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Un sogno chiamato Transalp

24/7/2010

2 Commenti

 
Da oltre vent’anni, da quando in pratica esiste la mountain bike, ogni estate le Alpi diventano il teatro di un fenomeno tanto estremo quanto attraente: sono centinaia, se non addirittura migliaia, i biker tedeschi che calano dai valichi di frontiera in sella alle loro biciclette con destinazione Lago di Garda. L’Alpencross, così si chiamava all’inizio la traversata delle Alpi, divenne ben presto un’esperienza talmente avvincente che verso la fine degli anni novanta nacque quella che oggi è universalmente riconosciuta come la corsa più affascinante e prestigiosa al mondo: la Transalp.

Non esiste infatti corsa più globalizzata sulla faccia della terra: al via seicento coppie di bikers provenienti da trentatré nazioni di tutti e cinque i continenti, ognuno determinato a raggiungere le sponde del Lago di Garda dopo aver pedalato per oltre seicento chilometri e ventimila metri di dislivello, in otto tappe attraverso Germania, Austria, Svizzera e Italia.

Perché tutto questo? Cosa spinge appassionati da ogni parte del mondo a voler far parte di questo caravanserraglio cosmopolita e multiculturale? L’unico modo per capirlo, in realtà, è esserci: proviamo allora a scoprirlo.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
L’appuntamento è a Fussen, Germania meridionale: una terra dove boschi, laghi e castelli fanno da spartiacque tra la pianura e le Alpi. Al primo impatto la Transalp non pare avere nulla di così speciale: sembra una gara come tante altre, con i suoi pregi e i suoi difetti, che offre tutto lo stretto necessario (pasta party, ristori, trasporto bagagli, sicurezza) facendo però pagare a caro prezzo ogni extra come tracce GPS, area camper, colazione, posto letto nel Transalp-Camp. Un’organizzazione del genere in Italia verrebbe probabilmente criticata, eppure qui i padroni di casa e gli altri stranieri non sembrano farci caso più di tanto: sanno bene che l’importante, alla Transalp, è ben altro.

La partenza è degna di un grande evento, con i biker che sfilano tra le vie cittadine circondati da due ali di folla: la prima destinazione è Imst, in Austria, toccando i celebri manieri di Re Ludwig, le falde dello Zugspitze e un primo assaggio di montagna sul Marienbergjoch. E’ la prima tappa e ogni cosa è nuova ed inedita: dalle lingue ufficiali, rigorosamente il tedesco e l’inglese, alle ragazze, presenti in percentuale sorprendentemente elevata, fino alla perfetta simbiosi con il proprio compagno di squadra, quanto mai fondamentale. Stupisce poi la calma e la tranquillità con cui gran parte del gruppo affronta le facili e veloci sezioni della prima frazione. Impariamo così la prima regola: la Transalp si “costruisce” una tappa alla volta con intelligenza tattica e lucidità mentale; basta anche il minimo incidente, una semplice crisi o una banale caduta per vanificare tutto il tempo e il denaro investiti in questa avventura.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
Al secondo giorno le cose si fanno più difficili: raggiungere Ischgl dopo oltre tremila metri di dislivello e tre salite una peggio dell’altra è già difficile di per sé, figuriamoci nell’economia di una corsa a tappe. Eppure anche oggi, nel colorato gruppo di Transalper, l’atmosfera è tutt’altro che tesa: in tutte e quattro le griglie di partenza, dai campioni della prima, passando per i fenomeni e gli umani, fino ai “desperados” dell’ultima, il clima è disteso e rilassato. In fondo, finalmente lo capiamo, tutta questa gente non è qui in gara ma in vacanza: una vacanza originale, attiva e speciale da gustarsi al meglio giorno dopo giorno, senza fretta né pensieri, con il solo obiettivo di raggiungere l’arrivo e dedicarsi al relax. Tra gli accoglienti stand degli sponsor e le piscine delle sedi di tappa le occasioni non mancano di certo.

La bellezza della Transalp non arriva però subito: bisogna infatti aspettare almeno la terza tappa, quella che porta la carovana in Svizzera attraverso le montagne del Silvretta. E’ proprio a cavallo tra Tirolo ed Engadina, ai 2737 metri dell’Idjoch, che le Alpi escono allo scoperto: dopo i grandi boschi e le monotone vallate austriache ha finalmente inizio la montagna vera. Quella che ti toglie il fiato per l’alta quota. Quella fatta di cime, pietre, nevai e ghiacciai. Quella da ammirare a 360 gradi.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
L’Idjoch è però solamente l’inizio: fino all’ultima tappa si susseguiranno infatti luoghi, scorci e paesaggi dalla bellezza sublime. Come il selvaggio Parco Naturale Svizzero, i sentieri della Val Mora e i laghi del Livignasco, tutti teatro della quarta tappa che segna anche l’ingresso in territorio italiano. A dir la verità rimpatriamo non senza un pizzico di tristezza: l’impressione è che nei territori di lingua tedesca la Transalp (e la mountain bike in generale) vengano vissute come un fenomeno di massa, una moda, uno sport da seguire e praticare per relax e divertimento. Non importa l’allenamento, tantomeno l’attrezzatura o l’abbigliamento: pedalare è uno stile di vita. Ed è proprio grazie a questa forte cultura outdoor se a ogni paese, a ogni incrocio, a ogni villaggio attraversato l’atmosfera di festa ed entusiasmo è tale tanto per i primi quanto per gli ultimi.

Questa tendenza bike-oriented caratterizza fortemente anche la giornata-tipo alla Transalp: la chiamano “Transalp-Life” ed è nient’altro che il vivere in funzione della bicicletta dall’alba al tramonto, assieme a tante altre persone accomunate dalla stessa passione. Sveglia, colazione, tappa. Lavaggio bici, doccia, lavaggio indumenti. Riposo, pasta party, sonno. Sveglia, colazione… e così via per una settimana, senza pensare ad altro, magari incappando pure in qualche esperienza originale come cenare in un rifugio a duemila metri di quota o fare il bucato al fiume come una volta. Senza contare poi i bellissimi e divertenti momenti del pasta party, dove tra premiazioni, musica, foto e video della tappa del giorno e briefing di quella dell’indomani, l’aggregazione tra i partecipanti raggiunge l’apice.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
Aggregazione che si fa tangibile quando, al giro di boa di Livigno, la corsa viene funestata da un evento luttuoso: all’alba un biker tedesco viene trovato deceduto nella sua camera d’albergo. La notizia, comunicata pochi minuti prima del via della tappa, fa piombare nello sgomento tutta la carovana e l’episodio, per quanto drammatico, ci fa capire cosa significhi essere parte della Transalp: a mancare non è stato un biker qualsiasi ma un compagno di viaggio.

Lo spirito di condivisione che accomuna tutti i partecipanti, forti e meno forti, dal pre-gara fino al pasta party serale, è infatti la vera magia della Transalp: l’affrontare una delle avventure più significative al mondo insieme a tante altre persone, attraverso le stesse fatiche, sofferenze, emozioni e difficoltà, vivendo per giorni fianco a fianco con biker di tutto il mondo, crea un fortissimo senso di appartenenza e amicizia. Ne è testimonianza anche l’applauso caloroso e sincero che, a tarda sera, viene rivolto dai biker arrivati già da ore a coloro i quali tagliano il traguardo di Ponte di Legno tra le tenebre, illuminati solo dai fari delle moto, dopo aver impiegato dodici ore per percorrere oltre cento chilometri, 3400 metri di dislivello, quattro salite di cui una chiamata Mortirolo e decine di chilometri di discesa proibitiva.

Sono proprio questi biker, i “desperados” dell’ultima griglia, a rappresentare nel migliore dei modi il “vero” spirito Transalp: a vederli non gli si darebbe una sola possibilità di finire anche una sola tappa, eppure a gente come il “ciccio” tedesco o i vecchietti costaricani non importa quanto tempo ci si impieghi, non importa quanta fatica si faccia. L’unico obiettivo è arrivare al traguardo, a ogni costo e con ogni mezzo a disposizione. C’è chi si fa trainare dal proprio compagno, chi si fa chilometri a piedi e chi si fa medicare dai dottori motociclisti, veri e propri angeli custodi che suturano ferite e dispensano flebo e medicinali direttamente sui sentieri di gara: è solo grazie al loro operato se in tanti possono presentarsi al via ogni mattina e proseguire l’avventura. Avventura che nel nostro caso continua tra le montagne dell’Adamello e le ciclabili della Val di Sole fino a Malè, proseguendo poi verso Madonna di Campiglio con la settima tappa, quella che sulla carta sembra essere la più semplice.
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Credits Delius Klasing Verlag GmbH
Tra le tante regole che la Transalp insegna c’è anche il non dover sottovalutare nulla. Ogni curva, ogni discesa, ogni istante - anche il più insignificante - possono rivelarsi decisivi. E allora ecco che proprio quando il traguardo sembra vicino, i miseri 47 chilometri della penultima frazione (iniziata con una temperatura vicina ai trenta gradi) si trasformano in un calvario di pioggia, freddo e fango. La situazione coglie un po’ tutti di sorpresa al punto che in cima al Rifugio Orso Bruno non si contano i biker tremanti e infreddoliti sotto l’acqua mista a neve. E’ in momenti come questi che la determinazione e la forza d’animo fanno la differenza: solo chi sa gestirsi con attenzione, intelligenza e lucidità  può arrivare indenne al traguardo.

Alla fine, con l’ultima frazione che sa tanto di ultimo giorno di scuola, la Transalp giunge al suo capolinea: le agognate sponde del Lago di Garda sono finalmente raggiunte.
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Credits Bike Transalp – Peter Musch
Sono stati otto giorni faticosi ed intensi, ognuno dei quali ha saputo regalare nuove emozioni, nuove fatiche, nuovi panorami e nuove montagne. Ma anche nuovi amici con cui condividere l’emozione e la consapevolezza sempre crescenti dell’impresa che andava compiendosi.Tagliata la linea d’arrivo ha inizio la festa: alla sera, dopo il classico pasta party, i festeggiamenti sono tutti per i “Finisher”. Maglie, medaglie, diplomi, foto, flash, interviste. In mezzo a questo trambusto ci si ritrova tutti sul palco a festeggiare, primi e ultimi, professionisti e turisti, allenati e fuori forma. E solo qui può capitare che, almeno per una volta, la standing ovation del pubblico ai vincitori sia dedicata anche a noi.

Stefano De Marchi
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Credits Bike Transalp – Peter Musch
2 Commenti
Pierpaolo Bridda
20/4/2015 06:35:18

Ciao,
Nel 88, seguendo la notizia della costruzione dell'autostrada Venezia Monaco (mai realizzata!), ho preso la mia mtb ed ho creato una vacanza da Vnezia a Monaco: però a Garmish mi sono intrattenuto con amici tedeschi conosciuti la, appassionati di MTB.
Nell'89 su loro invito abbiamo fatto il percorso inverso:da Munchen a ll'Italia, ma no a venezia, ma al lago di garda, più o meno sul tracciato che avete descritto, solo che percorso in circa 18/20gg.
Poi un loro amico/conoscente, Ulrich, ha "inventato" una gara qualche anno dopo...
Ciao
Pp

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neobios
11/10/2018 18:21:43

non è un'autostrada Venezia Monaco che dovevano costruire, ma una ciclopista... ne hanno realizzato una gran parte, ma mai conclusa (nella parte italiana, ovviamente), purtroppo!

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