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Tour du Mont Blanc - Tappa #1

27/7/2012

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Courmayeur - Bourg Saint Maurice (43km. / 1400m. disl.)

Finalmente, dopo tanto fantasticare, anche il Tour del Monte Bianco è fatto: insieme ad altri sette amici abbiamo effettuato il famoso periplo della montagna più alta d'Europa. Assieme a noi un’ulteriore persona alla guida di un furgone di appoggio per il trasporto bagagli ed eventuale assistenza (comprese - ma che non si sappia troppo in giro... - numerose "trainate" di qualche sfaticato).

Arriviamo a Courmayeur con già un'ora di ritardo causa coda in autostrada. Parcheggiamo alle porte di Courmayeur e partiamo alla volta della Val Veny.

Per noi abituati alle Dolomiti, la prima cosa che salta all'occhio è che i ghiacciai, da queste parti, arrivano a quote veramente basse: appena entrati in valle iniziano infatti a vedersi le prime lingue di ghiaccio.
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La salita alterna rampe impegnative a lunghi pianori e falsipiani, sterrati a partire da quota 1650 (Pian de Lognan) da dove ha inizio anche il secondo strappo che conduce ai piedi del ghiacciaio del Miage, solo l'ultimo dei tanti fin qui incontrati. Poco più avanti la valle si apre a formare l'incantevole Lac de Combal. Su, in alto si intravede il Rifugio Elisabetta Soldini, nostra prossima meta.
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Raggiungere il rifugio non è per nulla semplice: la mulattiera si impenna di colpo e, complice il fondo un po' rovinato, l'incedere risulta piuttosto difficoltoso. L'ambientazione della Lex Blanche aiuta comunque a distrarsi.
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Al Rifugio il meteo inizia a farsi più minaccioso con tuoni e lampi in lontananza. Fortunatamente il temporale interessa le vette a sud senza bagnare la valle, per cui decidiamo di proseguire verso il Col de la Seigne, a quota 2510m..

All'inizio pedalabile, l'ascesa si fa più impegnativa addentrandosi nel Vallon de la Lex Blanche costrigendoci, dopo un guado, a proseguire per lunghi tratti a spinta fino alla vetta, toccando strada facendo la Casermetta de la Seigne, ultimo punto di appoggio prima della cima.
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Dalla vetta la vista si apre sul versante francese offrendo un panorama grandioso su tutta la valle sottostante e, in lontananza, su Le Chapieux nostra prossima meta.

La discesa è a dir poco entusiasmante, su un single track compatto e scorrevole che perde quota tra prati e rocce, offrendo ben pochi tratti impegnativi da affrontare a piedi. Tutto attorno, inutile dirlo, lo spettacolo delle montagne solcate da ghiacciai e torrenti.
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Nonostante perdiamo quota abbastanza rapidamente la discesa sembra infinita, eterna: tutta da guidare e tecnica al punto giusto, offre a ogni curva uno scorcio diverso.

La discesa termina nei pressi del Refuge des Mottets, uno dei pochi luoghi dove pernottare da queste parti. Si prosegue poi su sterrato fino a La Ville des Glacier, e da qui su asfalto a Les Chapieux.
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Les Chapieux avrebbe dovuto rappresentare la fine della prima tappa, ma essendo l'unico albergo presente (Refuge La Nova) tutto pieno abbiam dovuto proseguire la discesa fino a Bourg-Saint-Maurice, circa tredici chilometri più avanti e ottocento metri più in basso, dove le opportunità di pernotto non mancano.
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Salzkammergut Trophy 2012 - Bag Goisern [AUT]

14/7/2012

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“La Salzkammergut o la ami o la odi, non ci sono vie di mezzo. Ti seduce e ti ammalia con il suo blasone, ma poi ti bastona. E’ una tentatrice spietata che si lascia sfidare, ma che difficilmente si fa domare. Si presenta deliziosa, ma si rivela tremenda, talvolta terrificante.”
[www.solobike.it - 21.07.2011]

Così esordiva il report dal Salzkammergut Trophy 2011: a un anno di distanza, alla luce di quanto vissuto pochi giorni fa nell’edizione 2012, vogliamo iniziare con le stesse identiche parole, perché probabilmente non ne esistono di migliori per descrivere cosa sia, cosa significhi, cosa rappresenti la classicissima austriaca della mountain bike ormai giunta alla sua quindicesima edizione.

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Bad Goisern, poco a sud di Salisburgo, è un piccolo e anonimo paese della regione del Salzkammergut che per un weekend all’anno si veste a festa trasformandosi nella capitale della mountain bike: bikers da tutta Europa giungono nella valle di Hallstatt attirati, più che dal patrimonio Unesco circostante, da un evento unico e inimitabile che riscuote sempre più consensi anno dopo anno.

Sono stati infatti oltre 4500 i partecipanti alle gare del sabato e altri 400 agli eventi collaterali della domenica (cronoscalata, downhill con il monociclo e gare per i più piccoli), arrivati da 37 differenti nazioni.

Le attenzioni maggiori sono da sempre riservate al main event del sabato che, grazie alla sua particolare formula (sei percorsi di difficoltà crescente, da 22 a 211 chilometri), riesce a coinvolgere un ampio e variegato target di sportivi, dai più allenati e preparati professionisti agli amatori fino ai semplici escursionisti che non vogliono rinunciare a una giornata di svago e divertimento in mountain bike, magari su mezzi tutt’altro che moderni e performanti.
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A fare da valore aggiunto ci pensa il contesto, entusiasmante e coinvolgente, in cui si viene catapultati una volta giunti a Bad Goisern: al Trophy, come del resto in molti altri eventi da queste parti, l’aggregazione e il fare sport vengono prima del mero esercizio fisico o della semplice prestazione agonistica al punto che l’atmosfera che si respira, amichevole e spontanea,  dà l’impressione di trovarsi a una grande festa o a una rimpatriata di amici più che a un evento sportivo. Il bello è proprio questo: per molti, moltissimi, a Bad Goisern la mountain bike non è il fine sportivo bensì il mezzo per aggregazione sociale.

E’ da riconoscere però che gran parte del fascino e della fama del Salzkammergut Trophy sono dovuti al suo percorso più lungo, l’estremo l’A-Strecke da 211 chilometri e 7000 metri di dislivello, che rappresenta indiscutibilmente la corsa di un giorno più dura al mondo. I numeri lo testimoniano: dei 571 che hanno intrapreso l’avventura solo in 282 (meno della metà!) sono arrivati al traguardo con il vincitore, il ceco Ondre Fojtik, che ha impiegato 10 ore e 37 minuti a completare la gara tallonato al secondo posto da un nome noto al grande pubblico della mountain bike, l’olandese Bart Brentjens; terzo il tedesco Max Friedrich.
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Numerosi anche gli italiani: sui 190 iscritti in 50 hanno scelto la distanza più lunga, ma solo in 26 sono riusciti a concludere la prova. Tra questi una menzione particolare la merita Michela Ton, unica donna italiana sull’A-Strecke, capace di conquistare un eccellente secondo posto nella gara femminile dietro la tedesca Natasha Binder. Michela, alla sua prima partecipazione, ci ha confidato di aver corso “a sensazione”, senza contachilometri né GPS, dimostrando quanto in questa gara la testa conti molto di più delle gambe.

Un po’ di Italia anche sul percorso da 120 chilometri grazie al Finlandese Jukka Vastaranta, portacolori del Team Trek Cingolani, capace di agguantare il secondo gradino del podio dietro all’austriaco Christoph Soukup.
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Ma al di là dei puri dati statistici, che cos’ha questo Salzkammergut Trophy di così affascinante? Per capirlo ci siamo uniti ai coraggiosi biker dell’A-Strecke (senza alcuna velleità di concludere la prova, sia ben chiaro) e, puntuali alle cinque del mattino, abbiamo preso con loro il via tra le tenebre, acclamati da due ali di folla assiepate alle transenne ad incitare noi, i “numeri rossi”.

Stefano De Marchi @ www.solobike.it
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Sito internet: www.trophy.at
Informazioni in italiano: www.bikeandmore.it

Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1334/
http://www.flickr.com/photos/mtb_trophy
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/SalzkammergutTrophy2012
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L'avventura di un numero rosso

14/7/2012

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Ore 3.50 – Bad Goisern, sveglia
La sveglia suona, ma è da un pezzo che i nostri occhi sono aperti, almeno dalle due e mezza. La tensione e l'adrenalina sono alle stelle al punto che avremo dormito si e no quattro ore. Ci vestiamo e andiamo a fare colazione.

Ore 4.05 – Bad Goisern, colazione
Buio, silenzio. Tutti gli ospiti del grande albergo sono ancora in piena fase R.E.M.. Fuori le tenebre, dentro solo una grande stanza è illuminata, quella della sala da pranzo. Dentro siamo in sei, un italiano, due tedeschi, due austriaci e uno slovacco.... sembra quasi una barzelletta. Le facce assonnate e tese, le bocche ingurgitare tutto quello che ci capita a tiro. Emblematica la frase della cameriera: 'Sie sind verrückt'.

Ore 4.50 – Bad Goisern, km. 0
Pochi minuti al via: il buio non è poi così pesto come un'ora fa ma i lampioni e le fotoelettriche sono ancora indispensabili per vederci qualcosa. La situazione è strana ed emozionante: con le tenebre tutto sembra così diverso, non c'è musica, non c'è rumore. Tutto è come ovattato, il brusio è appena accennato: la piazza è un brulicare di bici e biker, ma tutti parlano sottovoce.

Ore 5.00 – Bad Goisern, partenza
La piazza esplode. Letteralmente. Un boato di grida, applausi e urla che sveglia quei pochi che ancora erano a letto: il rettilineo di partenza è stracolmo di gente, due ali di folla armate di campanacci, trombe, vuvuzela, tamburi e ogni altro aggeggio atto a far rumore. E' il saluto di Bad Goisern agli eroi che partono alla conquista del Salzkammergut. Da pelle d'oca.

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Ore 5.15 – Rehkogl, km. 4
Siamo solo a un terzo della prima salita, il terzo più facile, e siamo assaliti da sonno, stanchezza, gambe pesanti. Ma chi ce l'ha fatto fare? Ma quanto bene si stava a letto? Quasi quasi giriamo la bici e torniamo in albergo...

Ore 6.20 – Ratschberg, km. 11
Che meraviglia, che bellezza! Sta albeggiando. Tra le nuvole che si stanno diradando filtrano i raggi del sole a illuminare la valle. In lontananza il ghiacciaio del Dachstein, sotto di noi i paesi della valle che ancora dormono. Valeva la pena partire alle cinque anche solo per ammirare questo spettacolo della natura.
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Ore 7.25 – Ewige Wand, km. 29
Primo passaggio sul simbolo della gara, la strada nella roccia tra tunnel e precipizi. Prima e dopo qualche passaggio tecnico un po' umido in single track mette già in difficoltà diversi biker. Da chiedersi come pensano di finirla sta gara se già adesso sono presi così...

Ore 8.00 – Bad Goisern, primo passaggio, km. 40
Finisce il primo giro, quello corto. Inizia a vedersi qualcuno per le strade, finora c'erano quasi solo i bravissimi (e volenterosi) volontari ai bivi e qualche escursionista mattiniero. Gli applausi e i 'SUPPA SUPPA' (si scriverebbe 'Super', ma si legge 'Suppa') vengono distribuiti a destra e a manca non appena compare un 'numero rosso'.

Ore 8.25 – Rehkogl, km. 43
Il bivio tra primo e secondo giro passa senza neanche notarlo. La salita è asfaltata e pedalabile e le gambe iniziano a mulinare bene. Un crucco sbaglia direzione e tutti gli vanno dietro come pecoroni dietro finendo dentro un cortile. Si odono imprecazioni in svariate lingue del mondo.

Ore 9.05 – Reith / Altaussee, km. 52
Ristoro. Si mangia e si beve. Qualcuno già che c'è lava pure la bici visto che il fango accumulato inizia a essere tanto, soprattutto nell'ultima discesa giù per un sentiero di rocce, radici e parecchia melma: un sentiero non lunghissimo ma q.b. per sporcarsi dalla testa ai piedi. E, soprattutto, q.b. per perdere tempo prezioso se si ha da lottare con i cancelli.
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Ore 9.20 – Salzwelt Altaussee, km. 55
Passiamo di fronte alle miniere di sale, attrazione turistica divertente anche se freddina (un'ora e mezza a 7°C dentro la montagna). La temperatura esterna invece è ottimale, non fa troppo freddo e il tempo sembra tenere ed esce pure il sole. Anche questa salita è pedalabile... anzi no, dopo le miniere si impenna con pendenze da capottarsi. Ma dura poco, poi torna agevole.

Ore 9.30 – La pista nera, km. 57
Chi trova un amico trova un tesoro. Noi troviamo Giacomo, da Pesaro. Ci avverte di quel che sta per arrivare: una pista nera da scendere 'dritto per dritto'. Sul momento non capiamo, ma poco dopo... vediamo. Una discesa corta ma ripidissima, costellata di sassoni messi un po' a casaccio; poi entra nel bosco e si fa... inesistente. Sembra di essere sul greto di un torrente in secca, quasi impossibile procedere in bici tra le pietre umide e scivolose.
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Ore 9.40 – Blaa Alm, km. 59
Sempre insieme a Giacomo. Qui l'anno scorso forò: nella sosta notò un recinto per animali. Ci invita a fermarci un minuto per andare a vedere. Come allo zoo, anzi meglio... allo zoo le marmotte non sempre ci sono.

Ore 09.50 – Valle del Rettenbach, km. 63
La discesa è veloce, non troppo ripida e né troppo tecnica, ma si snoda in un ambiente a dir poco strabiliante, fianco a fianco al torrente tra gallerie, canyon, cascate, pareti di roccia. A ogni chilometro uno spettacolo diverso nella stretta e selvaggia valle, ma chi sbaglia una curva è spacciato.

Ore 10.00 – Valle del Rettenbach, km. 68
E il primo cancello è passato. 45 minuti di anticipo possono essere tanti ma anche pochi, visto quello che c'è ancora da affrontare. In compenso al ristoro, pochi chilometri prima, abbiamo approfittato del lavaggio bici, ce n'era proprio bisogno.

Ore 10.20 – Valle del Grabenbach, km. 71
Un'altra salita. Un'altra – per fortuna – con pendenze non così elevate. Si incunea dritta e senza tornanti in una forra sempre più stretta e sempre più profonda. Qui nel 2010 uno del D-Strecke è caduto di sotto e c'ha lasciato le penne. Inizia pure a fare un po' freddino, si alza un po' d'aria e il cielo si annuvola sempre più. Pure le gambe iniziano a sentire la stanchezza.

Ore 10.45 – Tauernkreuzung, km. 74
Ci siamo passati anche prima, nel giro piccolo. C'è il ristoro, adesso preso d'assalto da quelli del B-Strecke partiti alle 9.00. Fa freddo e c'è vento, meglio vestirsi. Ripartiamo e, abbandonati i 'numeri blu' canniamo alla grande il primo bivio che ci capita davanti. E' già la seconda volta che ci capita: preoccupante...

Ore 10.55 – La discesa senza nome, km. 76
Ecco il fascino del Salzkammergut: vegetazione rigogliosa, precipizi, pareti verticali e sentieri a strapiombo (questo che stiamo affrontando ha persino le reti di protezione!). Entriamo e usciamo dalle gallerie a velocità folli, poi tiriamo di colpo i freni sennò ci ammazziamo: davanti a noi diverse centinaia di metri di fango e sassi, radici e ruscelli. Dai numerosi infermieri presenti si capisce che qua ci si fa male, difatti tutti scendono a piedi.

Ore 11.15 – Bad Ischgl, km. 82
Non si sa come, non si sa perché, ma nonostante la stanchezza scendiamo in sella alla grande e senza problemi. Sarà merito della full 29'? O forse delle gomme 'quellechecostanomeno' gonfiate a 'piùomenoquantobasta'? Fatto sta che arriviamo alle porte di Bad Ischgl con il sorriso sulle labbra.

Ore 11.16 – Bad Ischgl, km. 82,5
Da lontano vediamo un biker arrancare a piedi tra le erbacce nel mezzo di un campo ripidissimo. Il sorriso sulle labbra sparisce all'istante. Poco dopo sarà ancora peggio: la foto si commenta da sola.
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Ore 11.35 – Da qualche parte vicino a Bad Ischgl, km. 84
C'è da camminare, e tanto, nei sentieri da capre infangati e invasi dalla vegetazione.
Fa freddo, e il cielo si fa sempre più scuro e minaccioso.
Siamo stanchi e le gambe invocano pietà.
Non abbiamo la più pallida idea di dove siamo, di quanto manchi alla fine della salita.
Giungiamo in un paesino fantasma, non c'è anima viva in giro.
Legge di Murphy: 'Se qualcosa può andar male, lo farà.'

Ore 11.36 – Perneck, km. 85
Non poteva esserci momento migliore per forare.
Per fortuna c'è subito il ristoro, e la foratura è meno grave del previsto e con un gonfia&ripara risolviamo rapidamente il problema.
Problemi però che non sono finiti: c'è da affrontare il secondo strappo dei quattro che compongono la salita che ci riporterà in cima all'Hutteneckalm, già vista alle sette e mezza di mattina.

Ore 11.45 – Miniere di sale abbandonate, km. 87
La salita è asfaltata, ma talmente ripida che non si può far altro che salire a piedi, e pure a fatica visto che si scivola di continuo sul cemento bagnato. Sono chilometri che non vediamo anima viva, nemmeno ai bivi. Incrociamo lo sguardo con un compagno di (s)ventura: non servono parole, basta un'occhiata per capirsi e scoppiare in una risata amara e beffarda. Ma chi ce l'ha fatto fare? Perché siamo qui? Ma soprattutto, dove siamo? Sconforto, ecco quello che proviamo.

Ore 12.05 – Hinterrad, km. 89
Miracolo: il terzo strappo è quasi un falsopiano! Le gambe e soprattutto la testa riprendono vigore. Inizia però a gocciolare, speriamo bene.

Ore 12.30 – Tauernkreuzung, km. 95
Per la terza volta ritorniamo a questo ristoro. Non gocciola ma pioviggina. Il nostro obiettivo di fare mezza Salzkammergut è quasi completato, ancora l'ultimo strappo e poi è più o meno tutta discesa.

Ore 12.50 – Hutteneckalm, km. 96
Piove. Anzi, nevischia. Crolliamo psicologicamente. Gettiamo la spugna. L'unico sorriso ce lo strappano degli spettatori imbaccuccati e festaioli. E qualche pacca sulle spalle da parte dei biker dei percorsi più corti. Non vediamo l'ora di scendere a valle e scaldarci un po'. A inizio discesa qualcuno lungo la strada dice di conoscerci ma il cervello ormai non connette più. Unico task: tornare a casa.

Ore 13.05 – Predigstuhl, km. 100
Più o meno al cancello dei 100 chilometri, dove arriviamo con quaranta minuti di anticipo, inizia a diluviare (come del resto è abitudine qui nel Salzkammergut). Con calma ci mettiamo in assetto da pioggia e proseguiamo con cautela.

Ore 13.25 – Ewige Wand, km. 104
Passiamo per la seconda volta per la strada nella roccia, ora decisamente meno felici e brillanti. Senza occhiali e con la pioggia non si vede niente. Andiamo in crisi pure sui single track in discesa: la facciamo sporca e qualcuno lo evitiamo tagliando per la sterrata principale.

Ore 13.40 – Weissenbach, km. 109
Laddove inizia e finisce l'anello per Chorinskyklause, con una salita agevole e una discesa estrema, come previsto, alziamo bandiera bianca: 'Kaputt, leer'. Intirizziti, zuppi, sporchi e puzzolenti non siamo quasi neanche capace di scendere di bici. Il volontario al bivio sogghigna beffardo e ci obbliga pure all'umiliazione di toglierci da soli il chip. Bastardo.

Ore 13.45 – Weissenbach, km. 109
Salutato il volontario con una bella imprecazione in idioma veneto, arriviamo alla feed-zone. Ci rifocilliamo a dovere, senza fretta e riprendiamo la strada verso Bad Goisern tra gli sguardi tra il divertito e il rassegnato delle ragazze del ristoro: chissà quanto se la ridono a vedere questi deficienti massacrarsi le natiche con ore e ore di culo in sella e che, magari, si trovano costretti pure a cambiarsi e asciugarsi chiappe al vento.

Ore 14.05 – Bad Goisern
Facciamo gli abusivi e ci immettiamo nel percorso all'ultimo chilometro, tanto per tagliare il traguardo e farci fare due foto. Non mancano gli incitamenti, anche se di tono diverso rispetto alla mattina: ora sono decisamente più mesti e rassegnati, come a consolare per la missione fallita.

Ore 15.47 – Bad Goisern
Docciati e cambiati finalmente possiamo dedicarci a birra & wustel sotto al tendone. Nel frattempo lo speaker annuncia l'arrivo del primo 'numero rosso'. Ce ne freghiamo alla grande, ora abbiamo altro di ben più importante a cui pensare.

Il pomeriggio scorrerà scandito dalla pioggia, più o meno intensa ma comunque sempre presente. Per i 'numeri rossi' sopravvissuti il più è fatto, anche se i chilometri da pedalare sono ancora tanti verso Hallstatt e Gosau, con un lungo (ma per nulla banale) tratto pianeggiante sul lungo lago e poi su verso le miniere di Hallstatt e il famigerato muro del pianto, vero e proprio ago della bilancia della corsa. Da lì al traguardo mancheranno altre due salite, pedalabili ma per nulla semplici dati i tanti chilometri nelle gambe, e diverse larghe e comode sterrate in discesa.

Chi uscirà indenne anche dagli ultimi cancelli sarà accolto a Bad Goisern in maniera trionfale fino oltre le nove di sera: i 'numeri rossi' che portano a termine la missione, primi o ultimi poco importa, sono ammirati e rispettati come degli eroi.

Stefano De Marchi @ www.solobike.it
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Venezia... by Bike?!?!?!

26/2/2012

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Ma che c’azzecca Venezia con la bici…. direte voi. Rii, rive e canali semmai si adattano meglio al pedalò, ma con la mountain bike dove vuoi andare… a Venezia?!?!?!

E invece… si può! Certo non è proprio semplicissimo, ma comunque molto più agevole di quanto si possa pensare. Non stiamo parlando di centro storico, ovviamente, ma di una parte di Venezia in parte dimenticata dal grande turismo di massa.

La meta è l’isola di Sant’Erasmo, la più grande della Laguna, situata a nord-est del centro storico e alle spalle del litorale di Cavallino-Treporti. Sicuramente i veneziani conosceranno le caratteristiche del luogo, ma la quasi totalità dei “foresti” probabilmente non saprà che sull’isola – conosciuta anche come “l’orto di Venezia – ci sono strade e ci gira pure qualche auto.

Dopo un bel po’ di tempo che l’avevo in programma, domenica scorsa mi decido e – con una mezza improvvisata – parto alla volta di Jesolo Paese da dove ha inizio il giro.

Lasciata l’auto nel vasto parcheggio di Piazzale Kennedy parto alla volta del fiume Sile, e una volta attraversato è sufficiente seguirne la sponda destra; dopo poco l’asfalto lascia il posto allo sterrato e ci si addentra in aperta campagna seguendo il corso d’acqua con ampie anse.
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Lungo il fiume (che qui scorre nel vecchio alveo del Piave, dopo essere stato deviato fuori dalla Laguna dai Veneziani per evitarne l’insabbiamento) avvistare animali non è affatto difficile: in pochi minuti attraversano la strada lepri, germani, aironi, fagiani e anche quello che dovrebbe essere un falco di palude.

Dopo circa dieci chilometri di pedalata agevole una chiusa segnala l’ingresso nel territorio di Cavallino.
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L’orientamento è piuttosto intuitivo e percorrendo le strade (deserte, vista la stagione) tra i cantieri navali e i primi alberghi e stabilimenti, giungo rapidamente alla spiaggia. Il faro del Cavallino segna l’inizio della lunga e per nulla semplice pedalata lungo il litorale.
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Mi aspettano ora quasi 15 chilometri di spiaggia: devo dire che nonostante tanti anni di pedalate… questa ancora mi mancava!!!
All’inizio sembra semplice: basta pedalare sul bagnasciuga laddove il fondo è più compatto, lambendo l’acqua ma senza bagnarsi; la velocità non è molto sostenuta ma comunque accettabile. Fosse tutta così, non ci sarebbero problemi.

E invece, ogni 2-300 metri un molo interrompe la battigia costringendo ad avventurarsi tra la sabbia più soffice e ovviamente impedalabile: dopo 7-8 di questi ostacoli la fatica inizia a farsi sentire. Cerco allora altre soluzioni, primo fra tutti il classico marciapiede di cemento a fine spiaggia… ma qui non c’è! In compenso c’è un muretto inclinato fatto di grosse pietre irregolari la cui sommità è abbastanza lineare da poterci pedalarci sopra (per la gioia di forcella e ammortizzatore).

Qua e là però il muretto sparisce, e allora ecco la scoperta inaspettata: ampie fette di spiaggia, probabilmente toccate dall’alta marea o più esposte al vento, risultato battute come - se non addirittura meglio! - del bagnasciuga... e procedere in bici si fa più facile del previsto! L’unica cosa da stare attenti sono degli scalini più o meno alti che interrompono le dune, costringendo ad usare un minimo di tecnica per non fare un treessanta in avanti.

Per il resto, una volta capito il trucco, basta cercare le zone di sabbia di tonalità intermedia, né troppo chiara né troppo scura, passando da una zona all’altra cercando di perdere meno velocità possibile.

Nel frattempo, il cielo che alla partenza era poco nuvoloso, ora si è fatto minaccioso e un lampo con tuono annesso non promettono nulla di buono.

Nel finale, avvistato il faro di Punta Sabbioni in lontananza, i moli spariscono e posso concludere la traversata litoranea con due chilometri e mezzo a ridosso del mare… tra gli sguardi perplessi e straniti di alcuni patiti del mare d’inverno.
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A Punta Sabbioni inizia a cadere la pioggia, che mi accompagna nel tratto asfaltato a fino a Cà Savio e poi al terminal di Treporti, dove dovevo prendere il vaporetto per Sant’Erasmo. “Dovevo”, perché il tratto sulla spiaggia (che mi aspettavo più semplice) mi ha portato via più tempo del previsto facendomi così perdere la coincidenza per 15 minuti.

Pazienza… mi rifugio dentro al bar bagnato e infreddolito (e la signora mi guarda con compassione… ma faccio davvero così pena?!?!?), mangio e bevo qualcosa e, in attesa del vaporetto successivo, ne approfitto per qualche foto.
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Finalmente arriva il vaporetto, Linea 13, e appena salito a bordo chiedo diligentemente al comandante di farmi il biglietto. Lui mi risponde che li ha finiti… quindi “mi tocca” viaggiare gratis. Bene, grazie ACTV!

Il viaggio dura solo pochi minuti , e l’idea di usare un motoscafo per fare un giro in bici è alquanto bizzarra…
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Lo sbarco all’isola di S.Erasmo, presso Punta Vela, è accolto dal sole che è tornato a splendere e a scaldare l’aria. Di fronte all’isola si trova l’ameno isolotto di San Francesco del Deserto, e più dietro si scorgono le skyline di Burano, Mazzorbo e Torcello.
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La direzione da intraprendere è molto intuitiva (c’è una sola strada…) e inizio il periplo antiorario dell’isola, lunga 5km e larga circa 500m.. Raggiungo ben presto il centro principale di S.Erasmo, dove si trovano chiesa, porticciolo e un bar, proseguendo poi verso l’estremità sud-ovest dell’isola percorrendo la stretta stradina tra campi e serre: l’isola vive infatti soprattutto di agricoltura e non a caso è nota anche come “orto di Venezia”.

Qui il turismo di massa sembra non essere ancora arrivato e si respira un’aria dismessa e solitaria come se il mondo si fosse dimenticato di questi luoghi così apparentemente isolati.

Nella punta estrema si arriva finalmente a scorgere il centro storico di Venezia, da cui svetta il campanile di San Marco, successivamente coperto dalle Vignole e dall’isola di Sant’Andrea Spostandosi poi sul lato opposto si S.Erasmo si incontrano l’unico hotel e uno dei due ristoranti presenti nell’isola, entrambi in prossimità della Torre Massimiliana, dalla caratteristica forma circolare e probabilmente la più importante testimonianza storica qui presente. Non approfondisco oltre, se siete curiosi date un’occhiata qui.

Il lato sud-est dell’isola è occupato prevalentemente da una stretta spiaggia lungo la quale, rialzato, corre un bellissimo single track sferzato dal vento.
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Si raggiunge così la punta nord, entrando senza problemi in un cantiere abbandonato dal quale si ha finalmente una vista su Burano e Mazzorbo. Sembra tuttavia che il tempo stia ancora per cambiare.
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Prima di rientrare a Punta Vela per prendere il vaporetto che mi riporterà a Treporti provo ad esplorare, un po’ a caso, le campagne circostanti scoprendo un breve ma bel sentiero che corre tra campi, argini, chiuse e laguna.

Ritornato all’imbarcadero attendo il vaporetto prendendo confidenza con l’innovazione tecnologica che ha cambiato la vita ai veneziani, creando gioie e dolori a milioni di turisti e non pochi problemi all’ACTV…. Il famigerato IMOB.
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Il cielo si chiude nuovamente e inizia a gocciolare… per fortuna sono al coperto e il vaporetto arriva presto. Una volta a bordo, chiedo ancora una volta al comandante il biglietto: questo mi guarda… guarda la bici… guarda me… guarda la bici… guarda l’orologio… si gira, mette in moto e parte! Altro viaggio gratis… grazie ACTV!!!

Nei pochi minuti di navigazione il meteo cambia radicalmente: le nubi spariscono e in cielo splende nuovamente il sole e inizia a fare caldo, molto caldo.

Da Treporti ritorno a Cà Savio e da qui imbocco la provinciale che costeggia la laguna nord, incontrando strada facendo una vecchia torre e… un grande animale.
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Il percorso, identificato anche da un itinerario ciclabile, abbandona finalmente l’asfalto raggiungendo Cà Ballarin su una comoda sterrata immersa nel silenzio. Proseguendo lungo la laguna, il tratturo riporta alla chiusa già incontrata al mattino: per passare sull’altra sponda del Sile, però è necessaria una breve deviazione sul trafficato ponte stradale, riprendendo poi l’argine sud del fiume tra canneti e reti da pesca.
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Il rientro a Jesolo è molto intuitivo (basta seguire l’argine) ma abbastanza difficile dato il forte vento contrario e il fondo poco battuto. Altri dieci chilometri e la gita finisce: arrivato a Jesolo la prima cosa che vedo è…. e non resisto. Ecco il risultato…
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Racconto, foto e report a parte… se avete una domenica da perdere, andate a fare questo giro, ve lo consiglio vivamente: non è vera e propria MTB, ma comunque è un tour sicuramente originale e diverso dal solito. Certo ricordate a fine uscita di sciacquare un po' la bici... sabbia e salsedine non è che gli facciano proprio bene...

Da evitare comunque i mesi più caldi, visto che di ombra se ne trova poca e alcuni tratti (S.Erasmo e argine di ritorno a Jesolo) potrebbero essere invasi dalla vegetazione. Autunno e inverno potrebbero essere i periodi migliori, anche per vedere il mare e la laguna da un punto di vista diverso.

Per quanto riguarda la spiaggia, se proprio non ve la sentite di farvela tutta, potete sempre seguire le strade asfaltate interne al litorale.

Il trasbordo da/per S.Erasmo studiatelo bene: con la bella stagione ci sono dei servizi potenziati, mentre negli altri periodi dell’anno le bici possono essere trasportate ma in numero limitato (non più di 3-4 per viaggio) e comunque dando la precedenza ai passeggeri. Per orari e tariffe consultate www.actv.it o il call center Hello Venezia allo 041.24.24.

Il viaggio Treporti-Punta Vela dura 13 minuti; partenza da Treporti ai minuti 25 di ogni ora, da S.Erasmo ai minuti 12.

Se volete pranzare a S.Erasmo, ci sono due ristoranti: Tedeschi nei pressi della Torre Massmiliana, e Vignotto a circa metà isola, sul lato est. Se posso consigliare: evitate assolutamente il primo, decisamente meglio il secondo.
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Nervoso come un ciclista in una rotonda

25/10/2011

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Se vi dico “Nervoso come un ciclista in una rotonda”, mi capite?

Se sto in parte… so’ in mezzo, e in mezzo…rivarghe! E co ghe rivo quando vegno fora?

E allora cosa faccio?

Giro. Giro, intorno alla rotonda, in fondo è ciclismo anche quello! Giro anche delle mezzorette, finché mi scappa.

E a quel punto dove vado a farla? In mezzo: in mezzo alla rotonda!

Siete mai stati in mezzo alla rotonda? No?!

Male! non hai capito niente se non sei stato in mezzo a una rotonda. Non puoi dire “Io son stato in Veneto, ho visto tutto, ho visto Montagnana, ho visto Vittorio Veneto, ho visto anche Jesolo, ho visto Bassano, ho visto Verona, ho visto Villafranca...”.

Sì, ma sei stato in mezzo alla rotonda di Verona? E a quella di Villafranca, di Scorzè? Se non le hai viste non puoi dire che hai visto tutto!

Guarda che diamo il meglio di noi oggi sulle rotonde!

Quella col sasso tondo, hai presente? Quella col sasso quadro?

Quella con le erbette? Con l’ulivo? Quella con la vite?

Quella che hanno fatto il campo di pannocchie...!

Adesso ne ho vista una con un salgaro, un salice, enorme talmente grande che tu pensi: c’era già e ci hanno fatto la rotonda intorno!

È quella l’arte: fare sembrare che la rotonda gliel’hai fatta intorno… e invece no! Il salgaro viene dalla Croazia perché non ci sono più quei salici da noi, come gli ulivi viene dalla Valle del Belice...

E quelle con le macchine agricole, o anche solo coi tocchi di macchine agricole?

Con il macchinario che non si capisce cos’è, ma se lo metti là è bello: qualsiasi cosa tu metta in una rotonda... se si dimenticano una vanga in una rotonda sono tutti là a guardarla!

Vuoi esporre al mondo il tuo prodotto interno lordo da record? Mettilo su una rotonda! Oggi è quello l’apice dell’attenzione: dove vuoi che guardino gli automobilisti in quel momento? E poi anche a vedersi non sono tutte uguali, alcune sono piane, altre hanno una leggera inclinazione, un dosso, altre ancora le hanno inclinate in maniera più andreottiana… a Rovigo hanno esagerato: ne hanno fatto una con la gobba talmente alta che nevica fino a giugno!

Ma in mezzo a tutte le rotonde, e proprio a tutte, che però se non sei mai stato non puoi saperlo, c’è il buco! Al centro, dove cultura feconda natura, dove hanno piantato il compasso per fare la rotonda.

E là, proprio al centro, io ci piscio! Sì, non è vandalismo, è solo che mi cavo una piccola soddisfazione... sai quanti comuni ci sono in questa regione?

581, avranno 10 rotonde a testa... fa 5810. Fino ad adesso io ne ho fatte 312, caro... è il mio modo di conoscere il territorio!

Anche perché, scolta, se sei ciclista sulle rotonde te ne fanno passare di tutti i colori. Guarda che è per questo che i ciclisti da noi si mettono in divisa da supereroi. Io la domenica vado a pedalare con Fantomas, l’Uomo Mascherato e due Uomo Ragno, ma in cinque supereroi non fai niente!

Secondo te perché i cicloturisti la domenica si mettono in gruppo? Per la compagnia? Ma va là, non gliene frega niente a nessuno della compagnia, è gente antipatica, sai!

No, è per la massa critica, che pedalano in compagnia, se hai la massa critica l’automobilista prima di sorpassarti mette la freccia, rallenta, ti saluta anche, ha paura.

Però è solo la domenica che riusciamo a fare massa critica... eh, per via degli orari di lavoro non mi trovo. E se vai a pedalare da solo, sei il più sfigato dei supereroi su una rotonda: l’Uomo Invisibile!

Però guarda che se mi incazzo...

Abbiamo 30 milioni di biciclette in cantina noi altri in Italia! Ti rendi conto? 30 milioni di biciclette, lo sai cosa sono? Una massa critica!

Mi fa ridere a me quello che dice “abbiamo un milione di fucili”, vuoi mettere 30 milioni di biciclette? Mandiamo all’aria la FIAT noi con 30 milioni di biciclette in cantina!

Perché non vado in bicicletta?

Perché non posso andare al lavoro vestito da supereroe e poi pedalare in borghese, non mi vedo mica, con le braghe, mi sento ridicolo a pedalare con le braghe. Senza tutina, con le braghe, cosa metti la molletta anche? No no... Poi se vado a pedalare così e mi vede uno dei miei amici, si ferma subito e mi fa: “Hai rotto la macchina?”

Quello ti chiedono...

[dallo spettacolo "Bisogna (la pellagra vis sms)", di e con Marco Paolini]

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National Park Bike Marathon 2011 - Scuol [SUI]

27/8/2011

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Svegliarsi con la pioggia che batte alle finestre non è di certo il modo migliore per cominciare la giornata. Lo è ancor meno se la giornata è quella della National Park Bike Marathon.

In quel di Scuol, principale centro della Bassa Engadina e non lontano dal confine italiano, tutto era pronto per il decennale della celebre marathon attorno al Parco Nazionale Svizzero, attraverso i centoquaranta chilometri e quattromila metri di dislivello del “Vallader”, uno dei percorsi più affascinanti del panorama europeo individuato anche da un apposito segnavia permanente (il 444). Il meteo però c’ha messo lo zampino, e proprio sul finire di un torrido agosto ha regalato a biker e organizzatori una giornata tardo-autunnale.

Andiamo però con ordine: l’evento nasce nel 2002 e fin da subito si distingue per l’incantevole ambientazione in cui si svolge: un ambiente d’alta montagna, tra valli isolate e disabitate, toccando alcuni dei luoghi più suggestivi dell’intero arco Alpino e lambendo più e più volte il Parco Nazionale. Il parco, fondato nel 1914, fu il primo esempio in Europa di riserva naturale protetta:  da allora al suo interno è bandita ogni attività umana, permettendo alla natura di evolversi liberamente conferendo a questo paesaggio un carattere unico.

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Un’altra peculiarità della National Park Bike marathon è la distribuzione dei tre percorsi più corti: non partono da Scuol, bensì da altrettante località posizionate lungo il tracciato “Vallader” ripercorrendone così la parte finale. Da Fuldera, in Val Müstair, ha inizio lo “Jauer” (104km./2870m.), da Livigno il “Livignasco” (71km./1750m.) e da S-chanf, in Engadina, il “Puter” (47km./840m.). Nelle stesse località sono posti i punti di “cambio” della staffetta, una gara-nella-gara riservata a team di quattro frazionisti, mentre sul percorso più corto viene stilata la classifica “Gross und Klein” per coppie formate da un adulto e un ragazzo di massimo 16 anni.

Tutte le operazioni pre-gara si sono svolte in maniera rapida e ordinata all’interno dello stadio del ghiaccio, sede logistica dell’evento; nel costo di iscrizione (da 46 a 73 euro a seconda del percorso scelto) erano compresi anche l’eventuale trasporto al punto di partenza con bus e treno, e il pacco gara composto da uno zaino tecnico e un asciugamano in microfibra, entrambi personalizzati con il logo dell’evento. Il pasta party era a pagamento, sia al venerdì sera che nel dopo gara, ma la mattina della gara (a partire dalle ore quattro) un’abbondante e sostanziosa colazione attendeva tutti gli iscritti prima del via. Era disponibile anche un bike-park sorvegliato per la notte precedente la gara.

Alle ore 7.15 di sabato mattina, sotto un cielo coperto ma con diversi sprazzi d’azzurro, ha inizio l’avventura. La prima salita fino al Passo Costainas è lunga ma facile, risalendo per oltre venti chilometri la Val S-Charl e toccando a metà strada l'ameno omonimo paesetto: un luogo fuori dal tempo che appare di colpo sulla via per il Costainas, con le case in legno e le stalle affacciate sulla piazzetta, e pure qualche animale da cortile che scorazza libero per la piazza. I pochi abitanti sono tutti in strada ad applaudire e suonare campanacci, incuranti delle prima gocce di pioggia e del fortissimo vento contrario.
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Allo scollinamento, posto a quota 2251m., la gioia del bellissimo single track sommitale viene perentoriamente azzerata dalla visione della Val Müstair, immersa nelle nubi dense e scure di pioggia che accompagnerà la discesa e il successivo fondovalle. A Fuldera l’assistenza meccanica è presa letteralmente d’assalto da richieste di olio sulla catena, mentre già si segnalano le prime defezioni di atleti tremanti e  infreddoliti.

La situazione sembra migliorare all’imbocco della lunga, monotona e logorante scalata al Doss Radond, ma da metà salita è ancora tempo di acqua e vento. A quota duemila gli alberi scompaiono, privando i biker della loro provvidenziale protezione, e fino alla vetta sarà una lotta contro gli elementi avanzando a velocità ridicole, venendo sballonzolati continuamente qua e là da folate gelide e improvvise. Al ristoro del GPM (2234m.) un improbabile e imbevibile brodo caldo è l’unica fonte di calore prima della spettacolare Val Mora.

Con il bel tempo sarebbe un larga, veloce e scorrevole discesa in un continuo susseguirsi di montagne scoscese, prati sconfinati, torrenti impetuosi e pareti di roccia verticali. Ma in queste condizioni la valle si trasforma nello spettrale scenario dove a farla da padrone sono ancora una volta il vento, che infuria ora con raffiche laterali brusche e violente, e la pioggia, che cade quasi orizzontale. D’improvviso tutto si quieta, giusto all’imbocco della famoso e splendido single track nella gola: un sentiero rubato alla montagna, compatto e veloce, tutto da guidare, a picco sul torrente che scorre qualche decine di metri più sotto. Ogni errore qui si paga caro, e non a caso all’inizio del trail almeno una decina di soccorritori sono pronti per ogni evenienza.
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La fine del sentiero e il Lago di San Giacomo sanciscono l’ingresso in Italia: ha inizio la terza asperità. L’Alpisella è una salita di soli trecento metri di dislivello ma interminabile: dopo la prima parte nel bosco la strada prosegue sinuosa lungo la valle a medie pendenze, dando più volte l’impressione di scollinare salvo poi tornare a salire inesorabile, il tutto per cinque eterni chilometri.

E’ in questa fase che la situazione precipita: verso mezzogiorno la temperatura crolla d’improvviso, passando dagli 8-10° della prima parte di gara ai 2-3°, e la pioggia si fa mista a neve. La picchiata su Livigno, flagellata ancora una volta dalla pioggia e dal vento, si trasforma in un’agonia, con mani e piedi che congelano rapidamente e con il baratro a bordo strada che fa ancora più paura.
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Il lago di Livigno sembra un mare in tempesta, solcato dalle onde e spazzato dalle raffiche e dagli scrosci. Il pensiero subito corre al da farsi: trovare un posto caldo dove fermarsi, asciugarsi e cambiarsi con gli indumenti invernali provvidenzialmente portati nello zaino, per poi ripartire verso i 2700 metri del Chaschauna.

Il primo edificio che appare è la Latteria di Livigno: una distesa di biciclette abbandonate sul prato, i vetri delle finestre appannati, e una processione di biker che entrano nei locali della latteria. Nessuno invece esce. Una volta all’interno, arriva la notizia che tutti aspettavano.

Gara sospesa. Fine dei giochi. Game Over.
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Al Passo Chaschauna il termometro segna diversi gradi sotto lo zero e già diversi centimetri di neve coprono il suolo, mentre la tempesta che si sta scatenando su Livigno è solo quel che resta della ben più grande bufera che ha portato scompiglio sul versante svizzero.

Lungo tutto il percorso, da Fuldera a Livigno, da S-Chanf a Zernez, non si contano i casi di ipotermia, con bikers tremanti e intirizziti dal freddo assistiti dalle squadre di soccorso. Nella latteria di Livigno viene allestito un punto di primo soccorso per i casi più gravi, mentre fuori sono già pronti i pullman per il rientro a Scuol.

Non resta allora che concludere l’avventura comodamente seduti sul bus che riporterà al punto di partenza; alle biciclette, posteggiare in un garage piantonato dai vigili urbani, ci penserà l’organizzazione che le riconsegnerà a Scuol in serata.

Nel tardo pomeriggio, mentre il sole torna a splendere sulla Bassa Engadina, è tempo di capire meglio che cosa è successo.
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Le gare sui due percorsi più corti si sono svolte regolarmente, seppure in condizioni meteo difficoltose con pioggia, neve e grandine che hanno costretto moltissimi bikers a ritirarsi: i concorrenti del percorso “Livignasco” di 71km. hanno superato il Passo Chaschauna prima che il meteo peggiorasse, mentre il percorso di 47km. che si svolgeva completamente lungo il fondo valle non superava mai i 1700 metri.

Nel percorso di 104km. solo in diciotto hanno svalicato il Passo Chaschauna e in quindici hanno completato la gara, mentre il resto dei partecipanti sono stati fermati a Livigno o al rifugio nei pressi del valico.

La prova sul percorso “Vallader”, valida quale Campionato Nazionale Svizzero, è stata invece interrotta al termine della discesa dal Passo Chaschauna dopo il transito dei primi atleti: in quindici sono giunti fino a S-Chanf, con Urs Huber che diventava il nuovo campione elvetico. Tutti gli altri sono stati dirottati su alcuni punti d’appoggio lungo la salita e discesa del Chaschauna, o fermati direttamente a Livigno dove si è conclusa anche la prova femminile, vinta da Milena Landtwing.

La macchina organizzativa è senz’altro da elogiare per la perfezione e la tempestività con cui è stata gestita l’emergenza, dai primi soccorsi al coordinamento dei rientri fino alla restituzione delle biciclette abbandonate un po’ ovunque nei paesi toccati dalla gara. Esemplare poi il servizio fornito dai numerosissimi volontari, sempre disponibili e cordiali fino a sera sebbene in piedi già dalla colazione alle quattro del mattino.

Per questi motivi la decima edizione della National Park Bike Marathon si merita una promozione con lode: oltre a un percorso tra i più belli in assoluto e non eccessivamente tecnico, agli scenari d’alta montagna e ai panorami mozzafiato, questo evento ha dimostrato di essere al top anche dal punto di vista organizzativo collocandosi senza ombra di dubbio nel novero delle migliori marathon europee.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

Sito internet:
www.bike-marathon.com

Fotogallery:
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/NationalParkBikeMarathon2011
http://www.swiss-image.ch/slideshow/#bikemarathon2011
http://www.sportograf.com/bestof/984
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Ischgl Ironbike 2011 - Ischgl [AUT]

6/8/2011

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Non capita spesso di pedalare a quasi tremila metri di quota fino al culmine di una montagna, laddove l’aria rarefatta rende tutto più difficile, laddove la vista spazia a trecentosessanta gradi su un orizzonte sconfinato di vette, boschi e ghiacciai. E non capita spesso di potersi poi gustare tante adrenaliniche discese su piste e sentieri ogni volta diversi.

Tra le località che offrono questa possibilità, Ischgl è sicuramente una delle più rinomate: la piccola cittadina austriaca, principale centro della Paznauntal, negli ultimi anni ha saputo creare un’offerta turistica invernale ampia, variegata e altamente concorrenziale rispetto ad altre località vicine, al prezzo però di sfruttare intensamente (in alcuni casi anche esageratamente) le montagne della Silvretta Arena.

D’estate Ischgl cambia faccia. Messi da parte sci e scarponi, a farla da padrona è la mountain bike: oltre milleduecento chilometri di sentieri per ogni tipo di biker, negozi e noleggi disseminati un po’ ovunque, impianti di risalita e piste freeride disegnate da un certo Hans Rey fanno della Paznauntal una meta irrinunciabile per ogni appassionato delle ruote grasse.

Certo, tra il Burger King in piazza e le ruspe al lavoro alle quote più alte, i puristi storceranno il naso di fronte a una montagna così “commerciale” e sfruttata, in grado però di attrarre anche in estate un turismo giovane e sportivo con eventi di livello internazionale, dall’alpinismo alla camminata in montagna, fino addirittura a discipline motoristiche con moto e kart.

In questo contesto, ovviamente, la mountain bike la fa da padrone e la Ischgl Ironbike, svoltasi sabato scorso su queste montagne, ha sicuramente un fascino tutto particolare: conosciuta come una delle gare tra le più importanti e difficili d’Europa, attrae tutti i maggiori specialisti delle lunghe distanze. Proprio la fama di gara impegnativa, però, fa sì che il numero di partenti non sia elevatissimo: quest’anno erano circa 850, divisi sui tre percorsi a disposizione.

Se vogliamo essere obiettivi l’Ironbike non sembra concepita come un “evento” per intrattenere il biker, ma d’altronde a creare fascino e appeal ci pensano le montagne, le salite e i panorami. E tra piscine, impianti sportivi e di risalita, locali, negozi e svaghi lo slogan “Relax, if you can!” è azzeccato in pieno.

L’unica attività collaterale prevista, peraltro molto gradita dal pubblico, è stato l’Ischgl Palio del venerdì: un combattutissimo short track tra le vie cittadine che ha visto al via i principali favoriti dell’indomani, dal padrone di casa Lakata ai tedeschi Platt, Bohme, Mennen e Leisling, i favoritissimi svizzeri Buchli, Looser e Huber, e una nutrita pattuglia nostrana con Felderer, Cattaneo e De Bertolis. Per la cronaca, a vincere sotto una pioggia incessante è stato Leisling davanti a Platt e Mennen per un podio tutto tedesco.

Sabato è poi stata la volta della Ironbike, disputatasi sotto un cielo terso e limpido che dava la possibilità, alle alte quote, di ammirare un ineguagliabile panorama sulle montagne del Silvretta.

Dopo un giro tra le vie cittadine stracolme di spettatori, il percorso prevedeva un primo anello nella Paznauntal affrontando le ciclabili di fondovalle fino a Mathon e una salita piuttosto agevole verso Lareinalp e la Jamtal, scendendo poi a Galtur su single track e rientrando in costante ma leggerissima discesa a Ischgl dove era posto il traguardo per percorso più corto: 27 chilometri e 750 metri di dislivello su cui si sono cimentati moltissimi neofiti e biker improvvisati, come pure molti semplici turisti divertiti, senza troppi problemi per le bici datate, i pedali flat o l’abbigliamento vintage.

In centro a Ischgl questi proseguivano direttamente verso l’arrivo, mentre chi optava per uno dei due percorsi più lunghi veniva indirizzato verso uno stretto e ripidissimo vicolo in centro città: era solo l’antipasto di quella che sarebbe stata la salita più dura di giornata.

Il percorso infatti prevede ora la durissima ascesa ai 2300 metri di Idalpe (otto chilometri al 12%). La salita, completamente asfaltata, inizia subito impegnativa e – salvo un intermezzo pianeggiante dopo tre chilometri - non molla più fino in cima presentando pendenze costanti sul 13-14% con punte a oltre il 20%. Da Idalpe, dove gli atleti venivano accolti da un folto pubblico arrivato fin qui con la cabinovia, la salita prosegue sterrata fino a quota 2600 metri e poi… è tutta discesa. E che discesa!

Sicuramente una picchiata di quelle da ricordare quella lungo il Velilltrail, uno dei tanti sentieri freeride tracciati da Hans Rey: quattro interminabili chilometri di adrenalina tra tornantini, guadi, salti, paraboliche, un po’ sulla pista da sci e un po’ tra  i prati, fino a innestarsi sulla larga, compatta e velocissima sterrata che conduce direttamente in centro a Ischgl e al traguardo, non prima del curioso passaggio in un tunnel pedonale sotto la città, con tanto di tapis roulant in funzione. Si concludeva qui il percorso medio di circa 48 chilometri e 2000 metri di dislivello: adatto a chiunque abbia un discreto allenamento, si è rivelato bello, panoramico e divertente anche se reso piuttosto duro dall’impegnativa (e un po’ noiosa) salita di Idalpe.

Il percorso lungo, invece, godeva di quanto di meglio le montagne del Silvretta Arena avessero da offrire: dopo Idalpe si staccava dal percorso medio e saliva fin sull’Idjoch proseguendo poi fino ai 2853 metri dello Greispitze con pendenze a tratti proibitive, in un ambiente lunare fatto solo di rocce e ghiaioni.

La discesa che ne segue è un’esperienza che non può mancare nel bagaglio di ogni biker che si rispetti: fino al Salaaser Kopf su trail e sentieri realizzati ad hoc direttamente sulla cresta, non eccessivamente tecnici ma altamente panoramici, poi in territorio elvetico sulle medie pendenze dello Zeblastrail che taglia i pendii per oltre tre chilometri fino ad Alp Trida, da cui una comoda e veloce sterrata conduce a Laret e Samnaun, il principale centro svizzero del comprensorio, celebre per il “Twinliner”, la curiosa funivia a due piani.

Ha quindi inizio la seconda durissima salita: altri mille metri di dislivello fino al Palinkopf (2800 metri) risalendo le piste da sci con pendenze elevatissime e in alcuni tratti, come dopo lo Zeblasjoch a 2500 metri, al limite della ciclabilità. Dalla vetta l’ennesimo trail, ora sassoso e sconnesso ma piuttosto breve, è il preludio alla facile ma veloce discesa finale: prima un tratto sterrato reso molto fangoso e viscido dal transito dei mezzi d’opera, quindi alcuni chilometri asfaltati già percorsi nella prima salita, e infine ancora sterrato fino al tunnel e all’arrivo. In totale un percorso di 78 chilometri e 3800 metri di dislivello che danno un senso dicitura “Ironbike”.

All’arrivo il clima era disteso e festoso, con la festa di piazza in cui si teneva il pasta party, che qui usano fare con wiener schnitzel, bratwurst e crauti. E ovviamente tanta birra.

Nel complesso la Ischgl Ironbike 2011 si è rivelata una manifestazione bella e ben riuscita che non ha smentito la propria fama di gara dura ed estrema. Tutto ha funzionato alla perfezione, dalle veloci operazioni pre-gara allo spettacolo del Palio, dai ristori sempre ben forniti, fino al dopo gara con l’accesso gratuito alla piscina coperta. Alla riconsegna del chip veniva inoltre consegnato il pacco gara, costituito da una felpa griffata Cannondale. Il tutto per 32 euro di iscrizione. L’unica pecca riscontrata è forse la gestione della sicurezza in gara: nella lunga discesa dal Velliltrail i mezzi e il personale di soccorso erano decisamente scarsi.

Considerando i costi relativamente bassi di alberghi e ristoranti, Ischgl si rivela una meta appetibile a tutte le tasche, a meno di due ore di auto dal Brennero: gli impianti di risalita, i percorsi adatti ad ogni utenza, dal freerider all’escursionista fino alle famiglie, i tanti negozi e noleggi con decine di mezzi top di gamma (comprese tantissime mtb elettriche, il trend del futuro per il turismo su due ruote) fanno di Ischgl una meta irrinunciabile per i biker. Se questo non è il paradiso della mtb, poco ci manca….

Stefano De Marchi – www.solobike.it

Sito internet: www.ischglironbike.com

Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1199/index.html
http://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/IschglIronbike2011
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/IschglPalio2011

Video:
http://www.youtube.com/watch?v=DacRizLkYZg

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Intervista per www.solobike.it

16/7/2011

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Intervista rilasciata a Max Alloi di www.solobike.it dopo il Campionato del Mondo Marathon 2011.

Da appassionato di sport non posso dimenticare la storica frase del mitico Dan Peterson: “mmm...per me numero uno!”. Lo staff Pedali di Marca ha di certo confermato di essere il numero uno, pienamente all'altezza di un Mondiale che ha ricevuto tanti consensi e tutti positivi. Una macchina perfetta, oliata in ogni meccanismo e rafforzata nel corso degli anni. Una macchina del quale abbiamo voluto scoprire di più facendo quattro chiacchiere con uno degli ingranaggi, il “nostro inviato” Stefano De Marchi. Per un omaggio a tutto lo staff di Pedali di Marca, fondamentale in ogni suo componente e per cercare di carpire qualche segreto per il futuro, perché il Mondiale non può e non deve essere un punto di arrivo.

Solobike.it: Ciao Stefano, passata la “bufera” cosa ti è rimasto di questo Mondiale?

Stefano De Marchi: Mi è rimasta la soddisfazione di poter dire “Io c'ero”. C'ero al Mondiale di Montebelluna, quello che verrà ricordato come il più grande di sempre. Più grande - come sostiene Christoph Sauser nel suo blog - addirittura di alcuni Mondiali Cross Country: e questo Mondiale Marathon, IL Mondiale per eccellenza, l'ho organizzato anch'io e ho contribuito con tante altre persone a farlo grande. Esserci stati a Montebelluna deve essere motivo d'orgoglio e di vanto.
E' stata infatti un'esperienza incredibile ed indimenticabile: Sport e MTB 24 ore su 24, dalla mattina alla sera, condividendo la passione per le due ruote con tanti amici vecchi e nuovi, con cui ho lavorato e vissuto fianco a fianco per quattro lunghi giorni.
Mi resteranno comunque anche i tanti “fuori programma” che un mondiale riserva, da Julien Absalon che implora di accompagnarlo in albergo (e che risate lungo la strada!) ai team tedeschi che ogni occasione è buone per festeggiare, dai norvegesi che si perdono per il Montello e chiedono di andarli a recuperare fino ai tanti nuovi amici un po' da tutto il mondo conosciuti nei giorni di gara.
Insomma, organizzare un Mondiale è anche e soprattutto un divertimento!

Solobike.it: Un divertimento, ma anche un grande lavoro di preparazione che è durato anni, perché per arrivare dove è arrivata Pedali di Marca non si inventa niente e non si deve lasciare niente al caso...

Stefano De Marchi: Sì, quando tutti in Pedali di Marca ricevemmo quell'sms “Siamo... Mondiali!” il 2011 sembrava lontano una vita. Eppure, tre anni dopo, sembra sia successo ieri. in questi tre anni abbiamo lavorato sodo, imparando dai nostri errori e cercando sempre di migliorare e proporre qualcosa di nuovo e diverso al biker, sia esso amatore o elite. Volevamo differenziarci dalla marea di eventi che affollano il calendario e ci siamo riusciti. Per arrivare a questo abbiamo girato l'Europa per studiare i più importanti eventi europei, per carpirne i segreti del successo e allo stesso tempo evitarne i difetti. Non so quanti organizzatori facciano lo stesso...

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Solobike.it: Quali sono i momenti che personalmente ti rimarranno impressi a vita nel cuore?

Stefano De Marchi: Sicuramente il tripudio della folla all'arrivo del Mondiale: un'emozione incredibile, mai vista una cosa del genere in dodici anni di MTB. E poi la determinazione con cui tutto lo staff ha operato per quattro giorni: encomiabili. Ah, sì... e anche la festa del post-gara con i norvegesi del Team Nordsjorittet (sì ho avuto anche il tempo di festeggiare!): quando hanno ricevuto la Coppa per i vincitori del Mundialito a squadre sono letteralmente impazziti!

Solobike.it: Quali invece i momenti difficili?

Stefano De Marchi: Anno dopo anno abbiamo imparato dai nostri errori, rivedendo l'organizzazione interna e la gestione del lavoro in modo da poter svolgere ognuno le proprie mansioni nel migliore dei modi. Però, quando l'evento inizia a farsi importante entrano in gioco elementi con cui mai e poi mai avremmo pensato di dover avere a che fare: per quel che mi riguarda, le richieste pressanti dell'UCI, la gestione di una sala stampa con decine di giornalisti da ogni parte del mondo, le esigenze tecnologiche e logistiche della produzione televisiva, le riprese dall'elicottero che su un territorio come il Montello sono tutt'altro che semplici.
Sono state tutte situazioni non semplici da gestire, alcune emerse improvvise e inaspettate, talvolta a causa di dettagli sottovalutati: certo, un po' di panico iniziale c'era sempre, ma poi tutto si è sempre risolto per il meglio. E per la prossima volta, ne sono certo, avremo già il bagaglio d'esperienza necessario per non imbatterci più negli stessi problemi.
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Solobike.it: Prossima volta? Allora le parole di “addio” di Massimo Panighel non sono reali? Sarebbe veramente una grande perdita...

Stefano De Marchi: Panighel non ha mai detto che dà l'addio alla MTB. Ha solo detto che si dimette da Presidente di Pedali di Marca.... siete voi giornalisti che capite quello che volete. Le idee per il futuro non mancano, ne abbiamo tante: abbiamo in mano una professionalità, una capacità organizzativa e una potenzialità tali per cui possiamo fare ancora molto. Sono certo che abbiamo ancora margini di crescita rispetto a quanto visto a Montebelluna.
Ricordiamo però che Pedali di Marca è fatta da volontari, non da professionisti e come tali non siamo tenuti a continuare a tutti i costi.

Solobike.it: Certo che no. Mica è un obbligo, ci mancherebbe. Ma delle idee si può sapere qualcosa o è tutto top secret?

Stefano De Marchi:
Top secret. Sono rumors e come tali lasciano il tempo che trovano... però un po' di fondatezza ce l'hanno. Abbiamo comunque un paio di progetti nel cassetto... solo sulla carta, ma comunque in linea di massima già concepiti. E poi qua e la diversi contatti ci chiedono collaborazione. La fantasia e il saper sognare comunque non ci manca: dovete solo sperare che Panighel non si dimetta, perché se si dimette... il suo più probabile successore è ancora più pazzo!

Solobike.it: Cioe?

Stefano De Marchi: Cioè ha già pronto il programma eventi firmati Pedali di Marca da qua al 2016....
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Solobike.it: Cosa è per Stefano De Marchi la MTB?

Stefano De Marchi: La MTB è un fondamentalmente un mezzo che ti consente di vivere delle esperienze, delle emozioni, delle amicizie e condividere tutto questo con altre persone accomunate dalla tua stessa passione. La MTB è divertimento, svago, avventura, aggregazione, vacanza, turismo, scoperta, festa.
Relegarla al solo aspetto sportivo è riduttivo e deleterio per la crescita del movimento: mai i giovani, il gentil sesso o il grande pubblico si avvicineranno alla MTB se questa viene proposta solo e soltanto come occasione di confronto agonistico.

Solobike.it: In tanti anni hai avuto occasione di conoscere tanti personaggi. Dimmene due che per motivi diversi ti hanno colpito ed affascinato...

Stefano De Marchi: Potrei citare alcuni dei grandi campioni con cui ho avuto modo di entrare in contatto, da Gunn Rita Dahle che mi scrive chiedendomi se ho bisogno di aiuto per il mio soggiorno in Norvegia, ai tedeschi del Team Bulls che non perdono occasione per far festa, a Julien Absalon che mi carica in camper e mi chiede di accompagnare lui e la sua famiglia in albergo.
Sarebbe però troppo scontato. Le vere sorprese arrivano spesso da chi lavora “dietro le quinte” del nostro sport, spesso e volentieri dei perfetti sconosciuti.

Herr Klaus Bouillon. E' una delle persone che più ha colpito in positivo sia me che tutto lo staff di Pedali di Marca. Il signor Bouillon è il sindaco di Sankt Wendel, la cittadina tedesca che ha ospitato i Mondiali Marathon 2010 e i Mondiali Ciclocross 2011. E' in carica da circa vent'anni, e non è difficile capire il perché: propositivo, dinamico, fa di tutto per creare attrattive e interesse per la propria città, ed è grazie a lui se Sankt Wendel è diventata una delle città tedesche con la più alta qualità della vita. E' il primo responsabile e promotore di tutti gli eventi, soprattutto sportivi, che si svolgono in città: Coppe del Mondo di rally e supermotard, gare ciclistiche, maratone, arrivi del Tour de France. Si avvale di uno staff di dipendenti comunali dediti esclusivamente all'organizzazione eventi. Credo sia un modello da imitare per molti, anzi moltissimi politici nostrani. ESEMPLARE.

Ingrid Pallhuber. Sì, “quei” Pallhuber. Un'amica più che una collaboratrice, il suo contributo alla causa Mondiale è stato quanto mai essenziale: traduttrice e interprete (nessuno sa bene quante lingue parli, se quattro, cinque o sei...), profonda conoscitrice del mondo MTB e dei suoi principali attori sia italiani che esteri, in contatto con tutti i big, professionale e sempre pronta ad aiutare in maniera discreta, dispensatrice di consigli e di nuove idee, dotata di calma e di pazienza infinite. Sicuramente un valore aggiunto che, quando l'organizzazione è al top, sa fare la differenza. PREZIOSA.

Solobike.it: Due parole su Massimo Panighel e più di due parole su Pedali di Marca e sui personaggi che ne fanno parte.

Stefano De Marchi: Panighel. Instancabile e mai domo, se ne inventa sempre una dietro l'altra, al punto che anche noi in Pedali di Marca fatichiamo a stargli dietro. Ecco, se proprio devo trovargli un difetto, con tante cose da fare, alcune non riusciamo a valorizzarle al massimo come meriterebbero. Ma d'altronde, come tutti nel gruppo, lo fa prima di tutto per passione e divertimento.
Sui personaggi che fanno parte di Pedali di Marca si potrebbe scrivere un libro: se dovesse capitarvi di prendere parte a una delle nostre riunioni, dubitereste che queste persone hanno saputo realizzare un Campionato del Mondo. Perché Pedali di Marca è prima di tutto un gruppo di amici, che si prendono poco sul serio e vogliono prima di tutto divertirsi: lo sfottò e l'autoironia sono parte integrante del gruppo. Ma da buoni trevigiani, rispecchiando in pieno lo stereotipo del veneto lavoratore stakanovista che fa da sé, quando è ora di darsi da fare non si tirano mai indietro: nel gruppo ci sono persone dotate di professionalità altamente specializzate, artigiani, elettricisti, carpentieri, tecnici, ecc... che mettono le proprie capacità a disposizione della causa Pedali di Marca, ognuno per il settore di propria competenza. Il grande spirito di gruppo che si è creato, poi, genera una motivazione tale che quando l'obiettivo è fissato, nulla può fermarli dal raggiungerlo.

Solobike.it: Cosa vedi nel tuo futuro e in quello dei Pedali di Marca?

Stefano De Marchi: Nel mio futuro sicuramente ancora tanta e tanta mountain bike, non importa se pedalata o organizzata. Perché l'avventura più bella, in mountain bike, è sempre la prossima!
Nel futuro di Pedali di Marca c'è sicuramente qualcosa, cosa di preciso ancora non si sa. Il nostro potenziale l'abbiamo dimostrato, ora tocca ad altri valorizzarlo. Paradossalmente, il futuro di Pedali di Marca non dipende da Pedali di Marca.

Solobike.it: Grazie Stefano, per regalarci sempre tante emozioni, come componente di Pedali di Marca e come biker, con i sempre puntuali report dalle gare.

Stefano De Marchi: Grazie a te e grazie a Solobike per l'interesse sempre costante al “cosa c'è sotto” del fare mountain bike, sia esso pedalato, organizzato o amministrato.
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Salzkammergut Trophy 2011 - Bad Goisern (AUT)

16/7/2011

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La Salzkammergut o la ami o la odi, non ci sono vie di mezzo. Ti seduce e ti ammalia con il suo blasone, ma poi ti bastona. E' una tentatrice spietata che si lascia sfidare, ma che difficilmente si fa domare. Si presenta deliziosa, ma si rivela tremenda, talvolta terrificante.

La Salzkammergut Trophy, diciamocelo, mette in soggezione. Anche solo da quel nome impronunciabile che trasmette asprezza e rigore: più o meno significa 'di proprietà dell'ufficio del sale' (dell'Impero Austroungarico) e rappresenta uno dei territori più importanti dal punto di vista storico e culturale dell'Austria.

A circa sessanta chilometri a sud di Salisburgo, laddove il ghiacciaio del Dachstein si tuffa direttamente nelle verdi acque del lago di Hallstatt, l'attività umana è documentata da almeno 7000 anni, quanto basta per fare del Salzkammergut un Patrimonio Culturale dell'Umanità UNESCO: un territorio un tempo isolato e inospitale dove però il salgemma, presente in grandi quantità nelle montagne circostanti, ha influenzato per millenni la vita, i commerci e i mercati di mezza Europa. Proprio Hallstatt, la cittadina da cartolina incastonata tra l'acqua e la roccia, è ormai famosa in tutto il mondo per ospitare la miniere di sale più antiche del mondo.

All'altro capo della valle, Bad Ischl è il maggiore centro della valle: cittadina termale, è celebre per essere stata la residenza estiva dell'Imperatore Francesco Giuseppe.

A metà strada tra Hallstatt e Bad Ischl si trova Bad Goisern: un paesetto piccolo e anonimo che ogni terzo weekend di luglio diventa un vero e proprio melting pot della mountain bike. La relativa vicinanza con diversi paesi Europei (Germania, Italia, Ungheria, Slovenia, Repubbliche Ceca e Slovacca), unita alla fama e al fascino dell'evento, fanno del Salzkammergut Trophy il più importante evento mitteleuropeo: sono oltre quattromila gli iscritti, provenienti da ogni parte d'Europa e del Mondo, che si cimentano sui ben sei percorsi a disposizione.

Proviamo ora ad analizzare, in maniera un po' semiseria, tutto l'evento dalla A alla Z:

A-STRECKE
E' il percorso più lungo, 211,3 chilometri per 7049 metri di dislivello (6500 effettivi) che rappresentano una delle prove più estreme sulla faccia della terra. Già la partenza, al buio delle cinque del mattino tra due ali di folla, vale da sola il prezzo del biglietto: chi porta il 'numero rosso' a Bad Goisern e dintorni è visto come un eroe, o un pazzo a seconda dei casi.
Il percorso non è per tutti: con salite impervie e discese al limite della ciclabilità rischia di diventare un lungo calvario. Per le persone normali si tratta solo di puro autolesionismo che va ben oltre il mero spirito di sfida con sé stesso. Come disse Boardman della Parigi-Roubaix: 'It's a circus, and I don't want to be one of the clown'.

B-BIRRA
A fiumi, prima dopo e durante. Prevedibile.

C-CRISI
Sembrano sentirla anche alla Salzkammergut. Fino a qualche anno fa era un vero e proprio happening con dirette live, reportage video, copertura mediatica. Oggi è una manifestazione sicuramente di riferimento, ma senza quel valore aggiunto da 'grande evento' che il blasone farebbe supporre.

D-DACHSTEIN
E' il ghiacciaio che domina la vallata, ma non si capisce bene dove sia. In cima alla prima salita dei 120 e 211 chilometri appare d'incanto dall'altra parte della valle, maestoso e imponente. Poi sparisce di nuovo, per ricomparire verso fine gara proprio sopra la testa dei biker. E' però da vedere chi ha ancora la forza per alzarla.

E-EWIGE WAND
Il passaggio simbolo del Salzkammergut Trophy, scavato direttamente nella roccia: niente di più di due buie gallerie e una terrazza panoramica affacciata su Bad Goisern, ma talmente suggestivo che fa venir voglia di girare la bici e rifarlo un'altra volta.
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F-FISCHER, GARY
Si, c'era anche lui. Solo a vederlo si capisce che non è una persona normale: è un pazzo creativo dotato di ingegno e fantasia fuori dal comune. Un genio. Stravagante e geniale, eccentrico. Solo uno così poteva inventarsi la mountain bike. Per la cronaca, ha corso sui 120 chilometri con una Trak-Fisher 29' biammortizzata impiegandoci circa otto ore e mezza.

G-GITA

Andare fin lassù solo per pedalare è uno spreco di tempo e di denaro. Le opportunità di svago non mancano, come ad esempio la visita alle miniere di Hallstatt. Salita in funicolare panoramica, breve passeggiata a piedi, poi l'ingresso nel Salzwelten (mondo di sale) per un'esperienza a metà tra la didattica e il divertimento: scivoli in legno, spettacoli di luci, video, trenini sotterranei, animatronic. Sembra quasi di essere a Gardaland. Irrinunciabile.

H-HALLSTATT
E' la continuazione naturale della 'G-GITA'. Ridiscesi a valle non si può non visitare la chicca del lago omonimo: un paese incastrato tra il verde dell'acqua e il grigio della roccia, talmente bello che i cinesi starebbero pensando di copiarlo.

I-INCROCI
Incredibile ma vero: in diversi incroci non c'era alcun tipo di vigilanza. Passino i bivi sulle strade in quota (bastano le frecce), ma quando la ciclabile attraversa dritto per dritto la strada principale un brivido corre lungo la schiena. Gli automobilisti austriaci saranno anche disciplinati, ma certe cose non ce le saremmo aspettate. Una cosa del genere in Italia sarebbe il preludio di una carneficina.

L-LUCI
Rigorosamente rosse, rigorosamente posteriori. Più di qualcuno dell'A-Strecke le aveva montate prevedendo un arrivo al calare delle tenebre; e in effetti verso le nove di sera tra gli ultimi ad arrivare non ce n'era uno che ne fosse sprovvisto.

M-METEO
La vera incognita del Salzkammergut. Se piove il più delle volte diluvia, se splende il sole possono esserci fino a quaranta gradi, e la neve fa spesso visita anche in estate. Nel 2009 nevicò, nel 2010 il caldo torrido del mattino lasciò il posto a ore di pioggia torrenziale nel pomeriggio, nel 2011 invece è andata piuttosto bene. E considerando le difficoltà del percorso, i veterani del Salzkammergut sanno che se piove tanto vale stare a letto...
N-NECROPOLI
E' una tappa della 'G-GITA' nella passeggiata di avvicinamento alle miniere del Salzwelten. Dicono risalga a 7000 anni fa, ma anche in epoche più recenti ci hanno seppellito i morti delle miniere. E i più maligni sostengono ci sia finito pure qualche concorrente dell'A-Strecke dopo aver visto il Muro del Pianto (vedi 'Q-QUINDICI').

O-OUTDOOR
Il vero spirito sportivo austriaco. Aria aperta, natura, attività fisica, divertimento. A piedi, in bicicletta, in barca, in canoa, in monociclo, con i pattini. Aggregazione, divertimento, svago, turismo. Questa è la maniera con cui da queste parti - e non solo qui - vedono lo sport: non agonismo ma benessere fisico e mentale, pure in gara. Alla faccia degli italioti che fanno a botte per una classifica sbagliata.

P-PERCORSO
Di difficile interpretazione: le salite sono tutte piuttosto pedalabili (ad eccezione del Muro del Pianto, vedi 'Q-QUINDICI'), ma le discese sono abbastanza cattive soprattutto nei percorsi più brevi. Il fondo è sassoso, e in diversi passaggi le pietre sembrano essere messe lì apposta per rendere l'incedere più difficoltoso. C'è solo da sperare che non piova.
Particolarmente sadico il tracciatore, un tipo che solo a vederlo dà l'idea di un selvaggio, che ha la mania di tagliare i tornanti per sentieri scoscesi, pericolosi e al limite della ciclabilità.
Il finale dei due percorsi più lunghi non riserva comunque grandi difficoltà tecniche, anche perché dopo sette, dieci o più ore in bici basta poco per ammazzarsi.

Q-QUINDICI
Per cento. Come la pendenza media della salita delle miniere di Hallstatt. Poco meno di due chilometri stretti e tortuosi nel bosco fino alla stazione a monte della funicolare. Quando il peggio sembra passato appare poi il famigerato 'Muro del Pianto' della N-NECROPOLI: un chilometro e mezzo di asfalto al venti per cento, con punte fino al trentacinque. Una salita insulsa e improbabile che in tantissimi, quasi tutti, affrontano a piedi smadonnando e inveendo contro quel sadico del tracciatore. Inutile.

R-RISTORI
Numerosi e ben distribuiti. Forniti di ogni ben di Dio, dai panini ai dolci fino al formaggio passando per le belle ragazze. Non manca la Red Bull, a litri, unica arma per rinvenire chi, dopo ore e ore di culo in sella, non sa neanche più come si chiama.

S-SLOW MOTION
Da anni ormai la classifica a squadre del Salzkammergut Trophy viene stilata in maniera piuttosto curiosa, facendo la somma dei tempi impiegati da ognuno dei membri del team. Più numerosi sono i biker, più lungo è il percorso affrontato e più alto è il tempo impiegato, maggiore è la probabilità di vittoria. A vincere quest'anno è stato un gruppo di ottantotto slovacchi: il loro tempo è stato di 25 giorni 2 ore 41 minuti e 22 secondi.

T-T-SHIRT
Viola, rossa, verde o nera, costituiva il pacco gara insieme a un po' omaggi degli sponsor e di qualche integratore. Da ritirare a fine gara, quella nera era la più ambita e destinata solo ai finisher dei 211 chilometri. Se proprio c'è da guardare il pelo nell'uovo, la 'C-CRISI' si è sentita anche qua, visto che fino a qualche anno fa la fattura delle magliette era decisamente migliore.

U-UFFICIO GARA
Piccolo, caotico, chiassoso. Quattro piccole aule e tre stretti corridoi, con temperature tropicali e con quattromila persone a passar di lì: non è proprio il massimo. Il ritiro del numero è comunque rapido e veloce, ma per ogni altra esigenza... una lunga coda vi aspetta all'help desk.

V-VELOCITA'
Pazzesche quelle raggiunte un po' ovunque nei tratti scorrevoli delle discese, quando il fondo largo e compatto permetteva di lasciar correre la bici. Sessanta, settanta, ottanta all'ora e oltre. Da queste parti non ci sono vie di mezzo: in discesa o si va a piedi, o si sfreccia come pazzi.

Z-ZUSCHAUER
Che starebbe per 'Spettatori'. Tanti a ogni ora del giorno, dalle cinque del mattino alle nove di sera. Calorosi e coinvolgenti, non facevano mai mancare incoraggiamenti e applausi. Sicuramente uno dei punti di forza dell'evento, sentito dal territorio e ben visto dalla popolazione locale. Da segnalare i tipi vestiti da Village People, la vecchina dell'acqua sempre pronta per il rifornimento, il bar con speaker a Hallstatt, e le maliziose ragazze nel fiume che lanciavano inequivocabili inviti. Segnalato/a pure qualche ciclista in tenuta adamitica.

Stefano De Marchi - http://www.solobike.it/

Sito internet: http://www.trophy.at/
Informazioni in italiano: www.bikeandmore.it
Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1008/index.html
http://nyx.at/bikeboard/Board/showthread.php?149317-Salzkammergut-Trophy-2011-Bildbericht
https://picasaweb.google.com/Knolle00/SalzkammergutTrophy
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/SalzkammergutTrophy2011
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Kitz Alp Bike 2011 - Kirchberg [AUT]

3/7/2011

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Kitzbuehel, Titolo, Austria. La mente va subito al freddo, alla neve, allo sci, alle decine di migliaia di sciatori che ogni inverno affollano le Kitzbueheler Alpen, uno dei comprensori più grandi d'Europa che ha fatto della Streif un simbolo degli sport invernali; sulla pista più difficile e impegnativa del circo bianco, giù dall'Hahnenkamm passando per la Mausefalle e la Steilhang, si è scritta la storia dello sci alpino.
D'estate, quando la neve lascia il posto ai verdi prati, tutto il comprensorio cambia faccia votandosi interamente alla mountain bike, mettendo a disposizione del biker decine di impianti di risalita e oltre mille chilometri di percorsi segnalati, creando un'offerta diversificata che spazia dai bike park per i più piccoli fino a alle bici elettriche per i meno allenati.

Il risultato è evidente: ovunque si vada, dalle parti di Kitzbuehel, la bicicletta è una presenza costante.

In questo contesto, la settimana scorsa, è andata in scena la sedicesima edizione del Kitz Alp Bike Festival: la cittadina di Kirchberg, pochi chilometri a ovest di Kitzbuehel, ha ospitato una cinque giorni interamente dedicata alla mountain bike con gare in salita, cross country, dirt contest, gare e bike school per i più piccoli, concludendosi domenica con la famosa Kitz Alp Bike Marathon, già all'interno di numerosi circuiti austriaci e prima prova del neonato UCI Marathon World Series per le qualificazioni ai Mondiali Marathon 2012.

Circa 800 gli iscritti complessivi arrivati da tutta Europa, distribuiti sui quattro percorsi disponibili: il Light da 15 chilometri e 600 metri di dislivello, il Medium (35km/1300m), l'Extreme (56km/2600m) e il nuovo e durissimo Ultra di 95km e 4400 metri di dislivello, sul quale si svolgerà il Campionato del Mondo Marathon 2013.

La sede logistica della gara era concentrata nel parcheggio della funivia della Fleckalmbahn, a ridosso delle piste da freeride della Bike Academy, e comprendeva una piccola area expo, la segreteria di gara e la zona arrivo. Docce e lavaggio bici, che come vedremo saranno quanto mai indispensabili, erano dislocate a poche decine di metri.

La partenza della marathon avveniva a due chilometri di distanza, dal centro di Kirchberg, sotto un cielo coperto che accompagnerà tutto lo svolgersi della gara, senza comunque quella pioggia che è caduta sporadica nei giorni precedenti, anche sottoforma di nevischio alle quote più alte.

Alle ore 8.00 una mass-start unica per tutti i percorsi (ad eccezione del Light che partirà un'ora più tardi) dà il via alla gara. I primi chilometri si snodano frenetici sulle ciclabili di fondovalle verso Brixen, poi ha inizio la prima salita di giornata.

Nove chilometri di salita, pendenza media 11%: un'ascesa lunga e costante, a tratti noiosa finché non si esce dal bosco e la vista può quindi spaziare sulle vette circostanti. Gli ultimi cinquecento metri sono sicuramente i più ostici, da percorrere su un ripidissimo prato fino a raggiungere gli impianti di Choralpe dove una schiera folta e rumorosa di spettatori incita tutti indistintamente, soprattutto chi riesce a scollinare in sella.

Dopo il ristoro, una breve discesa, e una piccola risalita fino all'incantevole Lago Kreuzjochl, ha finalmente inizio la picchiata: compatta, larga e velocissima, da sessanta all'ora e oltre, gioca comunque qualche brutto scherzo a più di qualcuno, visto che l'elicottero continua a planare più e più volte in soccorso di biker caduti. Non mancano poi i single track: nella parte bassa il percorso entra nel bosco affrontando alcuni passaggi tecnici e divertenti, ma mai troppo impegnativi.

Dal fondovalle si rientra verso Kirchberg e la zona arrivo (conclusione del percorso Medium), da cui ha inizio la seconda salita di giornata: per metà asfaltata e metà sterrata, con pendenze sempre pedalabili ad eccezione di un breve tratto più ripido, conduce in otto km ai 1723 metri dell'Hahnenkamm, fin quasi alla stazione a monte della funivia.

Sulla sinistra inizia la mitica Streif, ma il percorso prosegue in discesa giù per un altro versante, per altre veloci mulattiere e poi per il temibile Ehrenbachtrail, invaso dal fango e dall'acqua, fino all'imbocco della terza salita.

La salita conta solo trecento metri di dislivello, abbastanza facili, fino a incrociare di nuovo la Streif al bivio tra i percorsi Extreme e Ultra: giunti fin qui ci si può accontentare della fatica fatta, dirigendosi verso l'arrivo. L'ultima discesa è divertente, varia, tecnica, alterna tratti sterrati a sentieri, single track fangosi a mulattiere, compresa una adrenalinica picchiata sui prati delle piste da sci e una conclusione in bellezza sui tracciati da freeride a ridosso dell'arrivo, con il supporto del pubblico direttamente proporzionale alla velocità con cui si affrontano salti e paraboliche. Arrivare puliti alla fine della Kitz è praticamente impossibile, e anche quest'anno al traguardo bici e biker sono coperti dal fango raccolto nelle discese in single track.

Chi invece vuole continuare a soffrire può trovare pane per i propri denti sul percorso Ultra, che dal bivio si butta direttamente sulla mitica Streif, ma al contrario: una salita disumana su per le curve in contropendenza della Steilhang, su un sentiero talmente ripido da essere dotato di scalini. Almeno 400 metri a piedi fin sotto la Mausefalle, la terribile 'trappola per topi', un muro verticale di 80 metri diventato l'emblema della Streif e di Kitzbuehel: il percorso in realtà sale per una mulattiera, finalmente di nuovo ciclabile, aggirando la Mausefalle e affrontandone solo la parte sommitale più 'facile', comunque quasi impossibile da fare in sella.

Dalla Mausefalle si torna nuovamente sulla vetta dell'Hahnenkamm, continuando ancora fino ai 1930 m del Pengelstein. Terza discesa, facile ma lunghissima (circa venti chilometri), e poi l'ultima salita, di nuovo all'Hahnenkamm. Altri nove chilometri, altri novecento metri di dislivello. In vetta si passa per la terza volta nello stesso punto e nonostante i cartelli, gli incroci, i ponti artificiali e le indicazioni degli addetti non è semplice capire la direzione da prendere.

La discesa è semplice, ripercorrendo a ritroso parte della terza salita, tornando al bivio del percorso Extreme e dirigendosi poi verso il traguardo sui sentieri più tecnici di cui già abbiamo parlato.

Basta un dato per capire la difficoltà della prova, l'austriaco Alban Lakata vincitore in 4 ore 36 minuti, ha coperto i 95 chilometri del percorso Ultra a una velocità di poco superiore ai venti chilometri orari.

Nel complesso è un percorso tecnicamente non troppo difficile, fatta eccezione per alcuni single track resi insidiosi dal fango, ma che - nella sua versione Ultra - può essere considerato brutale per l'altimetria: quattro salite e quattro discese, ognuna da non meno di nove chilometri e 800 metri di dislivello. Più abbordabili e 'umani' invece i percorsi più corti.

Grandiosi i panorami ammirabili dall'Hahnenkamm sulle Kitzbueheler Alpen: una vista a 360° che ripaga ampiamente degli sforzi profusi per raggiungere la vetta.

Ottimi i ristori con Coca Cola, dolci, barrette, Red Bull, acqua, sali e frutta a disposizione dei biker, come ottima la loro dislocazione sul percorso (all'inizio e alla fine di ogni salita).

L'iscrizione è in linea con la media austriaca (40€), mentre il pacco gara comprendeva un borsello sottosella Vaude e un flacone di olio spray; nel dopo gara un pasta party 'classico' con pasta e bibita.

La Kitz Alp Bike, con il suo festival e i suoi eventi collaterali, è sicuramente uno degli eventi che non possono mancare nel curriculum di un biker: a sole due ore e mezza dal confine italiano, può essere l'occasione per scoprire un luogo simbolo dello sci che d'estate diventa un vero e proprio paradiso delle due ruote. Le attenzioni riservate alla cura del paesaggio e dell'ambiente, dei percorsi e della segnaletica, denotano una valorizzazione del territorio e dello sport come solo gli austriaci sanno fare, e dai quali si può solo che imparare.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

Sito internet: www.kitzalpbike.at

Informazioni in italiano: www.bikeandmore.it

Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1014/
http://magazin.radsportland.at/fotos.php?id=108  
http://nyx.at/bikeboard/Board/showthread.php?148614-Kitzalpbike-2011-Bildbericht
http://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/KitzAlpBike

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