ti rendi conto? 30 milioni di biciclette, lo sai cosa sono? Una massa critica!

Mi fa ridere a me quello che dice “abbiamo un milione di fucili”, vuoi mettere 30 milioni di biciclette? Mandiamo all’aria la FIAT noi con 30 milioni di biciclette in cantina!

Perché non vado in bicicletta?

Perché non posso andare al lavoro vestito da supereroe e poi pedalare in borghese, non mi vedo mica, con le braghe, mi sento ridicolo a pedalare con le braghe. Senza tutina, con le braghe, cosa metti la molletta anche? No no... Poi se vado a pedalare così e mi vede uno dei miei amici, si ferma subito e mi fa: “Hai rotto la macchina?”

Quello ti chiedono...

[dallo spettacolo "Bisogna (la pellagra vis sms)", di e con Marco Paolini]

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Intervista per www.solobike.it

16/7/2011

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Intervista rilasciata a Max Alloi di www.solobike.it dopo il Campionato del Mondo Marathon 2011.

Da appassionato di sport non posso dimenticare la storica frase del mitico Dan Peterson: “mmm...per me numero uno!”. Lo staff Pedali di Marca ha di certo confermato di essere il numero uno, pienamente all'altezza di un Mondiale che ha ricevuto tanti consensi e tutti positivi. Una macchina perfetta, oliata in ogni meccanismo e rafforzata nel corso degli anni. Una macchina del quale abbiamo voluto scoprire di più facendo quattro chiacchiere con uno degli ingranaggi, il “nostro inviato” Stefano De Marchi. Per un omaggio a tutto lo staff di Pedali di Marca, fondamentale in ogni suo componente e per cercare di carpire qualche segreto per il futuro, perché il Mondiale non può e non deve essere un punto di arrivo.

Solobike.it: Ciao Stefano, passata la “bufera” cosa ti è rimasto di questo Mondiale?

Stefano De Marchi: Mi è rimasta la soddisfazione di poter dire “Io c'ero”. C'ero al Mondiale di Montebelluna, quello che verrà ricordato come il più grande di sempre. Più grande - come sostiene Christoph Sauser nel suo blog - addirittura di alcuni Mondiali Cross Country: e questo Mondiale Marathon, IL Mondiale per eccellenza, l'ho organizzato anch'io e ho contribuito con tante altre persone a farlo grande. Esserci stati a Montebelluna deve essere motivo d'orgoglio e di vanto.
E' stata infatti un'esperienza incredibile ed indimenticabile: Sport e MTB 24 ore su 24, dalla mattina alla sera, condividendo la passione per le due ruote con tanti amici vecchi e nuovi, con cui ho lavorato e vissuto fianco a fianco per quattro lunghi giorni.
Mi resteranno comunque anche i tanti “fuori programma” che un mondiale riserva, da Julien Absalon che implora di accompagnarlo in albergo (e che risate lungo la strada!) ai team tedeschi che ogni occasione è buone per festeggiare, dai norvegesi che si perdono per il Montello e chiedono di andarli a recuperare fino ai tanti nuovi amici un po' da tutto il mondo conosciuti nei giorni di gara.
Insomma, organizzare un Mondiale è anche e soprattutto un divertimento!

Solobike.it: Un divertimento, ma anche un grande lavoro di preparazione che è durato anni, perché per arrivare dove è arrivata Pedali di Marca non si inventa niente e non si deve lasciare niente al caso...

Stefano De Marchi: Sì, quando tutti in Pedali di Marca ricevemmo quell'sms “Siamo... Mondiali!” il 2011 sembrava lontano una vita. Eppure, tre anni dopo, sembra sia successo ieri. in questi tre anni abbiamo lavorato sodo, imparando dai nostri errori e cercando sempre di migliorare e proporre qualcosa di nuovo e diverso al biker, sia esso amatore o elite. Volevamo differenziarci dalla marea di eventi che affollano il calendario e ci siamo riusciti. Per arrivare a questo abbiamo girato l'Europa per studiare i più importanti eventi europei, per carpirne i segreti del successo e allo stesso tempo evitarne i difetti. Non so quanti organizzatori facciano lo stesso...

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Solobike.it: Quali sono i momenti che personalmente ti rimarranno impressi a vita nel cuore?

Stefano De Marchi: Sicuramente il tripudio della folla all'arrivo del Mondiale: un'emozione incredibile, mai vista una cosa del genere in dodici anni di MTB. E poi la determinazione con cui tutto lo staff ha operato per quattro giorni: encomiabili. Ah, sì... e anche la festa del post-gara con i norvegesi del Team Nordsjorittet (sì ho avuto anche il tempo di festeggiare!): quando hanno ricevuto la Coppa per i vincitori del Mundialito a squadre sono letteralmente impazziti!

Solobike.it: Quali invece i momenti difficili?

Stefano De Marchi: Anno dopo anno abbiamo imparato dai nostri errori, rivedendo l'organizzazione interna e la gestione del lavoro in modo da poter svolgere ognuno le proprie mansioni nel migliore dei modi. Però, quando l'evento inizia a farsi importante entrano in gioco elementi con cui mai e poi mai avremmo pensato di dover avere a che fare: per quel che mi riguarda, le richieste pressanti dell'UCI, la gestione di una sala stampa con decine di giornalisti da ogni parte del mondo, le esigenze tecnologiche e logistiche della produzione televisiva, le riprese dall'elicottero che su un territorio come il Montello sono tutt'altro che semplici.
Sono state tutte situazioni non semplici da gestire, alcune emerse improvvise e inaspettate, talvolta a causa di dettagli sottovalutati: certo, un po' di panico iniziale c'era sempre, ma poi tutto si è sempre risolto per il meglio. E per la prossima volta, ne sono certo, avremo già il bagaglio d'esperienza necessario per non imbatterci più negli stessi problemi.
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Solobike.it: Prossima volta? Allora le parole di “addio” di Massimo Panighel non sono reali? Sarebbe veramente una grande perdita...

Stefano De Marchi: Panighel non ha mai detto che dà l'addio alla MTB. Ha solo detto che si dimette da Presidente di Pedali di Marca.... siete voi giornalisti che capite quello che volete. Le idee per il futuro non mancano, ne abbiamo tante: abbiamo in mano una professionalità, una capacità organizzativa e una potenzialità tali per cui possiamo fare ancora molto. Sono certo che abbiamo ancora margini di crescita rispetto a quanto visto a Montebelluna.
Ricordiamo però che Pedali di Marca è fatta da volontari, non da professionisti e come tali non siamo tenuti a continuare a tutti i costi.

Solobike.it: Certo che no. Mica è un obbligo, ci mancherebbe. Ma delle idee si può sapere qualcosa o è tutto top secret?

Stefano De Marchi:
Top secret. Sono rumors e come tali lasciano il tempo che trovano... però un po' di fondatezza ce l'hanno. Abbiamo comunque un paio di progetti nel cassetto... solo sulla carta, ma comunque in linea di massima già concepiti. E poi qua e la diversi contatti ci chiedono collaborazione. La fantasia e il saper sognare comunque non ci manca: dovete solo sperare che Panighel non si dimetta, perché se si dimette... il suo più probabile successore è ancora più pazzo!

Solobike.it: Cioe?

Stefano De Marchi: Cioè ha già pronto il programma eventi firmati Pedali di Marca da qua al 2016....
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Solobike.it: Cosa è per Stefano De Marchi la MTB?

Stefano De Marchi: La MTB è un fondamentalmente un mezzo che ti consente di vivere delle esperienze, delle emozioni, delle amicizie e condividere tutto questo con altre persone accomunate dalla tua stessa passione. La MTB è divertimento, svago, avventura, aggregazione, vacanza, turismo, scoperta, festa.
Relegarla al solo aspetto sportivo è riduttivo e deleterio per la crescita del movimento: mai i giovani, il gentil sesso o il grande pubblico si avvicineranno alla MTB se questa viene proposta solo e soltanto come occasione di confronto agonistico.

Solobike.it: In tanti anni hai avuto occasione di conoscere tanti personaggi. Dimmene due che per motivi diversi ti hanno colpito ed affascinato...

Stefano De Marchi: Potrei citare alcuni dei grandi campioni con cui ho avuto modo di entrare in contatto, da Gunn Rita Dahle che mi scrive chiedendomi se ho bisogno di aiuto per il mio soggiorno in Norvegia, ai tedeschi del Team Bulls che non perdono occasione per far festa, a Julien Absalon che mi carica in camper e mi chiede di accompagnare lui e la sua famiglia in albergo.
Sarebbe però troppo scontato. Le vere sorprese arrivano spesso da chi lavora “dietro le quinte” del nostro sport, spesso e volentieri dei perfetti sconosciuti.

Herr Klaus Bouillon. E' una delle persone che più ha colpito in positivo sia me che tutto lo staff di Pedali di Marca. Il signor Bouillon è il sindaco di Sankt Wendel, la cittadina tedesca che ha ospitato i Mondiali Marathon 2010 e i Mondiali Ciclocross 2011. E' in carica da circa vent'anni, e non è difficile capire il perché: propositivo, dinamico, fa di tutto per creare attrattive e interesse per la propria città, ed è grazie a lui se Sankt Wendel è diventata una delle città tedesche con la più alta qualità della vita. E' il primo responsabile e promotore di tutti gli eventi, soprattutto sportivi, che si svolgono in città: Coppe del Mondo di rally e supermotard, gare ciclistiche, maratone, arrivi del Tour de France. Si avvale di uno staff di dipendenti comunali dediti esclusivamente all'organizzazione eventi. Credo sia un modello da imitare per molti, anzi moltissimi politici nostrani. ESEMPLARE.

Ingrid Pallhuber. Sì, “quei” Pallhuber. Un'amica più che una collaboratrice, il suo contributo alla causa Mondiale è stato quanto mai essenziale: traduttrice e interprete (nessuno sa bene quante lingue parli, se quattro, cinque o sei...), profonda conoscitrice del mondo MTB e dei suoi principali attori sia italiani che esteri, in contatto con tutti i big, professionale e sempre pronta ad aiutare in maniera discreta, dispensatrice di consigli e di nuove idee, dotata di calma e di pazienza infinite. Sicuramente un valore aggiunto che, quando l'organizzazione è al top, sa fare la differenza. PREZIOSA.

Solobike.it: Due parole su Massimo Panighel e più di due parole su Pedali di Marca e sui personaggi che ne fanno parte.

Stefano De Marchi: Panighel. Instancabile e mai domo, se ne inventa sempre una dietro l'altra, al punto che anche noi in Pedali di Marca fatichiamo a stargli dietro. Ecco, se proprio devo trovargli un difetto, con tante cose da fare, alcune non riusciamo a valorizzarle al massimo come meriterebbero. Ma d'altronde, come tutti nel gruppo, lo fa prima di tutto per passione e divertimento.
Sui personaggi che fanno parte di Pedali di Marca si potrebbe scrivere un libro: se dovesse capitarvi di prendere parte a una delle nostre riunioni, dubitereste che queste persone hanno saputo realizzare un Campionato del Mondo. Perché Pedali di Marca è prima di tutto un gruppo di amici, che si prendono poco sul serio e vogliono prima di tutto divertirsi: lo sfottò e l'autoironia sono parte integrante del gruppo. Ma da buoni trevigiani, rispecchiando in pieno lo stereotipo del veneto lavoratore stakanovista che fa da sé, quando è ora di darsi da fare non si tirano mai indietro: nel gruppo ci sono persone dotate di professionalità altamente specializzate, artigiani, elettricisti, carpentieri, tecnici, ecc... che mettono le proprie capacità a disposizione della causa Pedali di Marca, ognuno per il settore di propria competenza. Il grande spirito di gruppo che si è creato, poi, genera una motivazione tale che quando l'obiettivo è fissato, nulla può fermarli dal raggiungerlo.

Solobike.it: Cosa vedi nel tuo futuro e in quello dei Pedali di Marca?

Stefano De Marchi: Nel mio futuro sicuramente ancora tanta e tanta mountain bike, non importa se pedalata o organizzata. Perché l'avventura più bella, in mountain bike, è sempre la prossima!
Nel futuro di Pedali di Marca c'è sicuramente qualcosa, cosa di preciso ancora non si sa. Il nostro potenziale l'abbiamo dimostrato, ora tocca ad altri valorizzarlo. Paradossalmente, il futuro di Pedali di Marca non dipende da Pedali di Marca.

Solobike.it: Grazie Stefano, per regalarci sempre tante emozioni, come componente di Pedali di Marca e come biker, con i sempre puntuali report dalle gare.

Stefano De Marchi: Grazie a te e grazie a Solobike per l'interesse sempre costante al “cosa c'è sotto” del fare mountain bike, sia esso pedalato, organizzato o amministrato.
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