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Il percorso de La Pedalonga 2016

15/7/2016

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Dopo alcuni anni di assenza, il 6 Agosto prossimo ritornerà La Pedalonga (www.lapedalonga.it), la marathon bike a coppie del Comelico che si svolse per l’ultima volta nel lontano 2011. L’evento si presenta con un percorso in parte rinnovato che abbiamo avuto modo di provare in anteprima insieme agli organizzatori dello Spiquy Team.

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La gara partirà a velocità controllato dalla piazza di Dosoledo, una delle tante piccole frazioni che compongono il comune di Comelico Superiore, e seguendo la Statale Carnica si raggiungerà prima Candide e quindi, in discesa, Sega Digon: è qui che verrà dato lo start ufficiale.
 
Pronti-via! E subito in salita, sulle difficile pendenze che risalgono la Val Digon. A Capella Tamai, in corrispondenza di un primo pianoro, si svolta a destra verso Costa con la strada che si restringe proseguendo a strappi fino all’uscita dal bosco.
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La salita continua, ora estremamente panoramica, verso il Monte Zovo: qui le pendenze medie sfiorano il 13% per circa due chilometri, fino a quando non si imbocca una sterrata dalle pendenze più moderate che si spinge verso il versante meridionale della montagna. Arriva anche il primo passaggio di una certa complessità, rappresentato da un single track particolarmente stretto ed esposto sul pendio boscoso che richiederà lucidità ed equilibrio per non mettere il piede a terra.
 
Si arriva così sulla mulattiera del “Sasso Grigno”: il fondo sterrato diviene via via più rovinato salendo di quota fino a raggiungere una radura, da dove si continua seguendo un bellissimo sentiero panoramico fino ai piedi del primo GPM, quello del Monte Zovo.
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Qui (ma non è ancora chiaro né confermato) è probabile che il percorso di gara raggiunga la cima del “gigante” della Val Comelico coprendo gli ultimi cinquanta metri di dislivello su traccia erbosa.
 
Con una larga mulattiera si scende ora fino al nuovo rifugio De Doò, affrontando poi due tornanti asfaltati e imboccando la rinnovata carrareccia per la Val Melin: questo tracciato, realizzato non più di due anni fa, corre nel bosco aggirando le imponenti vette dei Longerin seguendo un andamento altimetrico da non sottovalutare.
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Subito si perdono duecento metri di dislivello tra tornanti e tortuosità fino al guado del Rio Giao Storto, quindi si affrontano due brevi salite dalle pendenze a tratti estreme prima di scendere a gran velocità prima in Val Melin e successivamente, con un’insidiosa rotabile dal fondo scivoloso e sdrucciolevole, ai 1458 metri del Pian della Mola.
 
E’ giunta l’ora di affrontare la salita più difficile e lunga della gara, quella che dalla Val Digon conduce al Passo Silvella: la prima agevole parte si sviluppa sullo stretto fondovalle accompagnati dal piacevole e continuo scosciare del torrente, ma quanto iniziano i tornanti la storia cambia.
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Le pendenze si impennano di colpo per un chilometro e mezzo fino a Casera Silvella poi, se possibile, le cose si complicano ancora di più: l’asfalto lascia il posto infatti a una mulattiera decisamente sconnessa e rovinata, che serpeggiando sui pendii erbosi guadagna quota regalando grandiose viste sull’anfiteatro di cime circostanti.
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In realtà dopo l’ultimo tornante la mulattiera si fa un po’ meno pendente, ma nell’interminabile traverso finale il fondo diventa ancor più complicato raggiungendo l’apice della sconnessione nella parte finale, dove rocce, sfasciume e piccoli guadi caratterizzeranno l’arrivo ai 2329 metri di Passo Silvella.
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Ma non è ancora finita: uno stretto sentiero si arrampica ora sui ghiaioni del Col Quaternà raggiungendo la Sella omonima, da conquistare con un breve ma inevitabile tragitto a piedi; è probabilmente questo il passaggio simbolo della gara, nonché il punto più stupefacente del percorso: si arriva infatti in un ambiente di alta montagna, spoglio e desolato, dal quale la vista corre in ogni direzione regalando uno dei panorami più grandiosi della zona. E non è finita, perché da qui in poi sarà goduria pura.
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Si imbocca infatti il supertrail della Costa della Spina, uno strepitoso single track che per oltre sei chilometri corre tra i crinali erbosi regalando un’esperienza ciclistica di quelle da ricordare a lungo: il sentiero alterna dolci discese e qualche erta breve ma improvvisa, diventando nella seconda parte un tratturo di roccia mista ad erba condizionato da buche e canale dovute all’acqua e al pascolo.
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Nei pressi del Monte Spina la discesa si immette su una mulattiera, diventando poi ulteriormente ripida e per certi versi difficile nel successivo settore, disegnato appositamente per la gara a tagliare alcuni tornanti sul soffice fondo del sottobosco.
 
Al crocifisso de Le Federe la strada riprende a salire, anche se ora con poca convinzione, fino ai boschi della Federola. Se siete arrivati puliti fin qui, mettetevi il cuore in pace: adesso vi sporcherete un bel po’!
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Il segnavia 150 è abbastanza difficile per via delle tanti situazioni che si incontrano: sassi, sottobosco e radici animano la parte iniziale, quindi una serie di rigagnoli e aree paludose renderanno la picchiata più instabile, scivolosa e soprattutto fangosa. Nel finale il sentiero invece si allarga fino a trasformarsi in strada sterrata.
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Ora, nel bel mezzo della velocissima calata su Dosoledo, ci si ritrova davanti un vero e proprio muro, per di più abbastanza sconnesso, giusto dietro  una secca e fetente svolta a sinistra… e non è escluso che più di qualcuno debba scendere di sella. Fortunatamente più avanti l’ascesa continua meno pendente, scollinando il Troi dei Bacani (un sentiero tematico decorato con statue lignee ispirate ai lavori dei contadini) e scendendo comodamente a Casamazzagno.
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Dopo l’ultimo ristoro collocato nella piazza del paese ha inizio l’inedita discesa finale: dalle case di Casamazzagno si scende per prati fino alla chiesa della vicina Candide, imboccando poi un vecchio sentiero oggi ripristinato che taglia il pendio mantenendosi a una quota più o meno costante. Infine, quando ci si ritrova praticamente “sopra” Sega Digon, l’ultima planata condurrà direttamente sulla linea d’arrivo.
 
E il percorso corto?
 
Sarà identico al percorso più lungo fino al Pian de la Mola: poco più avanti devierà sulle pendenze mai impegnative del Bosco Ombrio e scendendo poi – ora si con un passaggio particolarmente ripido – verso il Pian Gallina. Da qui alla graziosa chiesetta di San Leonardo sarà tutta pianura e discesa fino al ristoro di Casamazzagno, ricollegandosi così alla discesa conclusiva già descritta.
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G.A.S. - Tappa #4

6/7/2016

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Tappa #4 / Castelluccio di Norcia > Visso

Dulcis in fundo, la tappa dei crinali: se googlate qualche foto dei Monti Sibillini in mountain bike, vi salterà sicuramente fuori una discesa erbosa, senza traccia né meta, dove la linea è tutta da inventare con astuzia e maestria. E finalmente, dopo quattro giorni, tocca pure a noi.

Prima però esploriamo i dintorni di Castelluccio, con un anello che si addentra nella curiosa vallata tutta curve verso Capanna Ghezzi e la gola rocciosa del Pian Perduto, ritornando di nuovo al punto di partenza.
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Quindi saliamo, ora sì spuntando sangue, lungo una carrareccia che si alza di quota regalandoci una visuale privilegiata su tutti i Piani, e che più avanti termina di colpo davanti a un prato dove la traccia diventa pressochè invisibile, ma la direzione è chiara: in cima!
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Scolliniamo un primo colle, quindi perdiamo quota e poi ancora verso l’alto, verso il Monte delle Rose che è anche la quota massima di questo nostro G.A.S.; attorno a noi vette e valli, mentre in fondo a sinistra scorgiamo pure la città di Norcia. Ora in discesa, zigzagando tra i prati arriviamo al Colventoso dove questa breve ma intensa esperienza “erbosa” ha fine.
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I classici sterrati compatti e poco ripidi tornano adesso a scorrere di nuovo sotto le nostre ruote: le difficoltà volgono al termine e non ci resta che superare le ultime facili risalite prima del Piano Antico, dal quale inizia la lunghissima (anzi, eterna) discesa conclusiva che ci riporta, dopo quattro giorni e circa 180 chilometri circa, a concludere questo nostro Grande e bellissimo Anello dei Monti Sibillini.
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G.A.s. - Tappa #3

5/7/2016

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Tappa #3 / Montefortino > Castelluccio di Norcia

Tappa regina: tanti chilometri, tanta salita, tantissima fatica. Partiamo di buon’ora verso le agevoli erte di Sossano e Isola San Biagio, con la Sibilla – la montagna simbolo della zona – che si staglia imperiosa di fronte a noi.
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Discesa tecnica verso il fiume Aso e ancora all’insù, ancora su pendenze pedalabili (il 10% sembra non lo conoscano da queste parti) fino ad Altino: nell’ultimo lembo di civiltà cediamo a un immangiabile panino prima di addentrarci verso il Sentiero dei Mietitori.

Per secoli questo percorso fu usato dai contadini per spostarsi di valle in valle, e oggi è diventato parte integrante del Grande Anello dei Sibillini: corre sotto il monte Vettore (che con i suoi 2476 metri è il più alto dei Sibillini) aggirandone tutto il versante est, che però non riusciamo ad ammirare a causa delle nuvole, che anche oggi sembrano volerci rovinare la festa.

Tra sentieri, mulattiere e single track invasi dell’erba sbuchiamo sulla strada per Forca di Presta, che raggiungiamo con l’ultimo strappo accompagnati da nugoli di mosche ormai affezionate. E poi… spettacolo!
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Il cielo si apre, le nuvole lasciano lo spazio al sole e il paesaggio dà il meglio di sé: saliamo tra i prati panoramici del monte Pellicciano, improvvisiamo una discesa sui sorprendenti sentieri del Colle le Cese e infine piombiamo a tutta velocità sui celebri, fantastici, incredibili Piani di Castelluccio.
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Prati sconfinati circondati da colli erbosi e alte montagne in ogni direzione, distese di fiori di ogni colore, dal giallo al rosso, dal viola al bianco, e Castelluccio abbarbicato sul cucuzzolo del colle a svettare su tutto; la fioritura di Castelluccio di Norcia è infatti uno spettacolo da non perdere: tra giugno e luglio la semina delle lenticchie ricopre i prati di fiori creando un gioco di colori unico nel suo genere.
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Restiamo anche noi affascinati da questo scenario, ma ben presto ritorniamo alla cruda realtà: Castelluccio è in cima a un colle, e la via scelta per raggiungerlo è ripida, sconnessa e sotto il sole a picco.
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Alla fine di una sofferenza epica arriviamo finalmente in paese… dove veniamo travolti dal traffico, dal rumore, dalla gente e dalle auto. Il principale (e unico) incrocio del paese sembra infatti un caotico crocevia da metropoli del terzo mondo, attorniato da edifici pericolanti e da una marea indistinta di insegne di attività turistiche: l’arte dell’arrangiarsi regna sovrana, ma finiamo comunque per trovar casa nel cuore del centro storico, in un appartamento dall’invidiabile vista sulla piana.
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G.A.S. - Tappa #2

4/7/2016

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Tappa #2 / San Lorenzo al Lago > Montefortino

Il tempo non sembra dei migliori, ma almeno non prenderemo la pioggia: dopo un riscaldamento sul lungolago iniziamo a salire, anche oggi come ieri lungo un’ascesa lunga e pedalabile. Un ameno paesino è l’ultimo segno di civiltà prima di addentrarsi tra montagne, valli, vette e distese infinite d’erba.
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Almeno, così dovrebbe essere sulla carta. E invece entriamo nel mezzo delle nuvole e l’unica cosa che vediamo per chilometri e chilometri è la bianca coltre della nebbia: peccato, perché sembra che dal Ragnolo e dal Pizzo di Meta la vista corra in ogni direzione per chilometri e chilometri, dall’Adriatico agli Appennini, dal Conero al Gran Sasso.
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Usciamo dalla nebbia che siamo quasi al rifugio Amandola, sotto il picco omonimo e sopra la cittadina dallo stesso nome. E per fortuna: la discesa del Balzo Rosso è entusiasmante, sia per i divertenti tratti di single track che per il panorama sulla valle sottostante, il tutto dominato dalla possente mole rossastra del Balzo.
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Da qui in poi tiriamo fuori il classico “capello dal cilindro”: ci inventiamo una discesa su tratturi vecchi e poco battuti che si rivelano una sequenza interminabile di sentieri uno più bello dell’altro fino alle porte di Amandola.

Viste le poche soste fatte per strada (causa nebbia) arriviamo in paese che è praticamente ora di pranzo… e quindi ci diamo dentro. Più tardi, con la pancia piena, anticiperemo la tappa del giorno dopo risalendo la valle del Tenna, superando inaspettate rampe bastarde fino alle porte di Montefortino, dove un suggestivo mulino fortificato del quattordicesimo secolo ci ospiterà per la notte.
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G.A.S. - Tappa #1

3/7/2016

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Da un po’ di tempo, con lo zampino di alcuni prezzemolini del web, i siti dedicati alla mountain bike si popolano spesso di contenuti su una meta del centro Italia, a cavallo tra Umbria e Marche, che il più delle persone fatica anche solo a collocare su una cartina geografica.

Stiamo parlando dei monti Sibillini, il gruppo montuoso racchiuso tra le province di Ascoli Piceno, Macerata, Perugia e Fermo (alzi la mano chi era a conoscenza dell’esistenza della provincia di Fermo…). Nonostante la presenza umana sia piuttosto diffusa, il territorio di questa zona resta ancora abbastanza selvaggio: si alternano infatti grandi panettoni erbosi e profonde vallate, fitti boschi e pareti di roccia, complessi sistemi di vette e una stupefacente quantità di torrenti e fonti d’acqua.
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Tante sarebbero le cose da dire sui Sibillini, dalle leggende millenarie che animano questi luoghi ai prodotti tipici del territorio fino alle attività agro-alimentari che tengono in piedi l’economia di questi paesi, ma siccome il rischio di commettere errori è troppo alto, vi diciamo solo che i posti sono straordinari, la cucina locale è eccellente e la gente del posto è accogliente e genuina.

Per tutto il resto vi invitiamo a farvi una cultura “da voi” curiosabdi sul sito del Parco Nazionale dei Monti Sibillini (sibillini.net) e sulla pagina Wikipedia dedicata (wikipedia.org/wiki/Monti_Sibillini).

Il Grande Anello dei Sibillini (G.A.S.)

Nell’ottica di promuovere il turismo sportivo e naturalistico, il Parco Nazionale dei Monti Sibillini ha creato una rete di percorsi e sentieri che coprono praticamente ogni angolo del comprensorio. Tra questi, il principale è il G.A.S., un percorso escursionistico di circa 124 Km che abbraccia l’intera catena montuosa: articolato in nove tappe, è completamente segnalato e permette di conoscere, oltre alla molteplicità di paesaggi e bellezze naturali, parte dell’inestimabile patrimonio storico culturale che questo territorio conserva.

Il Parco ha pensato anche alle due ruote: insieme al percorso classico è stato infatti messo a punto anche un anello destinato alla mountain bike, suddiviso in cinque tappe ma adattabile in diversi modi alle esigenze di ciascuno. Noi ad esempio l’abbiamo effettuato in quattro frazioni, studiate per scoprire tutto “il meglio” - o quasi – dei Sibillini.
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Se anche voi vorrete scoprire queste montagne in sella alla vostra mountain bike, i siti di riferimento sono Sibillini Bike Map (sibillinibikemap.it) e Sibillini MTB (sibillini-mtb.it): è anche grazie a questi due riferimenti che siamo potuti partire alla conquista del Grande Anello dei Monti Sibillini.

Tappa #1 / Visso > San Lorenzo al Lago

Si parte!
Lasciamo Visso che è ora di pranzo, risaliamo dolcemente la valle fino a Ussita e iniziamo quindi a soffrire: la Val di Panico (nomen omen) ci accoglie con pendenze proibitive che se affrontate – come stiamo facendo noi – col sole a picco fanno decisamente male. Per fortuna la salita continua poi più semplice sotto la parete rocciosa del… Sella? No, del Cristallo. Anzi no… Sassolungo? Macchè, siamo nell’Italia centrale ma il paesaggio sembra quasi dolomitico: l’imponente parete nord del monte Bove è infatti lo stupefacente scenario all’andata e ritorno sui due versanti della valle.
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Arriviamo così al caratteristico piccolo e vecchio borgo di Casali: fontana provvidenziale e pausa di rito. Poi ci facciamo tentare da un sentiero, all’apparenza fattibile ma che si rivelerà più avanti decisamente ostico: saliamo quindi per la “classica”, una rotabile larga e poco pendente che sale alta sulla valle permettendoci di raggiungere con relativa facilità il sorprendente GPM di giornata.

I Piani di Pao e tutto il successivo pianoro regalano infatti un panorama da urlo, sia sulle selvagge e profonde vallate circostanti che sui più lontani territori collinari delle Marche. Non mancano neanche greggi di pecore, i primi di una lunga serie che incontreremo durante questo viaggio.
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Infine la discesa: lunghissima, veloce, sinuosa, poco pendente. Un po’ come la salita, insomma, e iniziamo a sospettare (con gioia) che di rampe ripide da queste parti è difficile da trovarne. Intanto la nitida visione del lago di Fiastra appare laggiù, in fondo alla valle, e stanchi della monotonia della discesa imbocchiamo il primo sentiero che ci capita a tiro tagliando i tornanti e piombando nel bel mezzo di Fiastra in un baleno.
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San Lorenzo al Lago è la frazione più prossima al bacino artificiale: qui la nostra giornata ha termine, prima in relax sull’affollata spiaggia del paese quindi in un accogliente ma trasandato albergo che sa tanto di “casa della nonna”.
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Ride London 2015

15/8/2015

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Quello tra Londra e la bicicletta è un legame che dura dal 2005, da quando cioè il CIO assegnò alla capitale inglese l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 2012. Le Olimpiadi segnarono infatti d’avvio di un processo di innovazione e modernizzazione della mobilità londinese, che si aprì in maniera diffusa e definitiva alle due ruote.

Nonostante la complessa urbanistica cittadina e il traffico caotico, questo progetto ha già fatto passi da gigante: oggi Londra vanta uno dei servizi di bike-sharing più funzionali al mondo, insieme a una fitta rete di percorsi ciclabili tra cui le “cycle superhighways”, delle vere e proprie autostrade a due ruote che attraversano tutta la città. E per il futuro già si studiano percorsi sopraelevati o ricavati nei vecchi tunnel della metropolitana.

E’ in questo contesto di sensibilizzazione all’uso della bicicletta – ma anche di promozione e avviamento al ciclismo - che nel 2013 nasce Ride London, il weekend interamente dedicato alle due ruote durante il quale tutta Londra si ferma: nonostante sia solo alla terza edizione, con i suoi quasi centomila partecipanti è già diventato il festival ciclistico più grande del mondo.

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 Il via sabato con il Freecycle durante il quale settantamila ciclisti – di tutte le età e con ogni tipo di bici – hanno pedalato nel cuore di Londra lungo un anello di 15 chilometri interamente chiuso al traffico toccando i luoghi più significativi della città, dal Tower Bridge al Big Ben, da Westminster a St.Paul.

Nel tardo pomeriggio il Grand Prix ha coinvolto attorno a St.James Park prima le categorie giovanili e poi le atlete Elite con la prova vinta dall’italiana Barbara Guarischi. Non sono poi mancati momenti di goliardia e divertimento grazie al decimo Brompton World Championship, in sella alle caratteristiche bici pieghevoli e con dress-code rigorosamente lycra-free.

Domenica invece si sono svolti gli eventi più importanti: prima Ride London 100, la pedalata non competitiva dal parco olimpico a The Mall, poi la prova dedicata ai disabili e quindi, come gran finale, la prova dei professionisti (vinta dal lussemburghese Jean Pierre Drucker – BMC Racing Team) con al via campioni del calibro di Cavendish, Wiggins e Gilbert.
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Ride London 100

_Ride London 100 è una “sportive”, cioè un evento di massa non competitivo, con rilevazione del tempo ma senza alcun tipo di classifica: nel Regno Unito è un format ampiamente diffuso e apprezzato nel quale ognuno è in grado di trovare la propria dimensione e le proprie motivazioni. Se si aggiunge l’attrattiva di una metropoli come Londra e di un percorso di 160 chilometri (100 miglia) interamente chiuso al traffico, è facile immaginare il motivo di tanto successo.

I partecipanti sono stati infatti più di 25.000 (un centinaio gli italiani), selezionati a sorteggio tra gli oltre 85.000 pre-iscritti: numeri da capogiro che sono stati comunque gestiti al meglio da un’organizzazione già rodata da grandi eventi come le Olimpiadi, la Maratona di Londra  e il Tour of Britain, che per le operazioni di registrazione ha sfruttato i grandi spazi dell’Excel, il moderno centro congressi situato alla periferia est di Londra, e per la partenza l’immenso Queen Elizabeth Olympic Park.
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Il grande parco ereditato dalle Olimpiadi 2012, grazie ai suoi grandi spazi e alle numerose vie di accesso, ha permesso che le complesse e prolungate operazioni di partenza si svolgessero senza intoppi: all’ombra dell’ArcelorMittal Orbit, la torre panoramica simbolo degli impianti sportivi, le 59 partenze dalle sei diverse aree di ritrovo sparse per tutto il complesso si sono infatti susseguite dalle sei alle nove del mattino.

Da qui il percorso ha percorso autostrade e tangenziali fino ai grattacieli di Canary Warf, dirigendosi poi verso la City: la Torre di Londra ha segnato l’ingresso nel centro storico, dove The Strand, la cattedrale di St.Paul, Trafalgar Square, Pall Mall, Knightsbridge e il Museo di Storia Naturale sono stati la suggestiva ed esclusiva cornice che ha accompagnato il serpentone di ciclisti nel cuore di Londra.
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Un serpentone decisamente eterogeneo dove convivevano atleti esperti e ciclisti alle prime armi, che fluiva senza sosta per le strade londinesi in maniera costante (velocità di crociera 20 miglia orarie, circa 32 kmh/h) ma piuttosto disordinata (il “restare a ruota” era poco diffuso) creando inevitabilmente diverse situazioni di pericolo e alcuni rovinosi incidenti. Fondamentale era quindi mantenere alta l’attenzione, ricordando di tenere la sinistra e cercando di destreggiarsi al meglio nei continui sorpassi fatti e subiti.

Un tempo utilizzato dai Reali d’Inghilterra come riserva reale di caccia e oggi parco più grande di Londra, il Richmond Park accoglie Ride London 100 alla periferia ovest della città insieme ai daini e cervi ancora oggi presenti in gran numero nelle praterie e nei boschi della tenuta.
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I due ponti sul Tamigi a Kingston-upon-Hill e Hampton Court Palace segnano poi l’uscita dall’area metropolitana di Londra, e dopo più di quaranta chilometri di traversata da est a ovest si incontrano finalmente i primi scorci di campagna: si entra così nella contea del Surrey, una delle zone più verdi e boschive del Regno Unito che non a caso è scelta come destinazione d di Ride London 100.

Nel Surrey erano collocate le aree di ristoro (tre, una ogni quaranta chilometri) che andavano ad affiancarsi ai ben più frequenti rifornimenti idrici (uno ogni quindici chilometri): gli “hub”, così venivano chiamati, per accogliere il gran numero di partecipanti erano forzatamente collocati fuori dal percorso in grandi spazi aperti come parcheggi o parchi, talvolta con qualche lunga coda di entrata e uscita.
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Continui e rapidi saliscendi animano tutta la parte centrale del percorso, che si snoda tra pascoli e foreste incontrando anche le due facili asperità principali della corsa, Leith Hill e Box Hill (quest’ultima affrontata anche nella prova olimpica), che presentano una lunghezza di circa due chilometri ciascuna e pendenze che difficilmente superano l’8%.
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Proprio a Leith Hill è accaduta la tragedia che ha condizionato la giornata: uno dei partecipanti, il 55enne Stephen Green, è infatti collassato allo scollinamento perdendo la vita pochi istanti dopo. L’episodio ha avuto una ricaduta piuttosto rilevante dato che per agevolare l’intervento dei soccorsi è stata letteralmente bloccata la corsa, con qualche migliaio di partecipanti fermi in attesa per quasi un’ora e quelli in arrivo deviati su un percorso alternativo.

Al di là degli inevitabili risvolti umani, l’accadimento ha da una parte confermato l’alto livello organizzativo e la tempestività dei soccorsi, dall’altro ha fatto emergere la sportività dei ciclisti inglesi che hanno vissuto l’ora di attesa con pazienza e tranquillità, senza lamentele né tentativi di bypassare il blocco per vie alternative: un comportamento esemplare che dimostra lo spirito di aggregazione che accomuna il movimento amatoriale inglese.
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Rientrando verso Londra, sempre su strade veloce e filanti fatta eccezione per la rampa di Wimbledon Hill (che ha messo in difficoltà più di un partecipante), si attraversa per l’ultima volta il Tamigi seguendone poi il corso dal lato nord finchè la centrale elettrica di Battersea segna inequivocabilmente l'ingresso conclusivo in città.

La prova si avviava così al termine lambendo l’House of Parliament e il Big Ben, attraversando Trafalgar Square e l’Admiralty Arch, immettendosi infine sul Mall lungo il quale era posta la linea di arrivo. Poco distante, nei pressi di Buckingham Palace, un lungo deflusso conduceva a un affollatissimo Green Park dove per tutta la giornata ha avuto luogo il programma collaterale con intrattenimenti, eventi ed esposizioni.
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Ma vale davvero la pena partecipare a Ride London 100? In fondo, dal punto di vista prettamente tecnico Ride London 100 ha ben poco da offrire: il percorso estremamente facile, il paesaggio abbastanza monotono del Surrey e le inevitabili difficoltà logistiche non invogliano sicuramente alla trasferta oltremanica.

Sono ben altri semmai i motivi per esserci: la possibilità di pedalare nel cuore di una delle più belle metropoli del mondo transitando ai piedi dei suoi monumenti più significativi, il percorso interamente chiuso al traffico, l’organizzazione impeccabile, il pubblico numerosissimo e caloroso. E ovviamente il piacere di abbinare la bicicletta a una bella vacanza.
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Ma non solo. Chi partecipa a Ride London entra a far parte di un qualcosa di ben più grande, probabilmente anomalo per gli standard italiani ma non certo per quelli inglesi.

Ride London è soprattutto un modo per fare in beneficienza in favore delle tantissime associazioni (una settantina) che supportano l'evento: chi riesce a raccogliere sufficienti donazioni da amici, parenti e colleghi riceve maglia personalizzata e iscrizione agevolata.

D’altronde in U.K. lo sport viene visto anche come mezzo e non come fine, come occasione di sensibilizzazione e coinvolgimento nelle cause più disparate, più che semplice piacere di fare attività fisica.

Dieci milioni di sterline raccolte nel 2014 (e ancor di più quest’anno) in favore delle associazioni benefiche inglesi a supporto dell’ambiente, della ricerca, dei disabili e dei malati, fanno di Ride London un esempio da seguire.
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La prossima edizione di Ride London si terrà il 30-31 Luglio 2016. Le pre-iscrizioni apriranno il 10 Agosto 2015 e chiuderanno al raggiungimento di 100.000 posti, mentre il sorteggio si terrà a Febbraio 2016. Il costo di iscrizione per gli atleti straneri nel 2015 è stato di 86£ (circa 115€).
E’ possibile bypassare il sorteggio e ottenere un’iscrizione a prezzo agevolato aderendo alle iniziative benefiche e raccogliendo fondi per una delle associazioni aderenti a Ride London.

Tutte le informazioni sull’evento su www.ridelondon.co.uk.

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02.08.15 - Ride London 100
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Il percorso di 3EPIC

24/7/2015

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Un alone di mistero aleggia attorno alla prima edizione di 3EPIC, la marathon delle Tre Cime di Lavaredo che vedrà la luce ad Auronzo di Cadore il prossimo 5 Settembre. La folle curiosità attorno all’evento ha provocato addirittura il diffondersi di svariate dicerie, spesso vere e proprie leggende metropolitane senza capo né coda.

Vogliamo raccontare una volta per tutte com’è questo percorso? Ok, facciamolo!

Il Pian dei Buoi, la Val di Poorse e il Pian de Sera

Si parte da Auronzo, spalle alle Tre Cime e via in leggera discesa asfaltata verso Lozzo (i puristi già storceranno il naso, ma alla larga statale alternativa non c’è!).

Dopo poco più di otto chilometri, vicino allo svincolo per Lorenzago, oltrepassato il ponte sul Piave si sale leggermente fino a Lozzo e un chilometro più avanti comincia l’ascesa vera e propria.

I primi ottocento metri al 10% e oltre sono i peggiori, poi ci si innesta sulla rotabile principale e ci si arma di pazienza: si sale infatti per 11 lunghissimi chilometri immersi nel bosco con pendenze sempre agevoli (6-8%), su fondo asfaltato in buone condizioni ma i tornanti (ben 25) sembrano non finire mai.

La salita è noiosa, monotona e logorante, priva di vedute che non siano alberi e fogliame. Nell’ultimo chilometro il fondo diventa sterrato e il bosco si dirada: inizia finalmente lo spettacolo delle vette circostanti, su tutte le propaggini più orientali delle Marmarole che incombono proprio sopra il Pian dei Buoi.

Nei pressi del vecchio rifugio Marmarole (secca svolta a destra) la salita può dirsi completata, anche se in realtà si sale ancora un po’ fino a una galleria. Da qui l’eccezionale panorama sul Centro Cadore e le vette delle Dolomiti di Oltre Piave fa da sfondo al falsopiano che scende al Col Cervera e ai ruderi militari del Pian Formai.
Passando sul lato nord del Col Cervera si ammirano finalmente le Tre Cime di Lavaredo (ancora molto lontane) oltre a un’infinità di altre vette; con qualche saliscendi si attraversano i pascoli del Pian dei Buoi, “buttandosi” poi letteralmente in discesa.

La prima discesa di 3EPIC non va sottovalutata: la larga sterrata che scende in Val di Poorse invoglia a mollare i freni, ma il mix di pendenze elevate, fondo instabile e tornanti stretti e improvvisi potrebbe rivelarsi micidiale. Si tratta quindi di una discesa da affrontare con prudenza e attenzione, sia per le elevate velocità che si possono raggiungere che per le difficoltà che si avranno poi a rallentare.

Una radura con dei fienili segna l'arrivo in Val da Rin: un guado rinfrescante, una svolta secca a sinistra e la strada si impenna di nuovo.

Il dente del Pian de Sera fa male, molto male: pendenze sterrate attorno al 15% per almeno un chilometro, poi fortunatamente la strada spiana. Ma in discesa non è che vada tanto meglio: ora oltre alle pendenze elevate c’è pure il fondo un po’ malmesso.

In un modo o nell’altro si arriva comunque a valle, dove si prende la nuovissima ciclabile (sterrata) dell’Ansiei e la si segue per circa quattro chilometri fino all’imbocco della Val Marzon.

Il percorso corto

Il percorso più corto di 3EPIC si risparmia questo primo anello, percorrendo verso nord i sette chilometri che separano Auronzo dalla Val Marzon sulla ciclabile che verrà affrontata anche nel finale di gara.

Forcella Maraia

Diciamolo subito: la salita di Forcella Maraia, fatta da questo versante, è una delle più dure che possiate trovare in zona. All’inizio però non sembra così impegnativa: i primi 3,5 chilometri su asfalto puntano sì dritto verso le Tre Cime, che svettano in cima alla valle, ma con pendenze tutto sommato pedalabili.

Il peggio arriva al Cason de la Crosera, quando si devia a sinistra sullo sterrato della Val d’Onge incontrando subito le erte peggiori (si sfiora il 15%) ma su fondo tutto sommato in buone condizioni; fondo che poi diviene un po' più irregolare e sconnesso, mentre le pendenze si stabilizzano attorno al 10-12%. Qualche tratto per rifiatare c’è, ma almeno fino ai 1800 metri di quota si soffre, e pure tanto.

Dopo l’ultimo di una lunga serie di tornanti la scalata va via via addolcendosi: qualche rampa impegnativa c’è ancora, ma almeno fuori dal bosco ci si può distrarre ammirando le cime rocciose circostanti (impressionante in particolare il colpo d’occhio sul vallone appena risalito, dominato sullo sfondo da Croda dei Toni e Monte Popera). 
Si arriva finalmente a Forcella Maraia, collocata poco sotto il rifugio Città di Carpi e dominata dai pinnacoli rocciosi dei Cadini, concludendo così una scalata estenuante che i biker di metà classifica completeranno in non meno di un’ora e mezza di pura agonia.

Niente paura: il peggio è passato, da qui in poi inizia lo spettacolo.

Misurina e il Col de Varda

La discesa da Forcella Maraia sembra un tuffo nel vuoto. Vedere la foto per credere.

Illusioni ottiche a parte, la strada bianca è larga e compatta, ripida il giusto e con solo un po’ di ghiaino a renderla più scivolosa. Una volta dentro il bosco si torna all’insù con la contropendenza del Col de Varda, dapprima dolce e poi con un ultima rampetta più impegnativa affacciata sulla valle sottostante.
Si scende quindi definitivamente su Misurina lungo la carrareccia a tornanti che taglia più volte la pista da sci con pendenze elevate e il solito brecciolino a complicare le cose; dalla sponda sud dello specchio d'acqua si imbocca quindi il lungolago che tenendosi a pelo d’acqua conduce alla base delle salite per il lago di Antorno e il Monte Piana.

Monte Piana

L’accesso alle bici è tassativamente vietato, senza esclusione alcuna se non per alcuni permessi speciali riservati ai sopralluoghi organizzativi per 3EPIC (come nelle foto che vedete qui). L’unica occasione per accedervi in mountain bike sarà il 5 Settembre, in ogni altro giorno dell'anno si dovraà deviare sull'asfalto del lago di Antorno proseguendo poi fino al casello ai piedi delle Tre Cime.
Tecnicamente questa parte di percorso dice poco o nulla, ma la principale attrattiva qui è un’altra: da una parte la consapevolezza di pedalare in esclusiva su una strada “vietata”, dall’altra lo straordinario colpo d’occhio e la magnifica cornice naturale che accompagnano la salita.

La strada del Monte Piana sale a strappi, un po’ in asfalto e un po’ su sterrato, fino alla base della serpentina finale: qui la vecchia mulattiera si avvita aggrappandosi alla parete rocciosa superando gli ultimi cento metri di dislivello che separano da Forcella Alta, dove una fugace apparizione delle Tre Cime accompagna lo scollinamento.
Con un’altra ripida rotabile dal fondo misto asfalto-sterrato si ritorna verso Misurina, salvo poi deviare a sinistra su un sentiero poco battuto che – tra rocce, radici e qualche area umida – porta ai prati sotto le Tre Cime.
Dal casello del pedaggio si scende dolcemente sulla comoda strada bianca per Malga Rimbianco, nei cui vicinanze si inizia a salire. Un centinaio di metri su una traccia più stretta e quindi ci si innesta sulla salita della leggenda.

Le Tre Cime di Lavaredo

C’è poco da raccontare: 4 chilometri al 12% e anche di più. I primi tornanti sono i più facili, poi si esce dal bosco e si affronta il terribile drittone centrale. La mazzata finale la danno gli ultimi tornanti, alcuni dei quali veramente terrificanti.
Dato che al rifugio Auronzo in tanti non sapranno più come si chiamano, probabilmente non riusciranno neanche a godersi del tutto la vista da quassù. E il peggio deve ancora venire, distante solo un chilometro di panoramica mulattiera pianeggiante affacciata su Auronzo, 20 chilometri e 1400 metri di dislivello più in basso.

Lavaredo Supertrail

La discesa finale ha dato origine alle dicerie più varie e infondate. C’è chi pensa sia una discesa da downhill e chi sostiene si possa fare con una bici da ciclocross. Qualcuno dice sia vietata alle mountain bike, mentre altri se la immaginano da fare tutta a piedi. Per qualcun altro, ancora, è pericolosissima.

Cominciamo a fugare qualche dubbio: il sentiero che scende lungo il Vallon di Lavaredo (segnavia 104) ricalca il tracciato di una vecchia mulattiera militare e non presenta divieti di sorta. Data la sua lunghezza (più di 5 chilometri e quasi 1000 metri di dislivello) incontra ambienti e terreni molto diversi tra loro che rendono la picchiata estremamente variegata.
Proprio grazie alla sua origine militare ha un andamento sinuoso e regolare che permette di tagliare i pendii con numerosi tornanti intervallati da tratti rettilinei: si tratta in sostanza di un classico trail di alta montagna che richiede sia buona tecnica in discesa che – soprattutto – esperienza in ambienti d’alta quota. Scordatevi le comode discese rilassanti di altri eventi simili, qui servono lucidità e prontezza di riflessi per riuscire a stare in sella per quasi il 100% del sentiero.

Il livello tecnico del trail è quindi sì abbastanza alto, ma comunque decisamente lontano dagli standard delle discipline gravity: la bici ideale è una full-suspended leggera, mentre chi pedalerà su una front patirà molto di più le sconnessioni dovute al fondo roccioso.
A vederla dall’alto, questa discesa, può effettivamente incutere timore. Una volta dentro, complice la velocità mai elevata e l’assenza di punti particolarmente esposti, ci si accorge che pericoli seri non ce ne sono, per lo meno non più di tante altre discese.

Nel dettaglio, il Lavaredo Supertrail può essere diviso in quattro distinti settori:


1 – Il ghiaione
E’ il tratto più bello, sia per il paesaggio che per la morfologia del sentiero: i primi 500 metri di dislivello si snodano infatti su un ghiaione che offre una meravigliosa vista sia su Auronzo e il suo lago (verso il basso) che sulle Tre Cime di Lavaredo (verso l’alto).
Il trail è scorrevole e presenta rettilinei intervallati da tornanti più o meno stretti, ma comunque sufficientemente larghi da poter essere affrontati anche solo appoggiando il piede interno a terra. Non manca qualche piccola frana da superare di slancio.

La difficoltà maggiore in questa fase è data dal fondo spesso coperto da uno strato di rocce e ghiaia che potrebbe risultare insidioso nel caso di brusche frenate o cambi di direzione improvvisi.
2 – Il bosco
Al limitare del bosco una brevissima salita introduce alla parte centrale del trail: qui il tracciato si fa più lento e tortuoso e le pendenze più marcate; il fondo è mutevole, con tratti sassosi alternati a terra battuta e sottobosco, mentre qualche tornante risulterà più stretto di quelli affrontati nella prima parte. Non mancano alcuni passaggi su radici trasversali.

E’ senza dubbio la parte più tecnica della discesa, dove andrà prestata maggiore attenzione per via della vegetazione rigogliosa, le curve cieche e alcuni punti piuttosto impegnativi come ad esempio i ripetuti attraversamenti del torrente o alcuni passaggi franati: al momento della ricognizione (Luglio 2015) i tratti non ciclabili sono almeno una decina, molti dei quali verranno sistemati e resi percorribili nelle settimane immediatamente precedenti la gara. Due o tre passaggi saranno comunque da percorrere a piedi, ma si tratta comunque di non più di dieci metri per volta.
3 – Il greto del torrente
Dopo un tratto abbastanza filante si giunge all’intersezione con il sentiero 119: l’ultimo chilometro del trail (150 metri di dislivello) si sviluppa nel greto di un torrente in secca passando continuamente da una parte all’altra di esso. Il tracciato, dal fondo di nuovo roccioso con alcuni passaggi su sabbia fina, presenta attualmente delle brevissime interruzioni nell’attraversamento dell’alveo ghiaioso che verranno presumibilmente ripristinate in vista della gara.

4
– Il bonus track
Per limitate il più possibile l'asfalto della Val Marzon, gli ultimi 400 metri di dislivello verranno in parte coperti nel soffice sottobosco: numerose saranno le ondulazioni e i cambi di direzione in quella che sarà probabilmente la parte più veloce e divertente di tutta la discesa, anche se intervallata da alcuni inevitabili raccordi sulla rotabile già affrontata in salita a inizio gara.


Dopo tutta questa descrizione sul Lavaredo Supertrail, se ancora avete dei dubbi su cosa vi aspetta date un occhio a questo video:

L'arrivo ad Auronzo

I sette chilometri finali si snodano sulla ciclabile dell'Ansiei il cui fondo compatto permette di arrivare in vista del lago a gran velocità (se ancora si avranno le energie per farlo, ovviamente). Strada facendo si attraversa il ponte coperto di Reane, percorrendo poi gli ultimi due chilometri di gara sul lato destro della valle e tagliando il traguardo sul ponte di Transaqua.

Qualche considerazione personale?

Sarà una gara completamente diversa dalle altre, unica nel suo genere. Non si dovrà dare tutto in salita ma bisognerà conervare ancora tante energie per la discesa finale, dove a fare la differenza saranno lucidità e prontezza di riflessi.

Il percorso corto “basta e avanza”: è il clou dell’evento sia sotto l’aspetto paesaggistico che sotto quello tecnico, anche perché il tratto iniziale del percorso lungo - oltre al bel panorama - non regala nulla di particolare se non dislivello e fatica.

Chi intende concludere il percorso più lungo solo per l’orgoglio di arrivare “in qualche modo” alla fine, ma anche chi deve a tutti i costi “fare il tempo”, forse è bene che faccia una riflessione. Non è la Dolomiti Superbike, non è la Sellaronda Hero. Chi arriva “finito” alle Tre Cime corre il concreto rischio di non essere più in grado di scendere dal Vallon di Lavaredo: qui oltre al tempo massimo ci va di mezzo anche la salute visto che senza lucidità le probabilità di farsi male aumentano esponenzialmente. Insomma, ognuno si faccia un esame di coscienza e valuti le proprie reali possibilità: perdere una mezz’ora al rifugio a riposarsi, o addirittura girare la bici e scendere per l’asfalto, potrebbe essere la scelta migliore. Per una volta l’orgoglio o l’agonismo possono anche essere messi da parte.

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Black Forest Ultra Bike Marathon 2015

21/6/2015

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Un anno di pausa e Black Forest Ultra Bike Marathon ritorna, come e più forte di prima: la più grande marathon tedesca, la maggiore dell'Europa centrale, è tornata infatti sulla scena dopo l'anno sabbatico 2014 stabilendo un nuovo record di partecipanti.
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Quasi 5600 sono stati i biker che Domenica 21 Giugno hanno pedalato tra le alture della Foresta Nera, non lontano da Friburgo, nel sud-ovest del paese: Kirchzarten, piccolo centro alla periferia del capoluogo del Baden-Württemberg, ha ospitato la diciassettesima edizione dell'evento che ha fatto la storia della MTB europea.

Ben cinque i percorsi a disposizione, dal classico Ultra di 117km. e 3150m. di dislivello al Marathon (77km./2050m.), passando per i percorsi Power Track (88km./2300m.) e Short Track (42km./900m.) con partenza dalla località di Hinterzarten fino allo Speed Track (51km./1180m.) da Todnauberg.
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L'anno di pausa non ha intaccato la macchina operativa della manifestazione, che ancora una volta si è confermata ai massimi livelli garantendo a tutti i partecipanti servizi di prim'ordine, dalle operazioni pre-gara ai transfer in treno e bus per i percorsi Power, Short e Speed Track, fino alla gestione del tracciato che - in una giornata come quella di domenica - si è rivelata molto più complicata del previsto.
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La gara è stata infatti caratterizzata da un clima autunnale, con pioggia e freddo che hanno flagellato la corsa rendendola molto più impegnativa del previsto: il percorso – che si snoda quasi totalmente su larghe strade forestali - ha risentito di queste condizioni diventando estremamente scivoloso per via del fango, che oltre ad aver messo a dura prova i mezzi meccanici ha causato anche numerose cadute nelle posizioni di vertice.

Alla fine a primeggiare sulla distanza regina sono stati Andreas Seewald tra gli uomini e Silke Schmidt tra le donne. Presente anche una nutrita rappresentanza italiana con circa 70 atleti al via.

Tuttavia, aldilà della grandezza dell'evento e della qualità organizzativa, Black Forest Ultra Bike Marathon continua a contraddistinguersi anche sotto altri aspetti.
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La Foresta Nera, innanzitutto, è un territorio dall'indubbio fascino: qui si pedala immersi nella natura per chilometri e chilometri, attraverso laghi, valli, fitti boschi e ampi pascoli che circondano idilliaci paesini in mezzo al verde. Di tanto in tanto poi ampi panorami regalano spettacolari vedute sulle alture del sud-ovest della Germania, arrivando a scorgere nelle giornate più limpide i Vosgi francesi e le colline Svizzere.
Tutti questi elementi rendono la Foresta Nera una tra le destinazioni migliori per la mountain bike, con oltre tremila chilometri a disposizione per pedalare dai 270 metri di Friburgo fino ai 1493 metri del Feldberg, la montagna più alta del comprensorio. E per la fine dell'estate l'offerta si arricchirà con il nuovo"Gipfel-Trail", un anello di 160 chilometri che toccherà le quindici vette più importanti della "Schwarzwald" meridionale
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L'altra peculiarità dell'evento è la massiccia partecipazione della popolazione locale: l'evento catalizza infatti l'attenzione di tutta la regione, al punto da diventare un appuntamento immancabile per le centinaia di persone che partecipano festose lungo tutto il percorso; l'apice viene raggiunto ad Aftersteg, probabilmente il passaggio più rappresentativo della corsa, dove i duecento ripidissimi metri tra le case del paese vengono presi d'assalto dagli spettatori che numerosissimi supportano gli atleti tra trombe, campanacci e musica sparata ad altissimo volume.
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Tutto questo perché alla fine Black Forest Ultra Bike Marathon, più che una manifestazione sportiva, è una grande, bella e spassosissima festa. Una festa dove il divertimento la fa da padrone, dove l'entusiasmo per le due ruote viene prima di tutto, dove il coinvolgimento fisico, mentale ed emozionale raggiunge livelli impensabili. Dove non importa su che bici pedali, o quanto allenato sei: l'unica cosa che conta, da queste parti, è esserci.

Stefano De Marchi - Foto Credits Sportograf


Sito web:
www.ultra-bike.de
www.bikeandmore.com –Referente italiano dell’evento
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Paris-Roubaix Cyclo 2014

8/6/2014

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Un weekend di full immersion nelle classiche "monumento" del pavè in occasione della Paris-Roubaix cicloturistica: dalle pietre di Arenberg a quelle del Grammont, dal Museo della "Ronde" ai muri del Giro delle Fiandre, passando per i leggendari settori di pavè dell' "Inferno del Nord".
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07.06.14
Arenberg & Grammont

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07.06.14
CRVV

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08.06.14
Paris-Roubaix Cyclo

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09.06.14
Muri delle Fiandre

Mors tua, vita mea

 “Che stronzata!”  [Bernard Hinault]
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Chiunque starà pensando che per correre la Parigi-Roubaix tanto sani di mente non bisogna essere: già il ciclismo è uno sport di fatica, se ci si mette poi anche la penitenza di correre sui sassi allora si passa al puro masochismo.

L’unico modo per amare tutto questo è essere dei malati di classiche del nord, avere cioè una smisurata e perversa passione per le corse monumento del pavé – Fiandre e Roubaix su tutte. Solo così si può veramente apprezzare e capire il significato di pedalare da queste parti: ci vuole il giusto mood, il giusto approccio, la giusta determinazione e la giusta testardaggine, perché solo chi è più duro delle pietre ne esce vincitore.

Anche perchè alla Roubaix non si guarda in faccia a nessuno: per arrivare in fondo incolumi bisogna armarsi di tanta, tantissima cattiveria. Cattiveria nell’affrontare il pavé, nel maltrattare la propria bicicletta, e pure verso gli altri ciclisti che ti stanno attorno. Perché se stai davanti tieni il tuo passo e segui la linea migliore, e tocca semmai agli altri pedalare sullo sporco e sulle buche, sul fango e sulle pozzanghere. Ogni pavè una volata. Ogni pavè una guerra. “Mors tua vita mea”.

Roubaix for dummies (“non è una corsa per fighette”)

“L’esatta definizione dell’inferno” [Filippo Pozzato]
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La Parigi-Roubaix è una corsa ciclistica che si svolge nel nord della Francia, in prossimità della frontiera belga, nel mese di Aprile. E’ famosa per i numerosi settori in pavé, caratteristica unica di questa corsa, ossia tratturi di campagna pavimentati con blocchi irregolari di pietra che rallentano la corsa e causano sobbalzi e vibrazioni provocando cadute, forature e rotture meccaniche. Ogni settore viene classificato per difficoltà in base a lunghezza, sconnessione e condizioni di mantenimento generale: i settori più difficili vengono identificati con cinque stelle e sono la Foresta di Arenberg, Mons-en-Pevele e il Carrefour de l’Arbre. Non di rado la prova viene poi flagellata dal maltempo, con un sensibile aumento della scivolosità del manto stradale per la presenza di fanghiglia e pozze d’acqua.

La versione cicloturistica dell’evento si tiene nel Giugno degli anni pari da Bohain-en-Vermandois a Roubaix, lungo un percorso di circa 212 chilometri dei quali 55 distribuiti su 32 tratti di pavé. E’ presente anche un percorso più corto di 120 chilometri con partenza da Arenberg. Ai ciclisti che concludono la prova viene consegnato un blocco di porfido, replica in scala ridotta del trofeo assegnato al vincitore della corsa professionistica.

Per la sua particolare durezza la Parigi-Roubaix è anche nota come“Inferno del Nord”, anche se in origine tale appellativo non venne associato alla difficoltà della corsa bensì alla desolazione e alla distruzione dei campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale attraversati dall’edizione 1919 della corsa.
“Mentre ci dirigevamo a nord l’aria ha cominciato a puzzare di acqua marcia, di liquami, del fetore del bestiame in putrefazione. Gli alberi divennero ceppi consunti e anneriti, con i loro rami contorti spinti verso il cielo come le braccia paralizzate di un uomo morente. Il fango era ovunque. Nessuno sa chi per primo lo descrisse come “inferno”, ma non c'era sicuramente parola migliore per rappresentarlo. E fu così che apparve il giorno dopo sui giornali: la piccola corsa ciclistica aveva visto l'Inferno del Nord.” [Procycling]

Pavé asciutto o pavé bagnato?

“Una Roubaix senza pioggia non è una vera Roubaix. Meglio se c’è anche un po’ di neve” [Sean Kelly].
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Per correre sul pavé servono tecnica ed equilibrio, lucidità e colpo d‘occhio. Nulla a che vedere con il ciclismo su strada, molto di più invece con ciclocross e mountain bike. E difatti i ciclocrossisti e i biker li riconosci subito, abili a destreggiarsi tra il viscido pavè ricoperto di fango o pedalare veloci sugli strettissimi corridoi di terra a bordo strada. E individui subito anche gli stradisti puri, decisamente più goffi e impacciati quando le ruote perdono aderenza.

In ogni caso, a pedalare sulle pietre ci si deve essere portati. Anche perché a terrorizzare più di ogni altra cosa non sono le pietre in sè ma l’incognita meteo: è dal 2002 che aspettiamo di assistere in TV allo spettacolo di una Roubaix “bagnata” e ci manca solo che - dopo dodici lunghi anni di attesa - a sguazzare nel fango tocchi proprio a noi. E infatti, tanto tuonò che piovve. Acqua a catinelle per tutta la notte fino a poco prima della partenza.

Quindi tocca correre sul viscido. Che contrariamente a quanto si possa pensare non è poi così male: l’acqua ammorbidisce il terreno e il fango riempie le fughe tra una pietra e l’altra, livellando la superficie e assorbendo gran parte delle vibrazioni. Certo, la bici tende a scappare da tutte le parti, ma con un po’ di dimestichezza nella guida si tratta di un problema secondario (vedasi biker e crossisti di cui sopra). Ci sono anche aspetti negativi, ovviamente: la linea da seguire è una sola, quella battuta lungo la “schiena d’asino” centrale, mentre se si è costretti a cambiare traiettoria (per un sorpasso, ad esempio) è bene farsi prima un bel segno della croce. E di percorrere la banchina non se ne parla: l’infangata è assicurata.

Col passare delle ore le condizioni vanno comunque via via migliorando fino ad incontrare “strade” secche e polverose già a metà percorso. E qui il discorso cambia: la parte centrale del pavé resta sempre la migliore (se non altro è in discrete condizioni rispetto alle zone più laterali, devastate dal passaggio delle ruote dei trattori) ma con l’asciutto gli scossoni aumentano vertiginosamente. Ecco allora che quei pochi centimetri di terra a bordo strada diventano preziosissimi. Almeno ci si risparmia l’effetto frullatore, ma bisogna restare sempre all’erta su cosa si nasconda tra i ciuffi d’erba: buche e pozzanghere sono in agguato, come anche sassi o addirittura interi blocchi di pietra sradicati dalla loro sede naturale.

Quindi, tornando alla domanda iniziale, è preferibile un pavé asciutto o bagnato? Nel primo caso la velocità è sicuramente superiore, ma nel secondo le vibrazioni risultano parecchio attenuate. Chi ha “manico” si troverà a suo agio sul bagnato, ma se ci si spaventa all’idea che le due ruote della  bicicletta non seguano la stessa linea retta…. meglio respirare la polvere.

Stelle (e pietre) a casaccio

 “E’ come se avessero arato una strada sterrata ricoprendola con un mucchio di pietre lanciate da un elicottero. Ridicolo.” [Chris Horner]
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Come già accennato, ogni settore di pavé è catalogato per difficoltà in base alla lunghezza, sconnessione e condizioni di mantenimento generale: l’unità di misura sono le stelle, in numero variabile da una a cinque. Il che farebbe pensare che esistano pavé facili, pavè medi e pavé difficili.

Nulla di più sbagliato. Di pavé facile, alla Roubaix, non ce n’è un solo metro. Più precisamente, la sua difficoltà oscilla dal “v-v-i-b-r-r-a-t-t-t-u-u-u-t-t-t-t-o-o-o-o-o” (una stella) al “quantomanca???” (due stelle), passando per il “machimelhafattofare” (tre stelle), fino ad arrivare al top con “datemidellamorfina” (quattro stelle) e il “facciotestamento” (cinque stelle).

La catalogazione in stelle risulta pure piuttosto bislacca, col risultato che un pavé sulla carta “semplice” (ad esempio Marc Madiot, 3 stelle, 1400 metri) si riveli decisamente più impegnativo di altri settori lunghi e complessi come quelli di Haveluy (4 stelle, 2500 metri) o Mons-en-Pevele (5 stelle, 3000 metri), dove magari la gran quantità di terra riportata dai mezzi agricoli contribuisce a “spianare” le buche tra una pietra e l’altra.

E pure quei fottutissimi Gruson e Hem, i “due stelle” finali che i vari Bulbarelli, Cassani, Pancani e compagnia bella ci hanno sempre spacciato per facilissimi, diventano una mezza agonia anche sul cordolo d’asfalto, talmente zeppo di buche e rattoppi che tanto vale continuare a centro strada.

Pedalare sul pavé

“Se non hai gamba, questo è il posto peggiore in cui ti possa trovare” [Jo Planckaert]
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Dopo un po’ lo capisci da solo: ogni pavé fa storia a sé. In sostanza, non sai minimamente cosa ti aspetta finché non ci sei sopra: solo allora scopri se farà male oppure no. Se il pavé è abbastanza livellato le braccia sentono solo fastidio, ma se la pavimentazione è irregolare, con le pietre ognuna ad un’altezza diversa e distanti le une dalle altre, allora si salvi chi può: il fastidio diventa vero e proprio dolore.

Il “colpo di pedale” diventa quindi fondamentale per ridurre le vibrazioni e accorciare l’agonia: una pedalata rotonda distribuisce la spinta in modo omogeneo mantenendo la bicicletta ben piantata al terreno, mentre un rapporto lungo (ma non troppo) garantisce una buona velocità di crociera che stabilizza ed equilibra l’andatura.

Il vero segreto per superare indenni il pavé è però la velocità: più si va veloci e più si “galleggia” sulle pietre. Più si galleggia e più è facile andare ancora più rapidi. Un circolo virtuoso da gestire con parsimonia per non finire in fuori giri. Ma anche un crudele e spietato circolo vizioso se applicato al contrario: se cala l’andatura aumenta la violenza dei sobbalzi, la velocità cala ancor di più e magari ci si ritrova ad annaspare zigzagando da un lato all’altro della strada.

Ed è così che comprendi – direttamente sulla tua pelle – come sia possibile che un chilometro di pavé in pianura faccia più selezione di tante salite asfaltate.

Un film già visto

”E’ un circo, e non voglio essere uno dei clown” [Chris Boardman]
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Un rettilineo in leggera discesa, un passaggio a livello, e il gruppo che entra a sessanta all’ora in un tunnel verde dritto come un fuso. Bici che sobbalzano, cadute, corridori che serpeggiano a destra e a sinistra sperando in una via più scorrevole. L’inquadratura frontale e i ciclisti che sembrano praticamente fermi. La Foresta di Arenberg.

Curva a destra, casa in mattoni rossi sulla sinistra. Inizia il pavè. Curve in successione. Sinistra-destra-sinistra. Poi incrocio, curva secca a sinistra e drittone. L’attacco di Cancellara tra due ali di folla. Le bandiere con il Leone delle Fiandre. La vecchia taverna in lontananza. Il Carrefour de l’Arbre.

La Flame Rouge, il bivio “Autos-Coreurs”, e quella svolta secca a destra un po’ incerta. L’ingresso nello stadio del ciclismo con le curve sopraelevate e il pubblico in visibilio. L’ultimo giro, la campanella che suona, poi il traguardo. Il velodromo di Roubaix.

Chiedere a un patito di corse del pavé cosa significhi pedalare sulle strade della Roubaix, è come domandare a un appassionato di auto di guidare a Montecarlo, o a un calciofilo di fare due tiri a pallone al Maracanà. 

E’ un’emozione unica, ma anche un gran divertimento. Te ne freghi della pioggia o del caldo, del fango o della polvere, vuoi solo pedalare su quel pavé che tanto hai  desiderato. Attraversi luoghi così familiari pur non essendoci mai stato prima. Riconosci la curva, la casa, il cartello, l’incrocio, il passaggio a livello: davvero, sembra di essere catapultati dentro a un film visto più e più volte, in televisione, ogni seconda domenica di Aprile.

Eppure il nord della Francia sembra tutto uguale, così monotono e sempre uguale a sé stesso, tra campi coltivati dai quali spunta ogni tanto qualche piccolo paesino nel bel mezzo del nulla. Ma ha comunque un suo fascino: come le verdi colline e i dolci saliscendi della Piccardia illuminati dalle prime luci del mattino, o i fitti boschi verso Arenberg, o ancora le tantissime strette stradine che tagliano le immense distese di frumento.

E il pavé, che anch’esso potrebbe sembrare sempre lo stesso da qualsiasi parte lo si guardi, riesce comunque ad avere sempre una particolarità che lo distingue dagli altri. Sui settori di Templeuve c’è il mulino, al Pont Gibus il vecchio ponte ferroviario dedicato a Duclos-Lassalle, a Haveluy l’enorme pozzanghera in ingresso, al Buat un’inaspettata salita 7%. E ancora, le folli discese fangose di Troisville e Viesly, l’andirivieni di Cysoing, le curve di Pont Thibault e il monumento a Marc Madiot. Senza dimenticare Arenberg e il Carrefour de l’Arbre, due luoghi leggendari che hanno fatto la storia del ciclismo e che da soli valgono il prezzo del biglietto.

"Au Vèlodrome"

“Questa è la corsa più bella del mondo” [Theo de Rooij]
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E alla fine arrivi al leggendario velodromo di Roubaix, con le lastre di cemento rosato e quelle curve sopraelevate inaspettatamente ripide. Tutto si conclude in un attimo. Ti guardi attorno, e ti rendi conto che questo luogo lo conosci molto bene. L’hai già visto in TV, ma non solo. E’ qualcosa di più.

L’hai osservato centinaia di volte, l’hai desiderato, hai sentito la sua presenza anche senza notarlo, fino a farlo diventare  inconsapevolmente parte integrante della tua vita.

Già, quel quadro. “Au Velodrome”. Jean Metzinger raffigura Charles Crupelandt che vince la gara di casa. Correva l’anno 1912, albori del futurismo. Velocità, tecnologia, progresso, innovazione… alla Roubaix, la corsa più anacronistica di tutti i tempi.

Un secolo dopo quel quadro ce l’hai appeso in camera. E’ l’ultima cosa che vedi prima di addormentarti e la prima quando ti svegli. E finalmente realizzi cosa sia stata questa Parigi-Roubaix.

Oggi non hai raggiunto un obiettivo, non hai vinto una sfida, e nemmeno compiuto un’impresa. Molto più semplicemente, hai realizzato un sogno. Merci, Roubaix!
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Nationalpark Bike Marathon 2013 - Scuol (SUI)

31/8/2013

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Podio tutto svizzero alla dodicesima edizione della Nationalpark Bike Marathon, la celebre marathon elvetica andata in scena sabato 31 Agosto a Scuol. A vincere, con il tempo record di 5h30m11s, è stato il Campione del Mondo Christoph Sauser, al suo secondo sigillo in Engadina dopo quello del 2007, anche allora ottenuto in maglia iridata e, curiosamente, con lo stesso ordine d'arrivo.
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Sauser ha faticato non poco a togliersi di ruota Urs Huber: il portacolori del Team Bulls si è arreso solo nella salita finale verso Guarda, accusando al traguardo un ritardo di poco superiore al minuto. Encomiabile poi la prestazione di Lukas Buchli, che nonostante le due costole rotte in una caduta nei giorni precedenti la gara è riuscito comunque ad agguantare un insperato terzo posto nella corsa di casa.

Ultima salita decisiva anche nella competizione femminile, con la vittoria di Milena Landtwing su Ariane Kleinhans; più staccata, al terzo posto, l'inglese Jane Nuessli.
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La Nationalparkbike Marathon, con i suoi 137 chilometri di lunghezza e 4026 metri di dislivello, rientra di diritto nel novero delle competizioni più impegnative d'Europa: ogni anno attrae infatti biker da tutto il continente pronti a sfidare il celebre “Vallader”, il percorso che prende il nome dall'idioma Romancio parlato in Bassa Engadina e che effettua il periplo completo del Parco Nazionale  Svizzero toccando alcuni degli ambienti più selvaggi e incontaminati dell'intero arco Alpino.

A garantire il carattere unico di questo paesaggio sono le particolari regolamentazioni del parco, che da quasi cento anni lo tutelano proibendo ogni tipo di intervento umano al suo interno e consentendo così alla natura di evolversi liberamente.
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Per i meno allenati la Nationalpark Bike Marathon presenta comunque altri percorsi più corti che partono da altrettante località posizionate lungo il tracciato “Vallader”, ripercorrendone così soltanto la parte finale. Da Fuldera, in Val Müstair, inizia lo “Jauer” (103km./2934m.), da Livigno il “Livignasco” (66km./1871m.) e da S-chanf, in Engadina, il "Puter” (47km./1051m.). Le stesse località ospitano anche le aree “cambio” per il team-relay da due o quattro staffettisti, mentre il percorso più corto si rivolge anche ai più giovani grazie alla particolare formula “Gross und Klein” per coppie formate da un adulto e un ragazzo di massimo 16 anni.
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Le operazioni pre-gara per tutti i quasi 2000 iscritti si sono svolte all'interno dello stadio del ghiaccio, sede logistica dell'evento, compresi il pasta party del venerdì sera, la colazione del sabato mattina (a partire dalle ore quattro) e il bike-park sorvegliato per la notte precedente la gara; il costo di iscrizione (da 49 a 78 euro a seconda del percorso) comprendeva l'eventuale trasporto al punto di partenza con bus o treno, mentre un paio di manicotti personalizzati con il logo dell'evento rappresentavano il contenuto del pacco gara.
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Tutta la gara si è svolta in condizioni meteo perfette, con cielo terso e temperature gradevoli che hanno regalato ai partecipanti una giornata ideale per pedalare alle alte quote: quasi metà dei 137 chilometri del “Vallader” si snodavano infatti sopra i 1800 metri, con quattro scollinamenti oltre i 2200m. e la quota massima raggiunta ai 2694m. del Passo Chaschauna.
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L'avventura prende il via alle ore 7.15. Dopo un breve passaggio a velocità controllata tra le vie di Scuol inizia la salita verso il Passo Costainas: lunga ma facile, risale per oltre venti chilometri la Val S-Charl toccando l'isolato omonimo villaggio fatto di case in legno e stalle affacciate sulla piazzetta. Un bel single track raggiunge infine i 2251m. del valico, dal quale una veloce discesa conduce al ristoro di Fuldera in Val Monastero.
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Con pendenze più accentuate ma costanti si valica poi il Doss Radond (2234m.) entrando così nella meravigliosa Val Mora tra montagne scoscese, prati sconfinati, torrenti impetuosi e pareti di roccia verticali, immettendosi poi nel celebre single track nella gola: un trail compatto e veloce strappato alla montagna, a picco sul torrente che scorre qualche decine di metri più sotto e dove anche il minimo errore rischia di costare caro.
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Si entra quindi in Italia: toccato il Lago di San Giacomo e affrontato il facile Passo Alpisella (2299m.) si arriva a Livigno, esattamente a metà gara, dove inizia la parte più temuta e impegnativa.

La durissima ascesa ai 2697 metri del Passo Chaschauna è infatti una sorta di spartiacque: da una parte le salite e i tanti chilometri già affrontati, dall'altra tutta discesa fino alle porte di Scuol. Alla Nationalpark Bike Marathon si usa dire che una volta arrivati sul Chaschauna si riesce già a vedere l'arrivo.

Dopo una prima parte sul fondo della Val Federia la mulattiera si impenna in maniera vertiginosa superando seicento metri di dislivello in soli tre chilometri. Nonostante il fondo in perfette condizioni, solamente i top rider riescono a coprire in sella tutta l'ascesa: gli altri non possono far altro che spingere, molti anche per l'intera lunghezza della salita, godendo comunque degli eccezionali panorami sempre più ampi sulle vette e i ghiacciai delle Alpi Retiche.
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Dalla cima il più è fatto: una lunghissima e adrenalinica picchiata raggiunge il fondovalle Engadinese e i suoi caratteristici paesini, scenario dei successivi venticinque chilometri sempre tendenti a scendere. La dolce risalita al pittoresco villaggio di Guarda e gli agevoli saliscendi verso Ftan rappresentano solo le ultime difficoltà prima della picchiata sul traguardo.

Nonostante i semplici dati di lunghezza e dislivello possano impressionare, le caratteristiche della Nationalpark Bike Marathon la rendono appetibile a una platea di biker molto più ampia di quanto si possa pensare: le salite regolari, i lunghi tratti di discesa e falsopiano, la scorrevolezza delle piste sterrate e  il basso livello tecnico richiesto, uniti alla relativa facilità degli ultimi sessanta chilometri, fanno sì infatti che per una volta – più che le gambe – a contare siano testa, esperienza e capacità di gestire gli sforzi.
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Se però 137 chilometri e 4026 metri di dislivello dovessero comunque essere troppi, l'ente turistico della Bassa Engadina ha creato il “Parco Nazionale Bike Tour” con il quale suddividere il percorso in tre o quattro tappe avendo a disposizione supporto logistico e trasporto bagagli. Un'opportunità in più quindi per pedalare lungo uno degli itinerari più gettonati delle Alpi, talmente frequentato da essere identificato addirittura da un proprio segnavia, il “444”.

E' già stata fissata intanto la prossima edizione della manifestazione: prevista per Sabato 30 Agosto 2014, sarà anche occasione per festeggiare il centesimo anniversario della fondazione del Parco Nazionale Svizzero.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

 Sito internet:
www.bike-marathon.com

Classifiche:
http://services.datasport.com/2013/mtb/3lander/

Fotogallery:
www.flickr.com/photos/engadinscuolsamnaun/sets/72157635321543109/with/9644683198/
www.sportograf.com/bestof/1868/
http://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/310813NationalparkBikeMarathon
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