Non esiste infatti corsa più globalizzata sulla faccia della terra: al via seicento coppie di bikers provenienti da trentatré nazioni di tutti e cinque i continenti, ognuno determinato a raggiungere le sponde del Lago di Garda dopo aver pedalato per oltre seicento chilometri e ventimila metri di dislivello, in otto tappe attraverso Germania, Austria, Svizzera e Italia.
Perché tutto questo? Cosa spinge appassionati da ogni parte del mondo a voler far parte di questo caravanserraglio cosmopolita e multiculturale? L’unico modo per capirlo, in realtà, è esserci: proviamo allora a scoprirlo.
La partenza è degna di un grande evento, con i biker che sfilano tra le vie cittadine circondati da due ali di folla: la prima destinazione è Imst, in Austria, toccando i celebri manieri di Re Ludwig, le falde dello Zugspitze e un primo assaggio di montagna sul Marienbergjoch. E’ la prima tappa e ogni cosa è nuova ed inedita: dalle lingue ufficiali, rigorosamente il tedesco e l’inglese, alle ragazze, presenti in percentuale sorprendentemente elevata, fino alla perfetta simbiosi con il proprio compagno di squadra, quanto mai fondamentale. Stupisce poi la calma e la tranquillità con cui gran parte del gruppo affronta le facili e veloci sezioni della prima frazione. Impariamo così la prima regola: la Transalp si “costruisce” una tappa alla volta con intelligenza tattica e lucidità mentale; basta anche il minimo incidente, una semplice crisi o una banale caduta per vanificare tutto il tempo e il denaro investiti in questa avventura.
La bellezza della Transalp non arriva però subito: bisogna infatti aspettare almeno la terza tappa, quella che porta la carovana in Svizzera attraverso le montagne del Silvretta. E’ proprio a cavallo tra Tirolo ed Engadina, ai 2737 metri dell’Idjoch, che le Alpi escono allo scoperto: dopo i grandi boschi e le monotone vallate austriache ha finalmente inizio la montagna vera. Quella che ti toglie il fiato per l’alta quota. Quella fatta di cime, pietre, nevai e ghiacciai. Quella da ammirare a 360 gradi.
Questa tendenza bike-oriented caratterizza fortemente anche la giornata-tipo alla Transalp: la chiamano “Transalp-Life” ed è nient’altro che il vivere in funzione della bicicletta dall’alba al tramonto, assieme a tante altre persone accomunate dalla stessa passione. Sveglia, colazione, tappa. Lavaggio bici, doccia, lavaggio indumenti. Riposo, pasta party, sonno. Sveglia, colazione… e così via per una settimana, senza pensare ad altro, magari incappando pure in qualche esperienza originale come cenare in un rifugio a duemila metri di quota o fare il bucato al fiume come una volta. Senza contare poi i bellissimi e divertenti momenti del pasta party, dove tra premiazioni, musica, foto e video della tappa del giorno e briefing di quella dell’indomani, l’aggregazione tra i partecipanti raggiunge l’apice.
Lo spirito di condivisione che accomuna tutti i partecipanti, forti e meno forti, dal pre-gara fino al pasta party serale, è infatti la vera magia della Transalp: l’affrontare una delle avventure più significative al mondo insieme a tante altre persone, attraverso le stesse fatiche, sofferenze, emozioni e difficoltà, vivendo per giorni fianco a fianco con biker di tutto il mondo, crea un fortissimo senso di appartenenza e amicizia. Ne è testimonianza anche l’applauso caloroso e sincero che, a tarda sera, viene rivolto dai biker arrivati già da ore a coloro i quali tagliano il traguardo di Ponte di Legno tra le tenebre, illuminati solo dai fari delle moto, dopo aver impiegato dodici ore per percorrere oltre cento chilometri, 3400 metri di dislivello, quattro salite di cui una chiamata Mortirolo e decine di chilometri di discesa proibitiva.
Sono proprio questi biker, i “desperados” dell’ultima griglia, a rappresentare nel migliore dei modi il “vero” spirito Transalp: a vederli non gli si darebbe una sola possibilità di finire anche una sola tappa, eppure a gente come il “ciccio” tedesco o i vecchietti costaricani non importa quanto tempo ci si impieghi, non importa quanta fatica si faccia. L’unico obiettivo è arrivare al traguardo, a ogni costo e con ogni mezzo a disposizione. C’è chi si fa trainare dal proprio compagno, chi si fa chilometri a piedi e chi si fa medicare dai dottori motociclisti, veri e propri angeli custodi che suturano ferite e dispensano flebo e medicinali direttamente sui sentieri di gara: è solo grazie al loro operato se in tanti possono presentarsi al via ogni mattina e proseguire l’avventura. Avventura che nel nostro caso continua tra le montagne dell’Adamello e le ciclabili della Val di Sole fino a Malè, proseguendo poi verso Madonna di Campiglio con la settima tappa, quella che sulla carta sembra essere la più semplice.
Alla fine, con l’ultima frazione che sa tanto di ultimo giorno di scuola, la Transalp giunge al suo capolinea: le agognate sponde del Lago di Garda sono finalmente raggiunte.
Stefano De Marchi