Bourg-Saint-Maurice/Les Chapieux - Chamonix/Les Bossons (70km. / 2200m. disl.)
La seconda tappa inizia all'insegna del maltempo: pioggerellina alla partenza e diluvio salendo al Cormet de Roselend (chi in bici, chi con il furgone di appoggio) ripercorrendo al contrario i tredici chilometri di discesa fatti ieri. Da Les Chapieux inizia la tappa "vera" sulle strade del Tour de France, con tanto di cippi chilometrici a indicare le caratteristiche della salita chilometro dopo chilometro.
La seconda tappa inizia all'insegna del maltempo: pioggerellina alla partenza e diluvio salendo al Cormet de Roselend (chi in bici, chi con il furgone di appoggio) ripercorrendo al contrario i tredici chilometri di discesa fatti ieri. Da Les Chapieux inizia la tappa "vera" sulle strade del Tour de France, con tanto di cippi chilometrici a indicare le caratteristiche della salita chilometro dopo chilometro.
In cima al Cormet de Roselend l'unico riparo dalla pioggia è un baracchino in legno dove ne approfittiamo per scaldarci, asciugarci e cambiarci. Nel frattempo il meteo sembra migliorare e nel cielo compare qualche sprazzo d'azzurro.
Dopo alcuni chilometri di veloce e facile discesa verso Albertville raggiungiamo il Lac de Roselend, deviando poco dopo in direzione del Barrage de la Gittaz e dell'omonimo piccolo lago artificiale. Ha qui inizio la seconda salita della giornata, verso il Col de la Gitte.
Dopo alcuni chilometri di veloce e facile discesa verso Albertville raggiungiamo il Lac de Roselend, deviando poco dopo in direzione del Barrage de la Gittaz e dell'omonimo piccolo lago artificiale. Ha qui inizio la seconda salita della giornata, verso il Col de la Gitte.
La salita è larga e compatta, dalle pendenze costanti e non eccessivamente impegnative. Strada facendo si incontrano due bivi dove la direzione da prendere non è poi così intuitiva (a destra il primo, a sinistra il secondo), e una baracca in legno dalla quale escono fuori tre cagnoni incazzati dai quali scappare a gran velocità.
Verso quota 2100m. la comoda sterrata, che fin qui ci ha offerto ampie vedute sulla valle e sullo sviluppo a tornanti della mulattiera, diventa un sentiero erboso identificato da picchetti bianco-rossi che, in circa 15 minuti a piedi, porta sulla verde vetta del Col de la Gitte (2300m. circa).
La discesa che ne segue inizia filante e divertente, lasciando poi il posto a un tratto tecnico ed impegnativo costellato di sassi e rocce dove saranno necessarie abilità ed equilibrio per mettere il piede a terra il meno possibile.
Verso quota 2100m. la comoda sterrata, che fin qui ci ha offerto ampie vedute sulla valle e sullo sviluppo a tornanti della mulattiera, diventa un sentiero erboso identificato da picchetti bianco-rossi che, in circa 15 minuti a piedi, porta sulla verde vetta del Col de la Gitte (2300m. circa).
La discesa che ne segue inizia filante e divertente, lasciando poi il posto a un tratto tecnico ed impegnativo costellato di sassi e rocce dove saranno necessarie abilità ed equilibrio per mettere il piede a terra il meno possibile.
La vista sul massiccio del Monte Bianco, alla nostra destra, è parzialmente offuscata dalla nubi mentre la nostra prossima meta, il Col du Joly, è ben visibile di fronte a noi.
Nel finale la discesa si fa un po' più agevole, arrivando a un piccolo casolare da dove una larga e veloce sterrata conduce all'imbocco della salita asfaltata del Col du Joly: poco meno di due chilometri a medie pendenze fino al rifugio, inaspettatamente chiuso e deserto.
La discesa dal Col du Joly si presenta agevole e per nulla impegnativa. Almeno fino a un bivio che, verso destra, indirizza su un impegnativo ma bellissimo single track che si raccorda con una mulattiera: la picchiata si fa ora sempre più tecnica e impegnativa (ma comunque ciclabile) affrontando diversi settori in sottobosco tra alberi e radici e un finale su un fondo roccioso molto pericoloso se bagnato. Fortunatamente arriviamo a Notre Dame de la Gorge prima che inizi a gocciolare.
La discesa dal Col du Joly si presenta agevole e per nulla impegnativa. Almeno fino a un bivio che, verso destra, indirizza su un impegnativo ma bellissimo single track che si raccorda con una mulattiera: la picchiata si fa ora sempre più tecnica e impegnativa (ma comunque ciclabile) affrontando diversi settori in sottobosco tra alberi e radici e un finale su un fondo roccioso molto pericoloso se bagnato. Fortunatamente arriviamo a Notre Dame de la Gorge prima che inizi a gocciolare.
Mentre ci rifocilliamo in un bar la pioggia aumenta gradualmente di intensità, concedendoci però una pausa proprio quando riprendiamo a pedalare. La discesa nel fondovalle si snoda tra ciclabili, strade secondarie, qualche single track e alcuni passaggi sulla via principale.
Arrivati all'imbocco del Col de Voza la pioggia torna a cadere, e qui decidiamo il da farsi: salire in quota o proseguire in fondovalle allungando su asfalto. All'unanimità scegliamo la prima opzione e approcciamo la scalata al colle.
All'inizio asfaltata, la salita si infila su per una sterrata dalle pendenze estreme che costringono tutti al pied-a-ter. Al termine del muro (con il quale abbiamo guadagnato quasi 150 metri di quota) l'ascesa diventa più dolce e pedalabile, passando per le case di Le Champel e inoltrandosi nella valle coperta dalle nubi.
L'ultima parte di salita è un'agonia: tra la stanchezza, la pioggia che torna a cadere copiosa e le pendenze elevatissime, ci ritroviamo a spingere per buona parte del tratto di strada che manca per raggiungere il Col de Voza.
In vetta troviamo l'omonimo rifugio e il trenino a cremagliera che porta i turisti verso il Monte Bianco. Tutto attorno il deserto, non c'è anima viva.
Non ci resta che scendere a valle, lungo le piste del bike park. In realtà, viste le condizioni meteo, abbiamo cercato una alternativa ma senza successo (in realtà c'era, l'alternativa, bastava solo aver fiducia nella strada che puntava con decisione all'insù invece che all'ingiù...). Ci troviamo quindi a percorrere quello che è (anzi, ERA) un bike park: qualche albero caduto, qualche passerella pericolante e il fondo molto rovinato ci fanno pensare che questa pista non sia più in uso. Il fango, in particolare, ci costringe a scendere di sella più e più volte per non rischiare di volare a terra e farci del male, proprio ora che siamo quasi arrivati.
Arrivati all'imbocco del Col de Voza la pioggia torna a cadere, e qui decidiamo il da farsi: salire in quota o proseguire in fondovalle allungando su asfalto. All'unanimità scegliamo la prima opzione e approcciamo la scalata al colle.
All'inizio asfaltata, la salita si infila su per una sterrata dalle pendenze estreme che costringono tutti al pied-a-ter. Al termine del muro (con il quale abbiamo guadagnato quasi 150 metri di quota) l'ascesa diventa più dolce e pedalabile, passando per le case di Le Champel e inoltrandosi nella valle coperta dalle nubi.
L'ultima parte di salita è un'agonia: tra la stanchezza, la pioggia che torna a cadere copiosa e le pendenze elevatissime, ci ritroviamo a spingere per buona parte del tratto di strada che manca per raggiungere il Col de Voza.
In vetta troviamo l'omonimo rifugio e il trenino a cremagliera che porta i turisti verso il Monte Bianco. Tutto attorno il deserto, non c'è anima viva.
Non ci resta che scendere a valle, lungo le piste del bike park. In realtà, viste le condizioni meteo, abbiamo cercato una alternativa ma senza successo (in realtà c'era, l'alternativa, bastava solo aver fiducia nella strada che puntava con decisione all'insù invece che all'ingiù...). Ci troviamo quindi a percorrere quello che è (anzi, ERA) un bike park: qualche albero caduto, qualche passerella pericolante e il fondo molto rovinato ci fanno pensare che questa pista non sia più in uso. Il fango, in particolare, ci costringe a scendere di sella più e più volte per non rischiare di volare a terra e farci del male, proprio ora che siamo quasi arrivati.
Un vero peccato, perché in condizioni asciutte le paraboliche e i saltini sarebbero stati un divertimento assicurato.
A un certo punto abbandoniamo la pista innestandoci su una più facile mulattiera che ci collega a un piccolo paese dove, al nostro evidente dubbio se prendere o meno un sentiero vietato alle biciclette, una antipatica vecchina francese ci riempie - a prescindere - di improperi minacciando di chiamare "la gendarmerie".
Scendiamo allora su asfalto raggiungendo Les Houches, proseguendo poi rapidamente verso Chamonix su asfalto dove approfittiamo di un autolavaggio per ripulire bici e biker dal fango.
E' stata sicuramente la giornata più dura, e forse anche la meno divertente viste le condizioni meteo che l'hanno condizionata.
A un certo punto abbandoniamo la pista innestandoci su una più facile mulattiera che ci collega a un piccolo paese dove, al nostro evidente dubbio se prendere o meno un sentiero vietato alle biciclette, una antipatica vecchina francese ci riempie - a prescindere - di improperi minacciando di chiamare "la gendarmerie".
Scendiamo allora su asfalto raggiungendo Les Houches, proseguendo poi rapidamente verso Chamonix su asfalto dove approfittiamo di un autolavaggio per ripulire bici e biker dal fango.
E' stata sicuramente la giornata più dura, e forse anche la meno divertente viste le condizioni meteo che l'hanno condizionata.