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Sicilia Coast to Coast - Tappa #5

24/3/2013

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Siculiana Marina – Agrigento (38km. / 550m. disl.)

E’ l’ultimo giorno in terra sicula, anche questo  caratterizzato dal sole e dal forte vento contrario. Le ultime decine di chilometri di viaggio si snoderanno tutte lungo la costa per poi salire alla città di Agrigento.

Lasciamo Siculiana Marina percorrendo l’ennesima ferrovia di questo tour, quella che univa Castelvetrano ad Agrigento: pedaliamo comodamente sulle larghe sterrate e le strade secondarie che hanno preso il posto della via ferrata, incontrando un tratto erboso nel quale si celano ancora le rotaie e le traversine. Entriamo così nel comune di Realmonte, dove un veloce tratto di discesa lambisce la roccia calcarea arrivando al livello del mare in località Punta Grande.
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Seguendo il bagnasciuga raggiungiamo la baia che i pirati saraceni usavano come riparo nelle loro incursioni, da cui il nome alla grande bianca falesia detta Scala dei Turchi: la celebre sporgenza rocciosa, direttamente a picco sul mare, è raggiungibile solo via spiaggia o con una ripida e lunga scalinata; la battigia tuttavia risulta pesantemente erosa dal mare e non possiamo far altro che ammirarla da lontano.
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Ritornati a Punta Grande proseguiamo sul litorale fino a Porto Empedocle, nella cui via principale è posta una curiosa statua a grandezza naturale del Commissario Montalbano, il personaggio inventato dello scrittore Camilleri che vede le proprie vicende ambientate proprio in queste terre.
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Ci avviciniamo sempre più ad Agrigento, ora percorrendo la strada costiera fino a San Leone che è un po’ il porto del capoluogo; qui lasciamo definitivamente il mare addentrandoci verso l’interno, verso la Valle dei Templi.
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Salendo al cuore dell’area archeologica constatiamo ancora una volta, l’ennesima in questi giorni, che se da una parte i famigerati e aggressivi cani randagi della Sicilia in realtà sono solo curiosi (e talvolta pure più impauriti di noi), dall’altra la sporcizia, la spazzatura e rifiuti sparsi ovunque non rendono certo onore a questa splendida terra, neanche dinanzi al monumento più importante e famoso,  il Tempio della Concordia, che scorgiamo sul colle davanti a noi.
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Prima di raggiungere il centro città effettuiamo un ampio giro nella valle toccando alcuni siti archeologici minori, tra cui il Tempio di Efesto (anche detto di Vulcano).
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L’ultima parte di salita, percorsa sulla strada principale, ci conduce direttamente alla stazione ferroviaria di Agrigento Centrale, dove il nostro tour volge al termine. Da qui ritorneremo in treno prima a Palermo e poi all’aeroporto Punta Raisi da dove, impacchettare le biciclette tra la curiosità generale, ritorneremo a Venezia con uno degli ultimi voli della giornata.
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Sicilia Coast to Coast - Tappa #4

23/3/2013

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Burgio / Riserva Valle del Sosio – Siculiana Marina (66km. / 1450m. disl.)
La tappa di oggi poteva essere riassunta come una facile frazione interlocutoria, con una lunga discesa iniziale seguita da dolci saliscendi verso il mare e sulla costa: alla fin fine si rivelerà la tappa più dura del tour.

Si parte subito in salita, tanto per scaldare le gambe, arrivando a sfiorare i mille metri di quota sotto la Serra di Biondo per poi scendere su un tratturo scavato dall’acqua fino al Santuario della Madonna di Rifesi: meta di pellegrinaggio ogni seconda domenica di Agosto, è un antico monastero risalente a più di ottocento anni fa la cui chiesa è miracolosamente ancora in piedi.
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Finalmente si scende: tra sterrati, cementate e un finale asfaltato arriviamo a Burgio, piccolo centro da menzionare per le ceramiche e un inquietante museo delle mummie.

La rotta volge ora verso sud, verso il mare, seguendo stradine secondarie di campagna dal profumo d’arancia: tanti, tantissimi sono infatti gli aranceti a bordo strada e sulle colline circostanti; intere piantagioni che i contadini spesso lasciano marcire dato che l’irrisorio prezzo loro pagato da grossisti e intermediari (0,30€/kg.) non basta neppure a pagare le spese di raccolta
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A un certo punto incontriamo pure una pattuglia di Carabinieri: non si sa bene se più incuriositi o sospettosi, vogliono saperne di più sul nostro conto. Appurato che siamo dei semplici gitanti vacanzieri, non nascondono lo stupore di trovare tre veneziani in bicicletta nelle sperdute campagne della Sicilia meridionale.

Arriviamo così a Ribera, una metropoli caotica in confronto ai piccoli borghi incontrati nei giorni precedenti, e dalla quale scappiamo volentieri alla svelta: pieghiamo ora verso sud-est approcciando un tratto che – a differenza delle aspettative – si rivela altamente panoramico. La strada infatti corre sinuosa e isolata tra i prati, passando di collina in collina restando sempre sul crinale, offrendo un’appagante vista sulle campagne e le alture circostanti.
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Nel frattempo il vento, sempre presente ma comunque sopportabile fin dall’inizio del tour, si fa sempre più sostenuto e fastidioso a mano a mano che ci si avvicina al mare: avanzare in salita diventa ora un’impresa ardua, mentre in discesa le folate ci fanno sbandare in maniera pericolosa.

Giungiamo finalmente in vista della costa, dove ad accoglierci c'è la bellissima riserva di Torre Salsa con l’azzurro del mare che fa da contrasto con il verde della vegetazione e il bianco delle falesie.
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Qui, a quattro giorni dalla partenza, ritroviamo il mare: non è più il Tirreno di Palermo, ma il Mediterraneo. La soddisfazione di mettere i piedi a mollo non ce la toglie nessuno.
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“Ormai è fatta”, pensiamo: Siculiana Marina è dietro l’angolo. E invece no: mancano ancora quindici chilometri, i più suggestivi, i più belli, ma anche i più impegnativi.

Saliamo sulle alture sopra la falesia e poi ridiscendiamo sulla spiaggia, perdiamo il sentiero e lo ritroviamo arrancando nella vegetazione, e ci rendiamo pure conto che il toponimo “Il Pantano” ha un suo perché. Ci si allontana dalla costa e poi ci si riavvicina, si esce da una valle e si entra in un’altra, si gironzola senza una meta precisa aggirando rilievi rocciosi, voragini e scarpate con il vento che soffia sempre fortissimo e contrario.

Mancano pochi chilometri a Siculiana Marina e siamo ancora in mezzo al nulla, con davanti a noi solo una ripidissima erta sconnessa che ci riporta verso l’interno. Finalmente imbocchiamo una vecchia strada in disuso, ma a meno di un chilometro dall’arrivo non si vede ancora nessun segno di civiltà. A un certo punto la strada si impenna, svalica in mezzo a due grandi sporgenze rocciose per poi impennarsi un’ultima volta e infine planare in picchiata sul mare direttamente in centro a Siculiana Marina.
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Un finale di tappa tanto bello quanto stremante, soprattutto se sottovalutato, ma che offre un'ambientazione sempre diversa chilometro dopo chilometro, fino agli ultimi metri di pedalata dati dentro al resort turistico che ci accoglie per la notte.
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Sicilia Coast to Coast - Tappa #3

22/3/2013

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Corleone – Burgio / Riserva Valle del Sosio (59km. / 1350m. disl.)
Da simbolo della mafia, a città emblema dell’antimafia. Questa è oggi Corleone: un’intera comunità che vuole sbarazzarsi una volta per tutte dell’immagine infamante avuta in passato, votandosi oggi al rinnovamento e alla modernità. Il Festival della Legalità, il Museo Antimafia e le strade intitolare alle tante vittime innocenti sono segni tangibili di questa volontà di cambiamento.

E le bici? Ci sono, ci sono…

Partiamo attraversando il centro cittadino, Piazza Falcone e Borsellino compresa, inoltrandoci poi tra le campagne dove ancora permangono i segni del terremoto che colpì la Valle del Belice nel Gennaio 1968.
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Dopo poco incontriamo nuovamente la vecchia ferrovia già percorsa ieri: qui la ciclabile si presenta scorrevole e ben tenuta, permettendoci così di percorrere con facilità svariati chilometri verso Burgio.
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Dopo una prima serie di saliscendi, il percorso sale agevole fino al caratteristico borgo di Bisacquino, abbarbicato ai piedi del Monte Triona: data l’ora di pranzo ormai prossima, facciamo una breve deviazione in paese alla ricerca di qualcosa da mangiare.
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Trovato un panificio ordiniamo, paghiamo… e restiamo basiti dal conto: due panini e tre lattine meno di sei euro! Sapevamo che qui la vita è meno cara che al nord, ma non pensavamo fino a questo punto. Ne approfittiamo anche per una sosta veloce in farmacia a prendere della crema solare (il sole in questi giorni picchiando forte) mentre in strada va in scena il classico siparietto siciliano al quale ormai ci siamo abituati: da una parte i commercianti che urlano in un incomprensibile dialetto, dall’altra gli automobilisti che strombazzano a destra e a manca, e i siciliani che – abituati alla calura estiva – sembrano patire i venti gradi all’ombra girando in giacca a vento.

Dopo la pausa si torna a pedalare, sempre lungo l’ex ferrovia ma questa volta in discesa: quasi venti chilometri più avanti arriviamo al grande ponte sul fiume Sosio, giusto all’imbocco della stretta valle omonima che dà il nome al Parco Naturale nel quale stiamo per entrare.
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Qui la storia cambia: la pacchia finisce e inizia la salita, ripida e sconnessa, verso i boschi e le pareti rocciose della riserva.
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L’ascesa si fa più dolce aggirando i rilievi dal versante nord, dal quale possiamo ammirare tutta la Valle del Sosio, ritornando poi sul pendio meridionale che offre un panorama che spazia fino al mare, cinquanta chilometri più a sud.
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Proprio nel cuore della Riserva è situato il nostro albergo, un vecchio casolare in quota oggi ristrutturato e divenuto importante punto di partenza per le escursioni nel Parco: anche qui, come la prima notte a Piana degli Albanesi, la nostra è stata l’unica stanza occupata della struttura. E sono pure riusciti a perdere la prenotazione, sicché ci siamo ritrovati in un’ala dell’hotel fredda, in una camera senza riscaldamento né acqua calda fino a sera.

Nella nostra testa, intanto, cresceva la convinzione che quella dell’indomani sarebbe stata una semplice tappa di trasferimento, praticamente una passeggiata.
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Sicilia Coast to Coast - Tappa #2

21/3/2013

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Piana degli Albanesi - Corleone (65km. / 1300m. disl.)
La seconda tappa inizia all’insegna del cielo coperto e del forte vento, con a tratti pure una leggera pioggerellina. Decidiamo ugualmente di partire: lasciata Piana degli Albanesi saliamo sulle alture che la separano da Santa Cristina Gela, dove però la pioggia si fa più incessante. Basta comunque il tempo di una pausa caffè al bar che il sole torna a splendere accompagnandoci poi per tutta la giornata.

Dopo aver percorso a ritroso un tratto già affrontato il giorno precedente scendiamo per suggestive mulattiere  in un ambiente quasi lunare, tra una brulla vegetazione e conformazioni rocciose alquanto bizzarre.
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La discesa continua serpeggiando tra le piante di fichi d’India fino al ponte sul fiume Eleuterio, dove approcciamo la salita di Marineo: le agevoli pendenze della strada asfaltata permettono di arrivare con facilità al borgo arroccato alle falde dell’omonima Rocca, la cui mole incombe sugli stretti e ripidi vicoli cittadini. L’ascesa continua ancora verso il Bosco della Ficuzza, importante riserva naturale che raggiungiamo al termine di un difficile sentiero reso in gran parte impedalabile dalle forti piogge dei giorni precedenti; giunti nel cuore della riserva, attraversiamo la foresta su larghe mulattiere scendendo verso Ficuzza.
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Prima di scende in città, però, effettuiamo una breve deviazione fino al Pulpito del Re, una sorta di trono scolpito sulla roccia, risalente ai primi anni dell’ottocento e usato dal Re Ferdinando IV di Borbone come punto di osservazione per le sue battute di caccia.
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Il percorso si fa ora molto facile e piacevole, perdendo gradualmente quota sulla vecchia ferrovia che collegava Palermo a Burgio: superata la stazione di Ficuzza, ora trasformata in agriturismo, i boschi e le rocce lasciano il posto alle enormi distese di campi e prati dell’alta Valle del Belice. Alle nostre spalle, intanto, Rocca Busambra segna l’inizio della catena dei Monti Sicani.
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Scendiamo dolcemente sulla ciclabile per diversi chilometri, arrivando sul fondo della valle in cui scorre il ramo sinistro del fiume Belice: la nostra meta, Corleone, è distante solo pochi chilometri di lieve salita, giusto dietro la collina. Ormai sembra fatta, ma in realtà ci vorrà più di un’ora per arrivare a destinazione.
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Le condizioni del tracciato peggiorano improvvisamente, con terra smossa, fango e frane che ci costringono a camminare per diversi tratti. Il fango argilloso si attacca ovunque impedendo alle ruote di girare, mentre i rivoli d’acqua che scendono dalla collina creano grandi e profonde pozze da aggirare con cautela tra rovi e sterpaglie che ci causano, tra l’altro, anche una foratura.

Finalmente, dopo una lunga e difficile camminata, ecco apparire davanti a noi Corleone.
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Arriviamo in città esausti e con le bici in condizioni pietose: qui facciamo conoscenza con un biker locale che – impietosito dalla nostra situazione - ci accompagna a un autolavaggio dove riusciamo a dare una bella ripulita ai mezzi. Giunti in albergo, però, un problema: le biciclette devono restare fuori in giardino, praticamente in strada, in bella vista senza lucchetto né altri sistemi di allarme.

Se da noi rubano le bici direttamente da dentro casa, come possiamo stare sicuri qui a Corleone, città della mafia, della criminalità, della malavita? Alle nostre rimostranze la titolare ci assicura che le cose qui sono cambiate, molto cambiate: non dobbiamo avere nulla da temere.

Ci fidiamo?
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Sicilia Coast to Coast - Tappa #1

20/3/2013

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L’idea di un tour di più giorni, da svolgere in un posto caldo e sconosciuto, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, con un percorso non troppo impegnativo da affrontare con lo zaino in spalla, ha trovato realizzazione in Sicilia. Più precisamente, la scelta è ricaduta sull’attraversamento dell'isola da nord a sud, da Palermo ad Agrigento, dalla costa del Mar Tirreno a quella del Mediterraneo.

Dopo almeno due settimane impiegate a pianificare, trovare e creare il percorso migliore (pochissime sono infatti le informazioni disponibili in rete), e dopo aver posticipato il tour di una settimana a causa delle pessime condizioni meteo sull’isola, si può finalmente partire.

Sarà un viaggio sorprendente sotto molti punti di vista, durante il quale le dicerie e i luoghi comuni sulla Sicilia e sui suoi abitanti verranno sfatati uno dopo l’altro.

Palermo – Piana degli Albanesi (47km. / 1100m. disl.)
Il volo Venezia-Palermo arriva puntuale a Punta Raisi, dove inizia la nostra avventura. Qui, con l’aiuto del personale aeroportuale, abbiamo la fortuna di poter lasciare gli scatoloni delle biciclette sebbene non esista un servizio di deposito bagagli. Dall’aeroporto prediamo il treno e raggiungiamo in circa un’ora la stazione di Palermo Centrale.

Il primo impatto con la città non è dei migliori: rumore, traffico, caos, auto da tutte le parti… la situazione è pericolosa e con cautela raggiungiamo il lungomare del Foro Italico dove la classica foto di gruppo segna l’inizio del viaggio.
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Usciamo velocemente da Palermo percorrendo strade secondarie che salgono dolci verso l’interno, mentre il cielo nuvoloso lascia sempre più spazio a un caldo sole. A Villagrazia, quartiere residenziale in periferia, iniziamo la dura salita lungo i tornanti del Pizzo Orecchiuta, spostandoci poi con un tratto più facile al Balzo Cavallo da dove possiamo ammirare una spettacolare vista su tutta la Conca d’Oro.
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L’ascesa prosegue infilandosi poi nella piccola Valle del Dammuso, superando quota 600m. e culminando con un’ultima erta al Serro Chiarandà: da qui un breve e scenografico single track termina su una scenografica balconata rocciosa affacciata sulla città di Palermo.
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Continuiamo in saliscendi innestandoci poi su una comoda sterrata pianeggiante che, toccando Portella della Paglia, si innesta sul tracciato della vecchia ferrovia Palermo-Camporeale lungo la quale ci avviciniamo velocemente a Piana degli Albanesi.
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Nel frattempo sono sempre più frequenti i segni del maltempo dei giorni precedenti: ci troviamo infatti a pedalare tra grandi pozzanghere, aree fangose, ruscelli lungo le strade e aree allagate. Anche il Lago di Piana porta i segni delle precipitazioni, con un livello dell’acqua talmente alto che il sentiero lungo le sponde che dovevamo percorrere risulta completamente sommerso.
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Arrivati nel centro del paese che dà il nome alla località, scopriamo che di “piano” questo posto non ha proprio nulla: ci inerpichiamo quindi tra gli stretti e ripidissimi vicoli raggiungendo quella che sembra la piazza principale, dove facciamo una sosta in pasticceria per assaggiare la specialità di queste parti, il cannolo!
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Da come ci oservano gli avventori del bar, l’arrivo di tre biker infangati non dev’essere un evento poi così frequente da queste parti, anzi… ci guardano come se fossimo dei marziani. Tuttavia basta poco per rompere il ghiaccio: come avremo modo di notare anche nei giorni seguenti, i siciliani si rivelano persone squisite, dall’accoglienza cordiale e calorosa, affabili e sempre pronti a rendersi utili per aiutare in ogni occasione.

Sarà così anche in serata, nell’agriturismo aperto solo per noi, dove facciamo conoscenza con Mario, un biker amico di un amico, venuto a darci il benvenuto dopo aver saputo tramite Facebook che eravamo da queste parti.

Nel frattempo fuori il tempo peggiora: per tutta la notte si alterneranno pioggia e un forte vento che potrebbero condizionare la seconda tappa, sulla carta la più impegnativa delle cinque.
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Transcivetta: la traversata del Civetta in mountain bike

15/9/2012

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E’ un po’ di tempo che l’avevo in lista questo giro, ma l‘incognita di cosa avessi trovato più e più volte mi ha fermato dal provarci. Finalmente lo scorso weekend è giunta l’ora.

Partenza da Listolade, pochi chilometri dopo Agordo, sotto un cielo terso e con una temperatura frizzantina. Con me il Borga che da queste parti è di casa e qualche notizia in più sul percorso è riuscito a trovarla: c’è da camminare, e anche tanto, ma – ci siamo detti - almeno “una volta nella vita” questo giro va fatto.

In meno di un’ora siamo a Alleghe, raggiunta per viottoli e stradine secondarie lungo la Val Cordevole. Superato il lungolago ci separiamo: il Borga sale verso Col dei Baldi, io invece mi do a cappuccino e brioche e lo raggiungerò più tardi…. così!
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Da Forcella Alleghe iniziamo la salita verso il Rifugio Coldai su una mulattiera sconnessa e irta di rocce: equilibrio e tecnica sono indispensabili per procedere in sella. Se si ha una full tanto meglio. Le pendenze non sono comunque mai troppo impegnative e ogni tanto il fondo concede un po’ respiro, utile per ammirare il Pelmo e la Val Zoldana.
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A circa metà salita la musica cambia: proseguire in sella è pressoché impossibile e quindi… hai voluto la bicicletta? E mo’ cammina!
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Sarà così per quasi tutto il resto della salita, anche se ogni tanto qua e là qualche pedalata si riesce a fare. Verso la fine, aggirato l’ultimo costone panoramico ecco comparire il Rifugio Coldai.
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Dal rifugio bisogna però salire al vicino passo: dopo un altro quarto d’ora di sofferenza (la parte centrale è da fare a piedi) valichiamo Forcella Coldai e davanti a noi appare questo…
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Zigzagando nel dedalo di tracce riusciamo a raggiungere le sponde del Lago di Coldai quasi sempre in bici, dopodiché però c’è da salire ancora una volta, da valicare un’altra piccola forcella subito dopo la quale una breve deviazione di offre un grandioso panorama sulle Dolomiti e, oltre precipizio, sul Lago di Alleghe.
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Ma non è ancora finita: ancora a piedi scolliniamo la Forcella Col Negro e davanti a noi ecco la Val Civetta, ecco la famigerata “nord-wand”: la parere verticale settentrionale del Civetta è una delle più imponenti di tutte le Dolomiti, oltre mille metri di roccia in verticale che stentano a starci nella foto… e sotto il sentiero che dobbiamo percorrere.
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In realtà dal Col Negro bisogna perdere quota, almeno cento metri, quasi interamente a piedi. Dopo un tratto pedalabile si torna con i piedi per terra per salire alla Forcella Col di Rean, un po’ ciclabile solo nel falsopiano finale.
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Strada facendo incontriamo anche il bivio per il Rifugio Tissi, ma lo scosceso sentiero è tutt’altro che invitante e proseguiamo sul sentiero 560. Alla forcella incontriamo un secondo sentiero per il Tissi, questo più abbordabile: essendo l’unico punto di ristoro ne approfittiamo e - seppur dopo venti minuti a piedi - riusciamo a rifocillarci.

La discesa dal Tissi è veramente tecnica e impegnativa, ma un bel po’ di strada riusciamo comunque a percorrerla in sella: lo spettacolo che abbiamo di fronte, comunque, annulla ogni disagio.
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Dalla Forcella di Rean il percorso cambia completamente diventando molto più ciclabile e filante su di un single track infinito che con continui labirinti di tracce, saliscendi, passaggi tecnici e qualche piede a terra si inoltra nella Val Civetta verso le Forzelete.
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Dopo un piccolo guado il percorso torna all’insù, anche se con pendenze molto abbordabili e un fondo quasi sempre perfetto: pochissimi sono infatti ora i passaggi da percorrere a piedi e con facilità raggiungiamo Forcella Pelsa. Qui, tra i verdi prati delle Forzelete, facciamo l’incontro con un simbolo del Civetta: la Torre Venezia fa da sfondo maestoso al nostro passaggio.
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Ma lo spettacolo non è ancora finito: con un’ultimo divertente single track sbuchiamo sulla (finalmente) comoda carrareccia che in discesa ci riporterà al punto di partenza. Di fronte a noi l’apoteosi: la Torre Trieste svetta imperiosa con le innumerevoli guglie della Moiazza in un anfiteatro di rocce e pareti che lascia a bocca aperta.
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Il Rifugio Vazzoler segna praticamente il ritorno alla civiltà dopo qualche ora di isolamento in un ambiente selvaggio e severo.
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Non ci resta che tornare alle auto scendendo lungo i tornanti della Val Corpassa, arrivando a Capanna Trieste dove ritroviamo l’asfalto che ci condurrà dritti dritti a Listolade con cinque stretti e ripidi chilometri finali. Prima, però, diamo di un ultimo scorcio sulla Torre Trieste.
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Qualche informazione in più sul giro… la salita in cabinovia è costata 8,50€. Il tempo di percorrenza effettuando tutto il giro in bici si attesta sulle 6-7ore, di cui almeno un’ora e mezza a piedi.

Il tratto più impegnativo e impervio va dal Lago Coldai a Forcella di Rean (circa un’ora) in cui si pedala veramente molto poco; la variante A/R al Rif. Tissi è facoltativa ed è utile se si necessità di acqua o cibo, ma in ogni caso una volta al Rifugio vale la pena salire due minuti a piedi fino alla croce e ammirare il panorama e la vertiginosa vista sul sottostante lago di Alleghe.

Salendo con la cabinovia si è dimostrato un tour impegnativo ma non poi così estremo, anche se comunque prima di rifarlo mi sa che passeranno diversi anni. Della serie… “una volta nella vita”!
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Birkebeinerrittet 2012 - Lillehammer [NOR]

25/8/2012

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“The largest MTB race in the world”: bastano queste poche parole per descrivere la Birkebeinerrittet, il tradizionale evento ciclistico norvegese che si è tenuto sabato scorso a Lillehammer, nel sud-est del paese, e che ha visto al via la strabiliante cifra di 17058 biker (si, avete letto bene: diciasettemila!).

La gara, giunta ormai alla sua ventesima edizione, fonda le radici nella storia e nella tradizione della Norvegia, rifacendosi agli stessi principi della storica gara invernale sugli sci da fondo (Birkebeinerrennet) e delle più recenti manifestazioni podistica (Birkebeinerløpet) e ciclistica (Landeveisbirken).

Tutti questi eventi sportivi rievocano infatti il salvataggio – dopo la morte del Re - del neonato erede al trono, il Principe Haakon Haakonsson, da parte di due soldati Birkebeiner: Torstein Skevla e Skjervald Skrukka, questi i loro nomi, nell’inverno 1206 attraversarono sciando le sconfinate foreste e le pericolose montagne innevate a nord di Oslo portando Haakon al sicuro verso Trondheim, scampando alla guerra civile tra Birkens e Baglers che durava ormai da secoli. Il Principe giunse sano e salvo alla meta, e una volta diventato Re seppe porre fine alla guerra civile dando il via all’unificazione della Norvegia, che sotto il suo regno visse uno dei periodi più floridi del Medioevo. Nei corso dei secoli l’impresa compiuta dai due soldati divenne leggenda, e la saga dei Birkebeiner è oggi uno dei più sentiti e amati avvenimenti storici norvegesi.

A questo episodio è legata la regola fondamentale e altamente simbolica che accomuna tutti gli eventi “Birkebeiner”: è fatto obbligo indossare uno zaino di almeno 3,5 chilogrammi di peso, a rappresentare il piccolo Haakon che ognuno delle migliaia di partecipanti deve portare con sé, in salvo attraverso le immense foreste a est di Lillehammer.

L’evento off-road si tiene puntualmente ogni ultimo weekend di agosto ed ha come base logistica la Haakons Hall, il grande palazzetto dello sport costruito in occasione dei Giochi Olimpici Invernali 1994 con i quali Lillehammer si fece conoscere al mondo intero: nonostante con i suoi ventiseimila abitanti sia infatti la più piccola città olimpica della storia, quell’edizione dei giochi fu un successo tale che l’allora presidente CIO, Juan Antonio Samaranch, la definì “la migliore di tutti i tempi”.

L’organizzazione, gestita dai club sportivi di Rena e Lillehammer, è professionale e imponente: sono oltre 3000 le persone impiegate nei giorni di gara, coordinate da otto dipendenti a tempo pieno che lavorano tutto l’anno per l’evento, compresi gli eventi collaterali. Ai 17000 della Birkebeinerrittet, infatti, si aggiungono i partecipanti alle gare del venerdì: 6500 sono quelli della Fredagsbirken (una prova generale della Birkebeinerrittet, uguale in tutto e per tutto all’originale), solo 500 invece quelli della Ultra-Birken (una marathon da 124 chilometri). Sommando poi le centinaia di bambini e ragazzi delle corse giovanili della domenica, il totale dei partecipanti supera abbondantemente le 25000 unità.

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Numeri da capogiro che si fatica a immaginare e quantificare, complici anche i lunghissimi e scaglionati tempi della partenza che avviene a Rena, circa 60 chilometri più a est di Lillehammer: i primi atleti partono alle sette del mattino mentre la categoria Elite maschile, settantotto griglie dopo, alle tre del pomeriggio. Un efficiente ed articolato servizio di bus a pagamento permette a bici e bikers di raggiungere Rena dalle principali località della zona, comprese Oslo e Trondhein, effettuando anche il servizio di ritorno da Lillehammer nel dopo gara.

Nel mezzo tra Rena e Lillehammer si snoda il percorso di gara di 94 chilometri per circa 1200 metri di dislivello: velocissimo e tecnicamente molto facile, all’inizio potrebbe risultare monotono e noioso; tuttavia, dopo la prima lunga salita asfaltata verso il ristoro di Skromstadsaetra e lasciate alle spalle le campagne coltivate, il paesaggio cambia rapidamente. Larghissimi sterrati compatti si addentrano nelle foreste di conifere, alternandosi di tanto in tanto con mulattiere più strette che guadagnano dolcemente ma inesorabilmente quota.

Allo scollinamento lo spettacolo è grandioso: foreste a perdita d’occhio in ogni direzione per chilometri e chilometri, con le alture che si susseguono in lontananza una dopo l’altra. E’ bene però non distrarsi troppo, perché quello che sta per arrivare è la parte più difficile della gara, una discesa impegnativa seguita da una salita umida e fangosa che fanno mettere il piede a terra a moltissimi partecipanti, poco avvezzi alle difficoltà tecniche e decisamente impacciati nei punti più impegnativi.
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E’ da questo che si capisce la forza dei 17000 iscritti, quasi esclusivamente norvegesi: chiunque abbia una bicicletta vuole esserci, indipendentemente dal mezzo tecnico o dall’allenamento, andando letteralmente all’avventura solo per vivere una giornata di sport rivivendo la storia del proprio paese. Si sono viste tutte le tipologie di biciclette, dalle city-bike a quelle da trekking, compreso addirittura un ragazzo in sella a una bici da passeggio noleggiata al bike-sharing di Oslo.

Con questo spirito l’evento non può quindi non diventare occasione di festa e goliardia, con feste organizzate nel mezzo del nulla lungo il percorso, musica, ristori improvvisati e travestimenti quanto mai curiosi (avvistati un Teletubbies viola e numerosi vichinghi), il tutto accompagnato dall’onnipresente vessillo norvegese.

Tornando al percorso, dopo la parte più tecnica esso prosegue con infiniti saliscendi con una prevalenza a salire, addentrandosi sempre più in un territorio tanto vasto quanto disabitato, costellato di canyon, laghi, torrenti e piccoli corsi d’acqua che appaiono di tanto in tanto quando meno ce lo si aspetta. Non mancano poi gli animali, a centinaia tra pecore e mucche in piena libertà e, per i più fortunati, anche le alci che da queste parti sono di casa.

La sensazione di natura selvaggia si fa sempre più concreta mano a mano che lentamente si sale, oltrepassando quota 700m. dove gli alberi si fanno più radi alternandosi con praterie brulle e desolate. Gli spazi immensi nei quali pedaliamo ci fanno correre la memoria alle immagini dello Yukon o del Canada viste tante volte in televisione, ma in fondo ci troviamo più o meno alle stesse latitudini: siamo poco sopra il 61° parallelo, alla stessa latitudine di Anchorage in Alaska.
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Al sessantesimo chilometro la salita di Rosinbakken riporta la mente e la concentrazione sulla gara: un chilometro e mezzo di salita dalle pendenze piuttosto accentuate dove le gambe, per chi ha forzato troppo nei falsopiani precedenti, iniziano a cedere. Dalla cima ancora pochi chilometri di saliscendi e si giunge al GPM di Storåsen, sede del sesto e ultimo ristoro: da qui all’arrivo è quasi solo discesa.

“Quasi” perché dopo alcuni chilometri di veloce asfalto si arriva a Sjousjøen, una piccola località con il classico muro che non t’aspetti il quale, complice la vicinanza al paese, è preso d’assalto dagli spettatori che dai bordi della strada incitano calorosamente e rumorosamente tutti i biker in transito al grido dell’immancabile “Heja!” norvegese.

La discesa prosegue poi alternando asfalto e sterrato, su strade poco pendenti che permettono a chi ha ancora energie di fare la differenza prima di arrivare all’Olympia Park di Lillehammer, sicuramente il passaggio più adrenalinico della gara tra gli impianti dei Giochi Invernali 1994.

Si lascia l’asfalto e si entra nel mitico Birkebeiner Stadion, teatro di una delle più grandi sconfitte nella storia dello sport norvegese: fu proprio tra questi prati coperti di neve, tra queste tribune, che la staffetta azzurra ammutolì i duecentocinquantamila spettatori norvegesi vincendo l’oro olimpico nella 4x10km. di fondo.
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Si prosegue poi sul ripidissimo pendio del Balletbakken (incredibile il colpo d’occhio sui bikers che scendono seguendo decine di traiettorie diverse) arrivando al Lysgårdsbakken, il trampolino per il salto con gli sci, punto panoramico su Lillehammer e sul lago Mjøsa. Ancora pochi chilometri di discesa e si arriva al termine della gara, nei pressi dell’Haakons Hall, tagliando il traguardo tra due ali di folla.

Non è però ancora finita. A sorpresa, dopo l’arrivo ogni partecipante deve sottoporsi a un controllo fondamentale: il peso dello zaino. Come da regolamento, chi ha uno zaino inferiore ai 3,5 chili subisce una penalizzazione di 15 minuti sul tempo finale; se il peso dovesse essere inferiore ai 2,75 chili, invece, per il biker scatta la squalifica.

Sbrigata anche quest’ultima formalità si può passare a ritirare il premio di finisher (una piccola spilla) e, per chi fosse rientrato nel 25% dei migliori tempi, un premio in vetro.

Non resta che rilassarsi e rifocillarsi, al ristoro o ai baracchini che vendono i tradizionali hot-dog che qui chiamano pølse. Poco lontano i piazzali sono un tappeto di biciclette e di zaini, mentre tutto attorno l’atmosfera che si respira è da grande evento: la zona d’arrivo è un brulicare di fotografi, telecamere, interviste, mentre sui maxischermi scorrono le immagini della diretta sulla TV nazionale.

Gli arrivi proseguiranno fino alle 20.30, limite ultimo concesso ai biker, mentre la festa continuerà in serata tra le vie cittadine addobbate a festa per l’occasione.
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Anche se all’estero non è molto conosciuto, l’evento sa catalizzare l’attenzione dell’intera Norvegia per via della valenza storica e delle sue dimensioni sempre più mastodontiche: si tratta di un evento di massa per il quale si ferma una intera regione, quella dell’Oppland, il cui capoluogo – Lillehammer – si trova poco meno di duecento chilometri a nord di Oslo.

Arrivare fin quassù è abbastanza semplice, con treni frequenti e puntuali direttamente dalla stazione centrale di Oslo (circa due ore di viaggio). La sistemazione logistica è probabilmente l’aspetto più difficile da risolvere, visto il grande afflusso di partecipanti: sono comunque disponibili i pullman dell’organizzazione da Oslo e da tutte le principali località della zona per il trasporto di bici, atleti e bagagli.

La nota dolente, nella ricca Norvegia, sono i costi: l’iscrizione costa 920NOK (circa 124€) e comprende trasporto bagagli da Rena a Lillehammer, ma – a differenza delle usanze italiane – non prevede pacco gara o pasta party. Costosi anche i viaggi con i bus: da Lillehammer a Rena il costo è di 550NOK, circa 70€.

Le iscrizioni per l’edizione 2013 apriranno il 15 Novembre e, come già successo per l’edizione 2012, i 17000 posti disponibili verranno esauriti in meno di un minuto. Sono comunque disponibili numerose wild-card per partecipanti stranieri.

Il percorso è molto facile e adatto a biker con ogni tipo di allenamento, e può essere affrontato con qualsiasi tipo di bicicletta; anche se l’insidia maggiore è sicuramente il meteo, decisamente mutevole che da queste parti a fine Agosto è prevalentemente piovoso, l’edizione 2012 verrà probabilmente ricordata come una delle migliori con cielo poco nuvoloso e temperature gradevoli (da 15° a 18°) per tutta la giornata, con una breve pioggerellina a Lillehammer nel tardo pomeriggio. In caso di pioggia, comunque, il terreno tiene in maniera ottimale ma a creare problemi potrebbe essere il freddo.

Per la cronaca, a vincere la gara Elite è stato il Campione Norvegese Marathon Lars Menengen, che ha sfruttato al meglio il gioco di squadra con i compagni del Lillehammer Cykkleklubb arrivati rispettivamente secondo (Martin Olsen) e terzo (Truls Korsaeth). Quarto classificato un nome noto al grande pubblico, l’austriaco Alban Lakata, mentre solo sedicesimo si è piazzato il nostro portacolori Massimo Debertolis. Tra le donne, vittoria per la finlandese Pia Sundstedt.

Stefano De Marchi @ www.solobike.it

Sito internet: www.birkebeiner.no

Fotogallery Birkebeinerrittet: https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/Birkebeinerrittet2012

Fotogallery Fredagsbirken: https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/Birkebeinerrittet2012Preview
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Tour du Mont Blanc - Tappa #4

30/7/2012

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Orsieres - Courmayeur (40km. / 1700m. disl.)

Partiamo di buon'ora. La temperatura è frizzante e il cielo è coperto da nubi basse, ma promette al meglio. Saliamo i primi chilometri della Val Ferret su asfalto, innestandoci poi sul sentiero TMB che in questa fase passa per paesini e stradine isolate.
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Proseguendo nella dolce salita passiamo sul versante opposto della valle, dove ci aspetta un chilometro e mezzo di bellissimo e a tratti tecnico single track.
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Raggiungiamo così La Fouly e poco più avanti Ferret, da dove ha inizio la parte più dura della tappa: la salita al Col du Gran Ferret.

La prima parte, seppur ripida, presenta un fondo molto compatto e offre ampie vedute su tutta la vallata, compreso uno dei tanti ghiaccia che caratterizzano queste montagne.
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A quota 2100, nei pressi di un rifugio, la mulattiera lascia il posto a un compatto ma stretto sentiero: un po' a piedi, un po' in bici, guadagniamo quota in un ambiente sempre più spettacolare.
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Il cielo è terso e senza nuvole, l'aria asciutta e limpida. Lo spettacolo da qua sopra lascia senza parole. Dopo quasi un'ora arriviamo finalmente alla Cima Coppi del Tour, il Col du Gran Ferret a quota 2537m..
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Davanti a noi i ghiacciai e il Massiccio del Bianco... da pelle d'oca.
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Rientriamo in Italia iniziando la lunghissima discesa verso Courmayeur. All'inizio si rivela scorrevole, poi decisamente più tecnica con diversi passaggi non ciclabili. La picchiata è anche abbastanza pericolosa, e considerati i tantissimi escursionisti che salgono è necessaria la massima attenzione.
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Arrivati al Rifugio Elena il più è fatto: il single track lascia il posto a una larga, velocissima e panoramica sterrata che scende sinuosa in Val Ferret; la strada si fa poi asfaltata, ma noi la evitiamo con alcune varianti tra prati e boschi che ci permettono di ammirare ancora una volta la vetta del Monte Bianco imbiancata dalla neve.
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Arriviamo infine alle porte di Courmayeur, termine del "nostro" Tour. Esistono infatti tantissime possibili varianti per effettuare il Giro del Monte Bianco, alcune più facili altre più impegnative, alcune più ciclabili altre decisamente meno. Tutte, comunque, altamente spettacolari e panoramiche, attraverso luoghi di rara bellezza e fascino.

Se proprio bisogna dare un consiglio, meglio effettuare il tour in senso orario: al contrario è decisamente più duro e molto meno ciclabile.

Riassumendo, il percorso che abbiamo affrontato prevede pochi tratti realmente impervi, mentre sono diverse le salite che, complice la pendenza, costringono i meno allenati a mettere il piede a terra.
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Tour du Mont Blanc - Tappa #3

29/7/2012

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Chamonix/Les Bossons - Orsieres (60km. / 1800m. disl.)
 
Partenza di buon'ora alla ricerca di un bar dove far colazione visto che nell'albergo era a pagamento, e cara impestata. Ciclabili e sentierini sul versante destro della valle ci conducono in centro a Chamonix, dove il versante nord del Bianco, anche se nascosto dalle nubi basse, mette comunque un certo timore.
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Dopo una abbondante colazione riprendiamo a pedalare nel centro di Chamonix, tra vetrine griffate e negozi alla moda dai prezzi astronomici. Usciamo dal paese e, dribblando qua e là strade e sentieri vietati alle bici, risaliamo la valle con dolci pendenze su bellissime ciclabili sterrate fino ad Argentiere, proseguendo con pendenze più marcate verso Le Tour.
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Qui la scelta era doppia: salire al Col de la Balme (650m. più in alto) in bicicletta/a spinta, oppure con gli impianti. Tutti siamo per la seconda opzione e con 20€ (biglietto giornaliero, volendo si può scendere e risalire più volte) arriviamo in vista del colle sfruttando cabinovia e seggiovia.
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Con una rapida pedalata in leggerissima salita giungiamo al freddo e ventoso valico, dal quale entriamo in territorio elvetico.

Qui un cartello ci avverte che il sentiero che andremo a intraprendere è riservato ai pedoni, e che per la MTB esiste un apposito percorso che aggira la montagna il quale, però, allunga di molto i tempi di percorrenza. Decidiamo di scendere per il sentiero pedonale, sul quale le MTB sono ammesse ma con alcune severe restrizioni (bassa velocità, non rovinare il fondo, precedenza assoluta agli escursionisti).

La discesa si rivela una goduria: scorrevole e per nulla tecnica perde quota serpeggiando in un ambiente idilliaco, finalmente illuminato dal sole.
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Dopo un po' il sentiero si restringe e si fa via via più tecnico entrando nel bosco: qui le pendenze si inaspriscono e una lunga serie di tornanti mette a dura prova i freni. Anche il fondo si fa a tratti più insidioso, con radici, scalini e rocce. Alcuni passaggi andranno per forza di cose affrontati a piedi, ma con buona tecnica si può affrontare praticamente tutta la picchiata in sella.
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In vista del fondovalle il sentiero lascia il posto a una comoda sterrata che conduce verso Trient, mentre alle nostre spalle appare nuovamente il massiccio del Bianco con i suoi ghiacciai.
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Poco prima di arrivare a Trient imbocchiamo la breve salita alla Forclaz, evitando parte dell'asfalto sfruttando un taglio su traccia erbosa. Giunti in cima non ci resta che scendere verso Martigny su strade secondarie e alcune belle varianti offroad ma - complice la velocità - di difficile individuazione.
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Siamo alle porte di Martigny, alla quota più bassa del Tour (circa 550m.), nella terra delle albicocche. Il caldo si fa sentire e la successiva lunga salita a Champex si rivelerà più impegnativa del previsto. Dopo lo scollinamento, alcuni chilometri pianeggianti ci separano dal Champex e dal suo lago affollato di turisti.
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Per la discesa su Orsieres scegliamo il sentiero TMB, il segnavia che effettua tutto il periplo del Monte Bianco e che anche noi, per lunghi tratti, abbiamo seguito in questi giorni. Qui però il sentiero si rivela molto difficile e impegnativo, con diversi punti non ciclabili e alcuni stretti passaggi che possono mettere in difficoltà se, come è successo, si incontrano escursionisti a piedi.

A un certo punto abbandoniamo il TMB scendendo per una mulattiera che si innesta sulla principale e scende a Orsieres portandoci dritti dritti in albergo (Hotel Terminus, nei pressi della stazione, consigliabile).
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Tour du Mont Blanc - Tappa #2

28/7/2012

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Bourg-Saint-Maurice/Les Chapieux - Chamonix/Les Bossons (70km. / 2200m. disl.)

La seconda tappa inizia all'insegna del maltempo: pioggerellina alla partenza e diluvio salendo al Cormet de Roselend (chi in bici, chi con il furgone di appoggio) ripercorrendo al contrario i tredici chilometri di discesa fatti ieri. Da Les Chapieux inizia la tappa "vera" sulle strade del Tour de France, con tanto di cippi chilometrici a indicare le caratteristiche della salita chilometro dopo chilometro.
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In cima al Cormet de Roselend l'unico riparo dalla pioggia è un baracchino in legno dove ne approfittiamo per scaldarci, asciugarci e cambiarci. Nel frattempo il meteo sembra migliorare e nel cielo compare qualche sprazzo d'azzurro.

Dopo alcuni chilometri di veloce e facile discesa verso Albertville raggiungiamo il Lac de Roselend, deviando poco dopo in direzione del Barrage de la Gittaz e dell'omonimo piccolo lago artificiale. Ha qui inizio la seconda salita della giornata, verso il Col de la Gitte.
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La salita è larga e compatta, dalle pendenze costanti e non eccessivamente impegnative. Strada facendo si incontrano due bivi dove la direzione da prendere non è poi così intuitiva (a destra il primo, a sinistra il secondo), e una baracca in legno dalla quale escono fuori tre cagnoni incazzati dai quali scappare a gran velocità.

Verso quota 2100m. la comoda sterrata, che fin qui ci ha offerto ampie vedute sulla valle e sullo sviluppo a tornanti della mulattiera, diventa un sentiero erboso identificato da picchetti bianco-rossi che, in circa 15 minuti a piedi, porta sulla verde vetta del Col de la Gitte (2300m. circa).

La discesa che ne segue inizia filante e divertente, lasciando poi il posto a un tratto tecnico ed impegnativo costellato di sassi e rocce dove saranno necessarie abilità ed equilibrio per mettere il piede a terra il meno possibile.
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La vista sul massiccio del Monte Bianco, alla nostra destra, è parzialmente offuscata dalla nubi mentre la nostra prossima meta, il Col du Joly, è ben visibile di fronte a noi.
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Nel finale la discesa si fa un po' più agevole, arrivando a un piccolo casolare da dove una larga e veloce sterrata conduce all'imbocco della salita asfaltata del Col du Joly: poco meno di due chilometri a medie pendenze fino al rifugio, inaspettatamente chiuso e deserto.

La discesa dal Col du Joly si presenta agevole e per nulla impegnativa. Almeno fino a un bivio che, verso destra, indirizza su un impegnativo ma bellissimo single track che si raccorda con una mulattiera: la picchiata si fa ora sempre più tecnica e impegnativa (ma comunque ciclabile) affrontando diversi settori in sottobosco tra alberi e radici e un finale su un fondo roccioso molto pericoloso se bagnato. Fortunatamente arriviamo a Notre Dame de la Gorge prima che inizi a gocciolare.
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Mentre ci rifocilliamo in un bar la pioggia aumenta gradualmente di intensità, concedendoci però una pausa proprio quando riprendiamo a pedalare. La discesa nel fondovalle si snoda tra ciclabili, strade secondarie, qualche single track e alcuni passaggi sulla via principale.

Arrivati all'imbocco del Col de Voza la pioggia torna a cadere, e qui decidiamo il da farsi: salire in quota o proseguire in fondovalle allungando su asfalto. All'unanimità scegliamo la prima opzione e approcciamo la scalata al colle.

All'inizio asfaltata, la salita si infila su per una sterrata dalle pendenze estreme che costringono tutti al pied-a-ter. Al termine del muro (con il quale abbiamo guadagnato quasi 150 metri di quota) l'ascesa diventa più dolce e pedalabile, passando per le case di Le Champel e inoltrandosi nella valle coperta dalle nubi.

L'ultima parte di salita è un'agonia: tra la stanchezza, la pioggia che torna a cadere copiosa e le pendenze elevatissime, ci ritroviamo a spingere per buona parte del tratto di strada che manca per raggiungere il Col de Voza.

In vetta troviamo l'omonimo rifugio e il trenino a cremagliera che porta i turisti verso il Monte Bianco. Tutto attorno il deserto, non c'è anima viva.

Non ci resta che scendere a valle, lungo le piste del bike park. In realtà, viste le condizioni meteo, abbiamo cercato una alternativa ma senza successo (in realtà c'era, l'alternativa, bastava solo aver fiducia nella strada che puntava con decisione all'insù invece che all'ingiù...). Ci troviamo quindi a percorrere quello che è (anzi, ERA) un bike park: qualche albero caduto, qualche passerella pericolante e il fondo molto rovinato ci fanno pensare che questa pista non sia più in uso. Il fango, in particolare, ci costringe a scendere di sella più e più volte per non rischiare di volare a terra e farci del male, proprio ora che siamo quasi arrivati.
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Un vero peccato, perché in condizioni asciutte le paraboliche e i saltini sarebbero stati un divertimento assicurato.

A un certo punto abbandoniamo la pista innestandoci su una più facile mulattiera che ci collega a un piccolo paese dove, al nostro evidente dubbio se prendere o meno un sentiero vietato alle biciclette, una antipatica vecchina francese ci riempie - a prescindere - di improperi minacciando di chiamare "la gendarmerie".

Scendiamo allora su asfalto raggiungendo Les Houches, proseguendo poi rapidamente verso Chamonix su asfalto dove approfittiamo di un autolavaggio per ripulire bici e biker dal fango.

E' stata sicuramente la giornata più dura, e forse anche la meno divertente viste le condizioni meteo che l'hanno condizionata.
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