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Piani Eterni - Dall'Inferno al Paradiso e ritorno

23/9/2010

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Tutta questa storia ha inizio leggendo (anzi, provando a leggere...) un articolo su BIKE di Ottobre riguardante, tra le altre cose, un certo Passo Finestra in Val Canzoi.

Nessuna idea ovviamente di dove fosse questa Val Canzoi, salvo poi scoprirla localizzata nelle Dolomiti Bellunesi. Bene: una location nuova, inedita, vicino casa... merita pertanto almeno una visita. Tuttavia quel pozzo senza fondo che è internet non riesce a dare alcun tipo di aiuto concreto sul dove-come-quando esplorarla "by bike": i Monti del Sole (e il Parco Dolomiti Bellunesi in generale) sembrano talmente selvaggi, inospitali e impervi che la mountain bike qui sembra veramente quasi off-limit. "Quasi" perchè la rete almeno un link lo sputa fuori: un sito di autoctoni che descrivono alcuni tour più o meno noti nella natia Valbelluna tra cui, oltre al Passo Finestra, anche dei certi "Piani Eterni" che - googlando qua e là - sembrano davvero speciali. Un vasto altopiano circondato da montagne e accessibile solamente con una salita da capre e/o rocciatori ma comunque più o meno ciclabile.

Raccolta la documentazione e analizzato le cartine non resta che caricare la macchina e, in un sereno giovedì settembrino, al posto di andare a lavorare partire invece con destinazione Valbelluna, località Cesiomaggiore; che - per chi non lo sapesse - è detta la "città della bicicletta" con un museo dedicato e le contrade del paese chiamate con i nomi dei corridori famosi. Strano, ma comunque caratteristico.
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Parte allora l'avventura, che alla fin fine si potrà riassumere in tre semplici punti:
a) 60% di asfalto
b) almeno 1 ora a piedi in salita
c) discesa più o meno ciclabile a seconda del pelo sullo stomaco...

Si va, quindi: Cesiomaggiore, Cesiominore, Toschian... e in neanche quattro chilometri si è all'imbocco della Val Canzoi, quota 450 s.l.m, e si inizia a salire verso lo scollinamento che sarà a....1850 s.l.m..

La strada di fondovalle è bella, facile, comoda, deserta affiancata ogni tanto da quella che sembra essere una pista ciclabile in costruzione... prefabbricata e sopraelevata due metri sopra il livello del bosco. Boh, contenti loro...

Al Rifugio Boz la strada sale vertiginosa su due tornanti fetenti ma la cosa dura poco, difatti ecco il Lago artificiale della Stua. E "Stua" non a caso vuol dire diga. Dopo poco più di dieci chilometri una breve sosta rifocillante ci sta tutta: banana, barretta, borraccia... e un autoscatto, dedicato a tutti coloro non possono essere presenti. Voi pensate a produrre P.I.L... anche per me!
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Finalmente l'asfalto lascia il posto allo sterrato, quello pianeggiante del lungolago, fino all'altro capo del lago. Ponte in legno pericolante e... si sale. Letteralmente. Senza mezzi termini. 900 metri di dislivello in meno di cinque chilometri: la calcolatrice dice quasi 20%. Togliendo i falsipiani e qualche tratto facile... la pendenza media si potrebbe assestare, così a spanne, sul 25-28%. Roba da matti. Da salire con corde e moschettoni. Un vero e proprio INFERNO.

Seppur il fondo compatto e/o cementato sembri spesso pedalabile, una volta il brecciolino e una volta qualche sassone, ora la radice e dopo la buca... alla fin fine prima o dopo la salita "in piedi" tocca farla "a piedi". Impensabile restare sempre in sella: si potrebbe pedalare per il 60-70%, ma solo con buona gamba e buona tecnica e buon equilibrio e... buona fortuna. Verso metà salita la pendenza sembra farsi più umana e la speranza di pedalare un po' fa nuovamente capolino, ma una successione di tornanti fa tornare con i piedi per terra... nel vero senso della parola.

Una serie assurda di tornanti, uno dietro l'altro, incastrati tra alberi e rocce da mandate in tilt pure il GPS, con pendenze da capottarsi, con fondo disastrato da faticare pure a piedi, appare d'incanto davanti agli occhi. Con un po' di porchi, un po' di santi, e soprattutto un bel po' di pazienza, pure questa è fatta.

Dopo il bivio per Val porzil la muscia cambia: la strada abbarbicata sulla roccia presenta ora un fondo perfetto, pendenze accettabili e spettacolari panorami sulla Val Canzoi. Ma il bello deve ancora venire: ecco difatti l'ennesimo - e per fortuna ultimo - muro; finalmente la strada spiana: un po' di discesa, qualche saliscendi, un altro muro fetente, un po' di piano... e iniziano pure a intravedersi le alture dei Piani Eterni. Era ora.
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Con una veloce discesa si arriva ai prati dei Piani. Lo spettacolo è sublime, grandioso, eccezionale. L'enorme pianoro è circondato su tre lati da montagne più o meno elevate, costellate di rocce, praterie, boschi e baranci che nulla hanno da invidiare ad altre più blasonate ambientazioni d'alta montagna. E qui siamo solo a quota 1600 s.l.m..Se la salita di prima era l'INFERNO, questo è senz'altro il PARADISO.

Tanto per avere un'idea, date un'occhio alle foto panoramiche di bellunovirtuale.com
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In mezzo ai prati ci sta pure un punto di riparo, Malga Erera, oggi chiusa ma - sembra - solitamente aperta durante l'estate. Altri escursionisti si crogiolano al sole, e appena vedono sto imbecille arrivare fin lassù in bici scattano subito con la classica domanda retorica di rito "Era dura la salita?!?!?" accompagnata dal solito sorrisetto "Ma quanto scemo sei?!?!?! Non c'hai altro di meglio da fare?". Si a quest'ora avrei dovuto essere a lavorare...

Comunque...alla malga c'è pure una quanto mai provvidenziale fontana e un bel po' di panchine dove oziare beati. Poi però arriva l'ora per ripartire: ancora in salita, ovviamente, sull'802 verso Forcella Pelse (quota 1847 s.l.m.) e poi, molto più tardi, alla misteriosa California.
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Qui la pendenza è decente, ma il fondo fa pena: nell'attraversare un ghiaione non c'è altro verso di proseguire che a piedi, ma comunque i 150 metri di dislivello dalla malga alla forcella passano veloci, complice pure lo scenario circostante.

Ha perciò finalmente inizio la discesa, che all'inizio è larga e scorrevole conducendo in un battibaleno alla malga Campotorondo. Ed è qui che finisce il PARADISO e ricomincia l'INFERNO.

Il sentiero entra nel bosco e non vi uscirà più fino a fondovalle, dieci chilometri e 1100 metri di dislivello più sotto: all'inizio mediamente largo ma pieno di sassi irti e smossi, poi stretto e tecnico, poi ripido e tortuoso... una goduria. O un'agonia. Dipende dai punti di vista. Perchè se come nei videogiochi hai "tre vite" e due te le fumi subito, è ovvio che la picchiata si trasforma in un'angosciante attesa di arrivare in fondo... sani, salvi, integri... e magari in bici. Se "vite" sono le camere d'aria, che alzano bandiera bianca due volte in un chilometro con dei "pffffffff" liberatori, ecco che tutto si spiega.

Fatto sta che, comunque, la discesa verso California è un piatto per palati fini. E escursioni generose. E gente con manico. Rocce, sassi, piccoli drop costellano la parte alta del sentiero. Ogni tanto qualche settore più agevole permette velocità più alte, ma per portare a casa la pelle ci vogliono calma e sangue freddo. E soprattutto occhio, magari a qualche roccia bagnata nascosta tra l'erba pena volare a pelle di leone... col rischio di farsi male... nel mezzo del nulla... lontano da tutto e da tutti. Stavolta è andata bene, per la prossima... maglio non pensarci, e scendere con prudenza. E nel dubbio a piedi.

Finalmente i sassi lasciano il posto al sottobosco. Il trail si innesta su quella che sembra essere una mulattiera, poi però alcune frecce sugli alberi indirizzano ancora su sentieri stretti. Quota 1300 s.l.m.: inizia il divertimento.

Il fondo di foglie e terriccio è finalmente compatto e sicuro e permette di prendere qualche rischio in più. Si alternano senza soluzione di continuità tagli veloci e successioni infinite di tornantini. Ogni tanto c'è il ritorno di qualche pietraia (visti i precedenti meglio a piedi) ma per il resto a complicare le cose c'è ora la pendenza.... bella tosta. Da mettere in crisi i freni. E intanto si scende, tornantino dopo tornantino, facendo attenzione a non volare di sotto (appunto... secondo volo di giornata). Alla in fin fine, un po' per la fatica della salita, un po' per la fatica della discesa... ci si inizia a rompere un po' i cogl... e chiedersi... ma quanto manca?!?!? "Ancora 300m." dice Mr. Garmin. Che però va nel pallone. Per fortuna il sentiero è evidente e intuitivo, non si sbaglia neanche a occhi chiusi.
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All'improvviso dalla vegetazione appare dal nulla una mulattiera... fatiscente, sconnessa e disastrata. Poi di colpo un fienile diroccato. Poi una grande casa. Ci manca solo che appaia John Locke e il Mostro e possiamo farci l'ottava stagione di Lost.
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Si tratta in realtà di quel che resta della misteriosa città fantasma di California, la “montagna dimenticata”: il paese nacque sull'onda della febbre dell'oro che qui si scatenò a inizio '900 con l'apertura di miniere. Doveva essere il paese della cuccagna, la "California" bellunese. E invece le miniere si esaurirono presto e il posto tentò di crearsi un futuro turistico. Il colpo di grazia lo diede l'alluvione del 1966 che spazzò via quel poco che era rimasto.

La sterrata – finalmente decente – che corre a fianco del torrente Mis porta direttamente all’imbocco della Valle del Mis. Da qui a Cesiomaggiore saranno venticinque chilometri di solo asfalto, prima tra le buie gallerie della valle, poi a fianco del lago, quindi sui saliscendi poco frequentate dell’alta Valbelluna tra Sospirolo e San Gregorio, compresa l’odiosa salitella a tornanti di Carazzai.

All’arrivo a Cesiomaggiore risultano circa 58 chilometri e 1850 metri di dislivello percorsi in oltre sei ore... più meno le stesse rubate al lavoro!
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