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Black Forest Ultra Bike Marathon 2015

21/6/2015

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Un anno di pausa e Black Forest Ultra Bike Marathon ritorna, come e più forte di prima: la più grande marathon tedesca, la maggiore dell'Europa centrale, è tornata infatti sulla scena dopo l'anno sabbatico 2014 stabilendo un nuovo record di partecipanti.
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Quasi 5600 sono stati i biker che Domenica 21 Giugno hanno pedalato tra le alture della Foresta Nera, non lontano da Friburgo, nel sud-ovest del paese: Kirchzarten, piccolo centro alla periferia del capoluogo del Baden-Württemberg, ha ospitato la diciassettesima edizione dell'evento che ha fatto la storia della MTB europea.

Ben cinque i percorsi a disposizione, dal classico Ultra di 117km. e 3150m. di dislivello al Marathon (77km./2050m.), passando per i percorsi Power Track (88km./2300m.) e Short Track (42km./900m.) con partenza dalla località di Hinterzarten fino allo Speed Track (51km./1180m.) da Todnauberg.
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L'anno di pausa non ha intaccato la macchina operativa della manifestazione, che ancora una volta si è confermata ai massimi livelli garantendo a tutti i partecipanti servizi di prim'ordine, dalle operazioni pre-gara ai transfer in treno e bus per i percorsi Power, Short e Speed Track, fino alla gestione del tracciato che - in una giornata come quella di domenica - si è rivelata molto più complicata del previsto.
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La gara è stata infatti caratterizzata da un clima autunnale, con pioggia e freddo che hanno flagellato la corsa rendendola molto più impegnativa del previsto: il percorso – che si snoda quasi totalmente su larghe strade forestali - ha risentito di queste condizioni diventando estremamente scivoloso per via del fango, che oltre ad aver messo a dura prova i mezzi meccanici ha causato anche numerose cadute nelle posizioni di vertice.

Alla fine a primeggiare sulla distanza regina sono stati Andreas Seewald tra gli uomini e Silke Schmidt tra le donne. Presente anche una nutrita rappresentanza italiana con circa 70 atleti al via.

Tuttavia, aldilà della grandezza dell'evento e della qualità organizzativa, Black Forest Ultra Bike Marathon continua a contraddistinguersi anche sotto altri aspetti.
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La Foresta Nera, innanzitutto, è un territorio dall'indubbio fascino: qui si pedala immersi nella natura per chilometri e chilometri, attraverso laghi, valli, fitti boschi e ampi pascoli che circondano idilliaci paesini in mezzo al verde. Di tanto in tanto poi ampi panorami regalano spettacolari vedute sulle alture del sud-ovest della Germania, arrivando a scorgere nelle giornate più limpide i Vosgi francesi e le colline Svizzere.
Tutti questi elementi rendono la Foresta Nera una tra le destinazioni migliori per la mountain bike, con oltre tremila chilometri a disposizione per pedalare dai 270 metri di Friburgo fino ai 1493 metri del Feldberg, la montagna più alta del comprensorio. E per la fine dell'estate l'offerta si arricchirà con il nuovo"Gipfel-Trail", un anello di 160 chilometri che toccherà le quindici vette più importanti della "Schwarzwald" meridionale
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L'altra peculiarità dell'evento è la massiccia partecipazione della popolazione locale: l'evento catalizza infatti l'attenzione di tutta la regione, al punto da diventare un appuntamento immancabile per le centinaia di persone che partecipano festose lungo tutto il percorso; l'apice viene raggiunto ad Aftersteg, probabilmente il passaggio più rappresentativo della corsa, dove i duecento ripidissimi metri tra le case del paese vengono presi d'assalto dagli spettatori che numerosissimi supportano gli atleti tra trombe, campanacci e musica sparata ad altissimo volume.
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Tutto questo perché alla fine Black Forest Ultra Bike Marathon, più che una manifestazione sportiva, è una grande, bella e spassosissima festa. Una festa dove il divertimento la fa da padrone, dove l'entusiasmo per le due ruote viene prima di tutto, dove il coinvolgimento fisico, mentale ed emozionale raggiunge livelli impensabili. Dove non importa su che bici pedali, o quanto allenato sei: l'unica cosa che conta, da queste parti, è esserci.

Stefano De Marchi - Foto Credits Sportograf


Sito web:
www.ultra-bike.de
www.bikeandmore.com –Referente italiano dell’evento
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Paris-Roubaix Cyclo 2014

8/6/2014

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Un weekend di full immersion nelle classiche "monumento" del pavè in occasione della Paris-Roubaix cicloturistica: dalle pietre di Arenberg a quelle del Grammont, dal Museo della "Ronde" ai muri del Giro delle Fiandre, passando per i leggendari settori di pavè dell' "Inferno del Nord".
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07.06.14
Arenberg & Grammont

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07.06.14
CRVV

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08.06.14
Paris-Roubaix Cyclo

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09.06.14
Muri delle Fiandre

Mors tua, vita mea

 “Che stronzata!”  [Bernard Hinault]
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Chiunque starà pensando che per correre la Parigi-Roubaix tanto sani di mente non bisogna essere: già il ciclismo è uno sport di fatica, se ci si mette poi anche la penitenza di correre sui sassi allora si passa al puro masochismo.

L’unico modo per amare tutto questo è essere dei malati di classiche del nord, avere cioè una smisurata e perversa passione per le corse monumento del pavé – Fiandre e Roubaix su tutte. Solo così si può veramente apprezzare e capire il significato di pedalare da queste parti: ci vuole il giusto mood, il giusto approccio, la giusta determinazione e la giusta testardaggine, perché solo chi è più duro delle pietre ne esce vincitore.

Anche perchè alla Roubaix non si guarda in faccia a nessuno: per arrivare in fondo incolumi bisogna armarsi di tanta, tantissima cattiveria. Cattiveria nell’affrontare il pavé, nel maltrattare la propria bicicletta, e pure verso gli altri ciclisti che ti stanno attorno. Perché se stai davanti tieni il tuo passo e segui la linea migliore, e tocca semmai agli altri pedalare sullo sporco e sulle buche, sul fango e sulle pozzanghere. Ogni pavè una volata. Ogni pavè una guerra. “Mors tua vita mea”.

Roubaix for dummies (“non è una corsa per fighette”)

“L’esatta definizione dell’inferno” [Filippo Pozzato]
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La Parigi-Roubaix è una corsa ciclistica che si svolge nel nord della Francia, in prossimità della frontiera belga, nel mese di Aprile. E’ famosa per i numerosi settori in pavé, caratteristica unica di questa corsa, ossia tratturi di campagna pavimentati con blocchi irregolari di pietra che rallentano la corsa e causano sobbalzi e vibrazioni provocando cadute, forature e rotture meccaniche. Ogni settore viene classificato per difficoltà in base a lunghezza, sconnessione e condizioni di mantenimento generale: i settori più difficili vengono identificati con cinque stelle e sono la Foresta di Arenberg, Mons-en-Pevele e il Carrefour de l’Arbre. Non di rado la prova viene poi flagellata dal maltempo, con un sensibile aumento della scivolosità del manto stradale per la presenza di fanghiglia e pozze d’acqua.

La versione cicloturistica dell’evento si tiene nel Giugno degli anni pari da Bohain-en-Vermandois a Roubaix, lungo un percorso di circa 212 chilometri dei quali 55 distribuiti su 32 tratti di pavé. E’ presente anche un percorso più corto di 120 chilometri con partenza da Arenberg. Ai ciclisti che concludono la prova viene consegnato un blocco di porfido, replica in scala ridotta del trofeo assegnato al vincitore della corsa professionistica.

Per la sua particolare durezza la Parigi-Roubaix è anche nota come“Inferno del Nord”, anche se in origine tale appellativo non venne associato alla difficoltà della corsa bensì alla desolazione e alla distruzione dei campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale attraversati dall’edizione 1919 della corsa.
“Mentre ci dirigevamo a nord l’aria ha cominciato a puzzare di acqua marcia, di liquami, del fetore del bestiame in putrefazione. Gli alberi divennero ceppi consunti e anneriti, con i loro rami contorti spinti verso il cielo come le braccia paralizzate di un uomo morente. Il fango era ovunque. Nessuno sa chi per primo lo descrisse come “inferno”, ma non c'era sicuramente parola migliore per rappresentarlo. E fu così che apparve il giorno dopo sui giornali: la piccola corsa ciclistica aveva visto l'Inferno del Nord.” [Procycling]

Pavé asciutto o pavé bagnato?

“Una Roubaix senza pioggia non è una vera Roubaix. Meglio se c’è anche un po’ di neve” [Sean Kelly].
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Per correre sul pavé servono tecnica ed equilibrio, lucidità e colpo d‘occhio. Nulla a che vedere con il ciclismo su strada, molto di più invece con ciclocross e mountain bike. E difatti i ciclocrossisti e i biker li riconosci subito, abili a destreggiarsi tra il viscido pavè ricoperto di fango o pedalare veloci sugli strettissimi corridoi di terra a bordo strada. E individui subito anche gli stradisti puri, decisamente più goffi e impacciati quando le ruote perdono aderenza.

In ogni caso, a pedalare sulle pietre ci si deve essere portati. Anche perché a terrorizzare più di ogni altra cosa non sono le pietre in sè ma l’incognita meteo: è dal 2002 che aspettiamo di assistere in TV allo spettacolo di una Roubaix “bagnata” e ci manca solo che - dopo dodici lunghi anni di attesa - a sguazzare nel fango tocchi proprio a noi. E infatti, tanto tuonò che piovve. Acqua a catinelle per tutta la notte fino a poco prima della partenza.

Quindi tocca correre sul viscido. Che contrariamente a quanto si possa pensare non è poi così male: l’acqua ammorbidisce il terreno e il fango riempie le fughe tra una pietra e l’altra, livellando la superficie e assorbendo gran parte delle vibrazioni. Certo, la bici tende a scappare da tutte le parti, ma con un po’ di dimestichezza nella guida si tratta di un problema secondario (vedasi biker e crossisti di cui sopra). Ci sono anche aspetti negativi, ovviamente: la linea da seguire è una sola, quella battuta lungo la “schiena d’asino” centrale, mentre se si è costretti a cambiare traiettoria (per un sorpasso, ad esempio) è bene farsi prima un bel segno della croce. E di percorrere la banchina non se ne parla: l’infangata è assicurata.

Col passare delle ore le condizioni vanno comunque via via migliorando fino ad incontrare “strade” secche e polverose già a metà percorso. E qui il discorso cambia: la parte centrale del pavé resta sempre la migliore (se non altro è in discrete condizioni rispetto alle zone più laterali, devastate dal passaggio delle ruote dei trattori) ma con l’asciutto gli scossoni aumentano vertiginosamente. Ecco allora che quei pochi centimetri di terra a bordo strada diventano preziosissimi. Almeno ci si risparmia l’effetto frullatore, ma bisogna restare sempre all’erta su cosa si nasconda tra i ciuffi d’erba: buche e pozzanghere sono in agguato, come anche sassi o addirittura interi blocchi di pietra sradicati dalla loro sede naturale.

Quindi, tornando alla domanda iniziale, è preferibile un pavé asciutto o bagnato? Nel primo caso la velocità è sicuramente superiore, ma nel secondo le vibrazioni risultano parecchio attenuate. Chi ha “manico” si troverà a suo agio sul bagnato, ma se ci si spaventa all’idea che le due ruote della  bicicletta non seguano la stessa linea retta…. meglio respirare la polvere.

Stelle (e pietre) a casaccio

 “E’ come se avessero arato una strada sterrata ricoprendola con un mucchio di pietre lanciate da un elicottero. Ridicolo.” [Chris Horner]
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Come già accennato, ogni settore di pavé è catalogato per difficoltà in base alla lunghezza, sconnessione e condizioni di mantenimento generale: l’unità di misura sono le stelle, in numero variabile da una a cinque. Il che farebbe pensare che esistano pavé facili, pavè medi e pavé difficili.

Nulla di più sbagliato. Di pavé facile, alla Roubaix, non ce n’è un solo metro. Più precisamente, la sua difficoltà oscilla dal “v-v-i-b-r-r-a-t-t-t-u-u-u-t-t-t-t-o-o-o-o-o” (una stella) al “quantomanca???” (due stelle), passando per il “machimelhafattofare” (tre stelle), fino ad arrivare al top con “datemidellamorfina” (quattro stelle) e il “facciotestamento” (cinque stelle).

La catalogazione in stelle risulta pure piuttosto bislacca, col risultato che un pavé sulla carta “semplice” (ad esempio Marc Madiot, 3 stelle, 1400 metri) si riveli decisamente più impegnativo di altri settori lunghi e complessi come quelli di Haveluy (4 stelle, 2500 metri) o Mons-en-Pevele (5 stelle, 3000 metri), dove magari la gran quantità di terra riportata dai mezzi agricoli contribuisce a “spianare” le buche tra una pietra e l’altra.

E pure quei fottutissimi Gruson e Hem, i “due stelle” finali che i vari Bulbarelli, Cassani, Pancani e compagnia bella ci hanno sempre spacciato per facilissimi, diventano una mezza agonia anche sul cordolo d’asfalto, talmente zeppo di buche e rattoppi che tanto vale continuare a centro strada.

Pedalare sul pavé

“Se non hai gamba, questo è il posto peggiore in cui ti possa trovare” [Jo Planckaert]
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Dopo un po’ lo capisci da solo: ogni pavé fa storia a sé. In sostanza, non sai minimamente cosa ti aspetta finché non ci sei sopra: solo allora scopri se farà male oppure no. Se il pavé è abbastanza livellato le braccia sentono solo fastidio, ma se la pavimentazione è irregolare, con le pietre ognuna ad un’altezza diversa e distanti le une dalle altre, allora si salvi chi può: il fastidio diventa vero e proprio dolore.

Il “colpo di pedale” diventa quindi fondamentale per ridurre le vibrazioni e accorciare l’agonia: una pedalata rotonda distribuisce la spinta in modo omogeneo mantenendo la bicicletta ben piantata al terreno, mentre un rapporto lungo (ma non troppo) garantisce una buona velocità di crociera che stabilizza ed equilibra l’andatura.

Il vero segreto per superare indenni il pavé è però la velocità: più si va veloci e più si “galleggia” sulle pietre. Più si galleggia e più è facile andare ancora più rapidi. Un circolo virtuoso da gestire con parsimonia per non finire in fuori giri. Ma anche un crudele e spietato circolo vizioso se applicato al contrario: se cala l’andatura aumenta la violenza dei sobbalzi, la velocità cala ancor di più e magari ci si ritrova ad annaspare zigzagando da un lato all’altro della strada.

Ed è così che comprendi – direttamente sulla tua pelle – come sia possibile che un chilometro di pavé in pianura faccia più selezione di tante salite asfaltate.

Un film già visto

”E’ un circo, e non voglio essere uno dei clown” [Chris Boardman]
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Un rettilineo in leggera discesa, un passaggio a livello, e il gruppo che entra a sessanta all’ora in un tunnel verde dritto come un fuso. Bici che sobbalzano, cadute, corridori che serpeggiano a destra e a sinistra sperando in una via più scorrevole. L’inquadratura frontale e i ciclisti che sembrano praticamente fermi. La Foresta di Arenberg.

Curva a destra, casa in mattoni rossi sulla sinistra. Inizia il pavè. Curve in successione. Sinistra-destra-sinistra. Poi incrocio, curva secca a sinistra e drittone. L’attacco di Cancellara tra due ali di folla. Le bandiere con il Leone delle Fiandre. La vecchia taverna in lontananza. Il Carrefour de l’Arbre.

La Flame Rouge, il bivio “Autos-Coreurs”, e quella svolta secca a destra un po’ incerta. L’ingresso nello stadio del ciclismo con le curve sopraelevate e il pubblico in visibilio. L’ultimo giro, la campanella che suona, poi il traguardo. Il velodromo di Roubaix.

Chiedere a un patito di corse del pavé cosa significhi pedalare sulle strade della Roubaix, è come domandare a un appassionato di auto di guidare a Montecarlo, o a un calciofilo di fare due tiri a pallone al Maracanà. 

E’ un’emozione unica, ma anche un gran divertimento. Te ne freghi della pioggia o del caldo, del fango o della polvere, vuoi solo pedalare su quel pavé che tanto hai  desiderato. Attraversi luoghi così familiari pur non essendoci mai stato prima. Riconosci la curva, la casa, il cartello, l’incrocio, il passaggio a livello: davvero, sembra di essere catapultati dentro a un film visto più e più volte, in televisione, ogni seconda domenica di Aprile.

Eppure il nord della Francia sembra tutto uguale, così monotono e sempre uguale a sé stesso, tra campi coltivati dai quali spunta ogni tanto qualche piccolo paesino nel bel mezzo del nulla. Ma ha comunque un suo fascino: come le verdi colline e i dolci saliscendi della Piccardia illuminati dalle prime luci del mattino, o i fitti boschi verso Arenberg, o ancora le tantissime strette stradine che tagliano le immense distese di frumento.

E il pavé, che anch’esso potrebbe sembrare sempre lo stesso da qualsiasi parte lo si guardi, riesce comunque ad avere sempre una particolarità che lo distingue dagli altri. Sui settori di Templeuve c’è il mulino, al Pont Gibus il vecchio ponte ferroviario dedicato a Duclos-Lassalle, a Haveluy l’enorme pozzanghera in ingresso, al Buat un’inaspettata salita 7%. E ancora, le folli discese fangose di Troisville e Viesly, l’andirivieni di Cysoing, le curve di Pont Thibault e il monumento a Marc Madiot. Senza dimenticare Arenberg e il Carrefour de l’Arbre, due luoghi leggendari che hanno fatto la storia del ciclismo e che da soli valgono il prezzo del biglietto.

"Au Vèlodrome"

“Questa è la corsa più bella del mondo” [Theo de Rooij]
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E alla fine arrivi al leggendario velodromo di Roubaix, con le lastre di cemento rosato e quelle curve sopraelevate inaspettatamente ripide. Tutto si conclude in un attimo. Ti guardi attorno, e ti rendi conto che questo luogo lo conosci molto bene. L’hai già visto in TV, ma non solo. E’ qualcosa di più.

L’hai osservato centinaia di volte, l’hai desiderato, hai sentito la sua presenza anche senza notarlo, fino a farlo diventare  inconsapevolmente parte integrante della tua vita.

Già, quel quadro. “Au Velodrome”. Jean Metzinger raffigura Charles Crupelandt che vince la gara di casa. Correva l’anno 1912, albori del futurismo. Velocità, tecnologia, progresso, innovazione… alla Roubaix, la corsa più anacronistica di tutti i tempi.

Un secolo dopo quel quadro ce l’hai appeso in camera. E’ l’ultima cosa che vedi prima di addormentarti e la prima quando ti svegli. E finalmente realizzi cosa sia stata questa Parigi-Roubaix.

Oggi non hai raggiunto un obiettivo, non hai vinto una sfida, e nemmeno compiuto un’impresa. Molto più semplicemente, hai realizzato un sogno. Merci, Roubaix!
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Nationalpark Bike Marathon 2013 - Scuol (SUI)

31/8/2013

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Podio tutto svizzero alla dodicesima edizione della Nationalpark Bike Marathon, la celebre marathon elvetica andata in scena sabato 31 Agosto a Scuol. A vincere, con il tempo record di 5h30m11s, è stato il Campione del Mondo Christoph Sauser, al suo secondo sigillo in Engadina dopo quello del 2007, anche allora ottenuto in maglia iridata e, curiosamente, con lo stesso ordine d'arrivo.
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Sauser ha faticato non poco a togliersi di ruota Urs Huber: il portacolori del Team Bulls si è arreso solo nella salita finale verso Guarda, accusando al traguardo un ritardo di poco superiore al minuto. Encomiabile poi la prestazione di Lukas Buchli, che nonostante le due costole rotte in una caduta nei giorni precedenti la gara è riuscito comunque ad agguantare un insperato terzo posto nella corsa di casa.

Ultima salita decisiva anche nella competizione femminile, con la vittoria di Milena Landtwing su Ariane Kleinhans; più staccata, al terzo posto, l'inglese Jane Nuessli.
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La Nationalparkbike Marathon, con i suoi 137 chilometri di lunghezza e 4026 metri di dislivello, rientra di diritto nel novero delle competizioni più impegnative d'Europa: ogni anno attrae infatti biker da tutto il continente pronti a sfidare il celebre “Vallader”, il percorso che prende il nome dall'idioma Romancio parlato in Bassa Engadina e che effettua il periplo completo del Parco Nazionale  Svizzero toccando alcuni degli ambienti più selvaggi e incontaminati dell'intero arco Alpino.

A garantire il carattere unico di questo paesaggio sono le particolari regolamentazioni del parco, che da quasi cento anni lo tutelano proibendo ogni tipo di intervento umano al suo interno e consentendo così alla natura di evolversi liberamente.
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Per i meno allenati la Nationalpark Bike Marathon presenta comunque altri percorsi più corti che partono da altrettante località posizionate lungo il tracciato “Vallader”, ripercorrendone così soltanto la parte finale. Da Fuldera, in Val Müstair, inizia lo “Jauer” (103km./2934m.), da Livigno il “Livignasco” (66km./1871m.) e da S-chanf, in Engadina, il "Puter” (47km./1051m.). Le stesse località ospitano anche le aree “cambio” per il team-relay da due o quattro staffettisti, mentre il percorso più corto si rivolge anche ai più giovani grazie alla particolare formula “Gross und Klein” per coppie formate da un adulto e un ragazzo di massimo 16 anni.
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Le operazioni pre-gara per tutti i quasi 2000 iscritti si sono svolte all'interno dello stadio del ghiaccio, sede logistica dell'evento, compresi il pasta party del venerdì sera, la colazione del sabato mattina (a partire dalle ore quattro) e il bike-park sorvegliato per la notte precedente la gara; il costo di iscrizione (da 49 a 78 euro a seconda del percorso) comprendeva l'eventuale trasporto al punto di partenza con bus o treno, mentre un paio di manicotti personalizzati con il logo dell'evento rappresentavano il contenuto del pacco gara.
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Tutta la gara si è svolta in condizioni meteo perfette, con cielo terso e temperature gradevoli che hanno regalato ai partecipanti una giornata ideale per pedalare alle alte quote: quasi metà dei 137 chilometri del “Vallader” si snodavano infatti sopra i 1800 metri, con quattro scollinamenti oltre i 2200m. e la quota massima raggiunta ai 2694m. del Passo Chaschauna.
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L'avventura prende il via alle ore 7.15. Dopo un breve passaggio a velocità controllata tra le vie di Scuol inizia la salita verso il Passo Costainas: lunga ma facile, risale per oltre venti chilometri la Val S-Charl toccando l'isolato omonimo villaggio fatto di case in legno e stalle affacciate sulla piazzetta. Un bel single track raggiunge infine i 2251m. del valico, dal quale una veloce discesa conduce al ristoro di Fuldera in Val Monastero.
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Con pendenze più accentuate ma costanti si valica poi il Doss Radond (2234m.) entrando così nella meravigliosa Val Mora tra montagne scoscese, prati sconfinati, torrenti impetuosi e pareti di roccia verticali, immettendosi poi nel celebre single track nella gola: un trail compatto e veloce strappato alla montagna, a picco sul torrente che scorre qualche decine di metri più sotto e dove anche il minimo errore rischia di costare caro.
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Si entra quindi in Italia: toccato il Lago di San Giacomo e affrontato il facile Passo Alpisella (2299m.) si arriva a Livigno, esattamente a metà gara, dove inizia la parte più temuta e impegnativa.

La durissima ascesa ai 2697 metri del Passo Chaschauna è infatti una sorta di spartiacque: da una parte le salite e i tanti chilometri già affrontati, dall'altra tutta discesa fino alle porte di Scuol. Alla Nationalpark Bike Marathon si usa dire che una volta arrivati sul Chaschauna si riesce già a vedere l'arrivo.

Dopo una prima parte sul fondo della Val Federia la mulattiera si impenna in maniera vertiginosa superando seicento metri di dislivello in soli tre chilometri. Nonostante il fondo in perfette condizioni, solamente i top rider riescono a coprire in sella tutta l'ascesa: gli altri non possono far altro che spingere, molti anche per l'intera lunghezza della salita, godendo comunque degli eccezionali panorami sempre più ampi sulle vette e i ghiacciai delle Alpi Retiche.
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Dalla cima il più è fatto: una lunghissima e adrenalinica picchiata raggiunge il fondovalle Engadinese e i suoi caratteristici paesini, scenario dei successivi venticinque chilometri sempre tendenti a scendere. La dolce risalita al pittoresco villaggio di Guarda e gli agevoli saliscendi verso Ftan rappresentano solo le ultime difficoltà prima della picchiata sul traguardo.

Nonostante i semplici dati di lunghezza e dislivello possano impressionare, le caratteristiche della Nationalpark Bike Marathon la rendono appetibile a una platea di biker molto più ampia di quanto si possa pensare: le salite regolari, i lunghi tratti di discesa e falsopiano, la scorrevolezza delle piste sterrate e  il basso livello tecnico richiesto, uniti alla relativa facilità degli ultimi sessanta chilometri, fanno sì infatti che per una volta – più che le gambe – a contare siano testa, esperienza e capacità di gestire gli sforzi.
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Se però 137 chilometri e 4026 metri di dislivello dovessero comunque essere troppi, l'ente turistico della Bassa Engadina ha creato il “Parco Nazionale Bike Tour” con il quale suddividere il percorso in tre o quattro tappe avendo a disposizione supporto logistico e trasporto bagagli. Un'opportunità in più quindi per pedalare lungo uno degli itinerari più gettonati delle Alpi, talmente frequentato da essere identificato addirittura da un proprio segnavia, il “444”.

E' già stata fissata intanto la prossima edizione della manifestazione: prevista per Sabato 30 Agosto 2014, sarà anche occasione per festeggiare il centesimo anniversario della fondazione del Parco Nazionale Svizzero.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

 Sito internet:
www.bike-marathon.com

Classifiche:
http://services.datasport.com/2013/mtb/3lander/

Fotogallery:
www.flickr.com/photos/engadinscuolsamnaun/sets/72157635321543109/with/9644683198/
www.sportograf.com/bestof/1868/
http://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/310813NationalparkBikeMarathon
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Birkebeinerrittet 2012 - Lillehammer [NOR]

25/8/2012

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“The largest MTB race in the world”: bastano queste poche parole per descrivere la Birkebeinerrittet, il tradizionale evento ciclistico norvegese che si è tenuto sabato scorso a Lillehammer, nel sud-est del paese, e che ha visto al via la strabiliante cifra di 17058 biker (si, avete letto bene: diciasettemila!).

La gara, giunta ormai alla sua ventesima edizione, fonda le radici nella storia e nella tradizione della Norvegia, rifacendosi agli stessi principi della storica gara invernale sugli sci da fondo (Birkebeinerrennet) e delle più recenti manifestazioni podistica (Birkebeinerløpet) e ciclistica (Landeveisbirken).

Tutti questi eventi sportivi rievocano infatti il salvataggio – dopo la morte del Re - del neonato erede al trono, il Principe Haakon Haakonsson, da parte di due soldati Birkebeiner: Torstein Skevla e Skjervald Skrukka, questi i loro nomi, nell’inverno 1206 attraversarono sciando le sconfinate foreste e le pericolose montagne innevate a nord di Oslo portando Haakon al sicuro verso Trondheim, scampando alla guerra civile tra Birkens e Baglers che durava ormai da secoli. Il Principe giunse sano e salvo alla meta, e una volta diventato Re seppe porre fine alla guerra civile dando il via all’unificazione della Norvegia, che sotto il suo regno visse uno dei periodi più floridi del Medioevo. Nei corso dei secoli l’impresa compiuta dai due soldati divenne leggenda, e la saga dei Birkebeiner è oggi uno dei più sentiti e amati avvenimenti storici norvegesi.

A questo episodio è legata la regola fondamentale e altamente simbolica che accomuna tutti gli eventi “Birkebeiner”: è fatto obbligo indossare uno zaino di almeno 3,5 chilogrammi di peso, a rappresentare il piccolo Haakon che ognuno delle migliaia di partecipanti deve portare con sé, in salvo attraverso le immense foreste a est di Lillehammer.

L’evento off-road si tiene puntualmente ogni ultimo weekend di agosto ed ha come base logistica la Haakons Hall, il grande palazzetto dello sport costruito in occasione dei Giochi Olimpici Invernali 1994 con i quali Lillehammer si fece conoscere al mondo intero: nonostante con i suoi ventiseimila abitanti sia infatti la più piccola città olimpica della storia, quell’edizione dei giochi fu un successo tale che l’allora presidente CIO, Juan Antonio Samaranch, la definì “la migliore di tutti i tempi”.

L’organizzazione, gestita dai club sportivi di Rena e Lillehammer, è professionale e imponente: sono oltre 3000 le persone impiegate nei giorni di gara, coordinate da otto dipendenti a tempo pieno che lavorano tutto l’anno per l’evento, compresi gli eventi collaterali. Ai 17000 della Birkebeinerrittet, infatti, si aggiungono i partecipanti alle gare del venerdì: 6500 sono quelli della Fredagsbirken (una prova generale della Birkebeinerrittet, uguale in tutto e per tutto all’originale), solo 500 invece quelli della Ultra-Birken (una marathon da 124 chilometri). Sommando poi le centinaia di bambini e ragazzi delle corse giovanili della domenica, il totale dei partecipanti supera abbondantemente le 25000 unità.

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Numeri da capogiro che si fatica a immaginare e quantificare, complici anche i lunghissimi e scaglionati tempi della partenza che avviene a Rena, circa 60 chilometri più a est di Lillehammer: i primi atleti partono alle sette del mattino mentre la categoria Elite maschile, settantotto griglie dopo, alle tre del pomeriggio. Un efficiente ed articolato servizio di bus a pagamento permette a bici e bikers di raggiungere Rena dalle principali località della zona, comprese Oslo e Trondhein, effettuando anche il servizio di ritorno da Lillehammer nel dopo gara.

Nel mezzo tra Rena e Lillehammer si snoda il percorso di gara di 94 chilometri per circa 1200 metri di dislivello: velocissimo e tecnicamente molto facile, all’inizio potrebbe risultare monotono e noioso; tuttavia, dopo la prima lunga salita asfaltata verso il ristoro di Skromstadsaetra e lasciate alle spalle le campagne coltivate, il paesaggio cambia rapidamente. Larghissimi sterrati compatti si addentrano nelle foreste di conifere, alternandosi di tanto in tanto con mulattiere più strette che guadagnano dolcemente ma inesorabilmente quota.

Allo scollinamento lo spettacolo è grandioso: foreste a perdita d’occhio in ogni direzione per chilometri e chilometri, con le alture che si susseguono in lontananza una dopo l’altra. E’ bene però non distrarsi troppo, perché quello che sta per arrivare è la parte più difficile della gara, una discesa impegnativa seguita da una salita umida e fangosa che fanno mettere il piede a terra a moltissimi partecipanti, poco avvezzi alle difficoltà tecniche e decisamente impacciati nei punti più impegnativi.
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E’ da questo che si capisce la forza dei 17000 iscritti, quasi esclusivamente norvegesi: chiunque abbia una bicicletta vuole esserci, indipendentemente dal mezzo tecnico o dall’allenamento, andando letteralmente all’avventura solo per vivere una giornata di sport rivivendo la storia del proprio paese. Si sono viste tutte le tipologie di biciclette, dalle city-bike a quelle da trekking, compreso addirittura un ragazzo in sella a una bici da passeggio noleggiata al bike-sharing di Oslo.

Con questo spirito l’evento non può quindi non diventare occasione di festa e goliardia, con feste organizzate nel mezzo del nulla lungo il percorso, musica, ristori improvvisati e travestimenti quanto mai curiosi (avvistati un Teletubbies viola e numerosi vichinghi), il tutto accompagnato dall’onnipresente vessillo norvegese.

Tornando al percorso, dopo la parte più tecnica esso prosegue con infiniti saliscendi con una prevalenza a salire, addentrandosi sempre più in un territorio tanto vasto quanto disabitato, costellato di canyon, laghi, torrenti e piccoli corsi d’acqua che appaiono di tanto in tanto quando meno ce lo si aspetta. Non mancano poi gli animali, a centinaia tra pecore e mucche in piena libertà e, per i più fortunati, anche le alci che da queste parti sono di casa.

La sensazione di natura selvaggia si fa sempre più concreta mano a mano che lentamente si sale, oltrepassando quota 700m. dove gli alberi si fanno più radi alternandosi con praterie brulle e desolate. Gli spazi immensi nei quali pedaliamo ci fanno correre la memoria alle immagini dello Yukon o del Canada viste tante volte in televisione, ma in fondo ci troviamo più o meno alle stesse latitudini: siamo poco sopra il 61° parallelo, alla stessa latitudine di Anchorage in Alaska.
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Al sessantesimo chilometro la salita di Rosinbakken riporta la mente e la concentrazione sulla gara: un chilometro e mezzo di salita dalle pendenze piuttosto accentuate dove le gambe, per chi ha forzato troppo nei falsopiani precedenti, iniziano a cedere. Dalla cima ancora pochi chilometri di saliscendi e si giunge al GPM di Storåsen, sede del sesto e ultimo ristoro: da qui all’arrivo è quasi solo discesa.

“Quasi” perché dopo alcuni chilometri di veloce asfalto si arriva a Sjousjøen, una piccola località con il classico muro che non t’aspetti il quale, complice la vicinanza al paese, è preso d’assalto dagli spettatori che dai bordi della strada incitano calorosamente e rumorosamente tutti i biker in transito al grido dell’immancabile “Heja!” norvegese.

La discesa prosegue poi alternando asfalto e sterrato, su strade poco pendenti che permettono a chi ha ancora energie di fare la differenza prima di arrivare all’Olympia Park di Lillehammer, sicuramente il passaggio più adrenalinico della gara tra gli impianti dei Giochi Invernali 1994.

Si lascia l’asfalto e si entra nel mitico Birkebeiner Stadion, teatro di una delle più grandi sconfitte nella storia dello sport norvegese: fu proprio tra questi prati coperti di neve, tra queste tribune, che la staffetta azzurra ammutolì i duecentocinquantamila spettatori norvegesi vincendo l’oro olimpico nella 4x10km. di fondo.
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Si prosegue poi sul ripidissimo pendio del Balletbakken (incredibile il colpo d’occhio sui bikers che scendono seguendo decine di traiettorie diverse) arrivando al Lysgårdsbakken, il trampolino per il salto con gli sci, punto panoramico su Lillehammer e sul lago Mjøsa. Ancora pochi chilometri di discesa e si arriva al termine della gara, nei pressi dell’Haakons Hall, tagliando il traguardo tra due ali di folla.

Non è però ancora finita. A sorpresa, dopo l’arrivo ogni partecipante deve sottoporsi a un controllo fondamentale: il peso dello zaino. Come da regolamento, chi ha uno zaino inferiore ai 3,5 chili subisce una penalizzazione di 15 minuti sul tempo finale; se il peso dovesse essere inferiore ai 2,75 chili, invece, per il biker scatta la squalifica.

Sbrigata anche quest’ultima formalità si può passare a ritirare il premio di finisher (una piccola spilla) e, per chi fosse rientrato nel 25% dei migliori tempi, un premio in vetro.

Non resta che rilassarsi e rifocillarsi, al ristoro o ai baracchini che vendono i tradizionali hot-dog che qui chiamano pølse. Poco lontano i piazzali sono un tappeto di biciclette e di zaini, mentre tutto attorno l’atmosfera che si respira è da grande evento: la zona d’arrivo è un brulicare di fotografi, telecamere, interviste, mentre sui maxischermi scorrono le immagini della diretta sulla TV nazionale.

Gli arrivi proseguiranno fino alle 20.30, limite ultimo concesso ai biker, mentre la festa continuerà in serata tra le vie cittadine addobbate a festa per l’occasione.
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Anche se all’estero non è molto conosciuto, l’evento sa catalizzare l’attenzione dell’intera Norvegia per via della valenza storica e delle sue dimensioni sempre più mastodontiche: si tratta di un evento di massa per il quale si ferma una intera regione, quella dell’Oppland, il cui capoluogo – Lillehammer – si trova poco meno di duecento chilometri a nord di Oslo.

Arrivare fin quassù è abbastanza semplice, con treni frequenti e puntuali direttamente dalla stazione centrale di Oslo (circa due ore di viaggio). La sistemazione logistica è probabilmente l’aspetto più difficile da risolvere, visto il grande afflusso di partecipanti: sono comunque disponibili i pullman dell’organizzazione da Oslo e da tutte le principali località della zona per il trasporto di bici, atleti e bagagli.

La nota dolente, nella ricca Norvegia, sono i costi: l’iscrizione costa 920NOK (circa 124€) e comprende trasporto bagagli da Rena a Lillehammer, ma – a differenza delle usanze italiane – non prevede pacco gara o pasta party. Costosi anche i viaggi con i bus: da Lillehammer a Rena il costo è di 550NOK, circa 70€.

Le iscrizioni per l’edizione 2013 apriranno il 15 Novembre e, come già successo per l’edizione 2012, i 17000 posti disponibili verranno esauriti in meno di un minuto. Sono comunque disponibili numerose wild-card per partecipanti stranieri.

Il percorso è molto facile e adatto a biker con ogni tipo di allenamento, e può essere affrontato con qualsiasi tipo di bicicletta; anche se l’insidia maggiore è sicuramente il meteo, decisamente mutevole che da queste parti a fine Agosto è prevalentemente piovoso, l’edizione 2012 verrà probabilmente ricordata come una delle migliori con cielo poco nuvoloso e temperature gradevoli (da 15° a 18°) per tutta la giornata, con una breve pioggerellina a Lillehammer nel tardo pomeriggio. In caso di pioggia, comunque, il terreno tiene in maniera ottimale ma a creare problemi potrebbe essere il freddo.

Per la cronaca, a vincere la gara Elite è stato il Campione Norvegese Marathon Lars Menengen, che ha sfruttato al meglio il gioco di squadra con i compagni del Lillehammer Cykkleklubb arrivati rispettivamente secondo (Martin Olsen) e terzo (Truls Korsaeth). Quarto classificato un nome noto al grande pubblico, l’austriaco Alban Lakata, mentre solo sedicesimo si è piazzato il nostro portacolori Massimo Debertolis. Tra le donne, vittoria per la finlandese Pia Sundstedt.

Stefano De Marchi @ www.solobike.it

Sito internet: www.birkebeiner.no

Fotogallery Birkebeinerrittet: https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/Birkebeinerrittet2012

Fotogallery Fredagsbirken: https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/Birkebeinerrittet2012Preview
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Salzkammergut Trophy 2012 - Bag Goisern [AUT]

14/7/2012

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“La Salzkammergut o la ami o la odi, non ci sono vie di mezzo. Ti seduce e ti ammalia con il suo blasone, ma poi ti bastona. E’ una tentatrice spietata che si lascia sfidare, ma che difficilmente si fa domare. Si presenta deliziosa, ma si rivela tremenda, talvolta terrificante.”
[www.solobike.it - 21.07.2011]

Così esordiva il report dal Salzkammergut Trophy 2011: a un anno di distanza, alla luce di quanto vissuto pochi giorni fa nell’edizione 2012, vogliamo iniziare con le stesse identiche parole, perché probabilmente non ne esistono di migliori per descrivere cosa sia, cosa significhi, cosa rappresenti la classicissima austriaca della mountain bike ormai giunta alla sua quindicesima edizione.

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Bad Goisern, poco a sud di Salisburgo, è un piccolo e anonimo paese della regione del Salzkammergut che per un weekend all’anno si veste a festa trasformandosi nella capitale della mountain bike: bikers da tutta Europa giungono nella valle di Hallstatt attirati, più che dal patrimonio Unesco circostante, da un evento unico e inimitabile che riscuote sempre più consensi anno dopo anno.

Sono stati infatti oltre 4500 i partecipanti alle gare del sabato e altri 400 agli eventi collaterali della domenica (cronoscalata, downhill con il monociclo e gare per i più piccoli), arrivati da 37 differenti nazioni.

Le attenzioni maggiori sono da sempre riservate al main event del sabato che, grazie alla sua particolare formula (sei percorsi di difficoltà crescente, da 22 a 211 chilometri), riesce a coinvolgere un ampio e variegato target di sportivi, dai più allenati e preparati professionisti agli amatori fino ai semplici escursionisti che non vogliono rinunciare a una giornata di svago e divertimento in mountain bike, magari su mezzi tutt’altro che moderni e performanti.
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A fare da valore aggiunto ci pensa il contesto, entusiasmante e coinvolgente, in cui si viene catapultati una volta giunti a Bad Goisern: al Trophy, come del resto in molti altri eventi da queste parti, l’aggregazione e il fare sport vengono prima del mero esercizio fisico o della semplice prestazione agonistica al punto che l’atmosfera che si respira, amichevole e spontanea,  dà l’impressione di trovarsi a una grande festa o a una rimpatriata di amici più che a un evento sportivo. Il bello è proprio questo: per molti, moltissimi, a Bad Goisern la mountain bike non è il fine sportivo bensì il mezzo per aggregazione sociale.

E’ da riconoscere però che gran parte del fascino e della fama del Salzkammergut Trophy sono dovuti al suo percorso più lungo, l’estremo l’A-Strecke da 211 chilometri e 7000 metri di dislivello, che rappresenta indiscutibilmente la corsa di un giorno più dura al mondo. I numeri lo testimoniano: dei 571 che hanno intrapreso l’avventura solo in 282 (meno della metà!) sono arrivati al traguardo con il vincitore, il ceco Ondre Fojtik, che ha impiegato 10 ore e 37 minuti a completare la gara tallonato al secondo posto da un nome noto al grande pubblico della mountain bike, l’olandese Bart Brentjens; terzo il tedesco Max Friedrich.
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Numerosi anche gli italiani: sui 190 iscritti in 50 hanno scelto la distanza più lunga, ma solo in 26 sono riusciti a concludere la prova. Tra questi una menzione particolare la merita Michela Ton, unica donna italiana sull’A-Strecke, capace di conquistare un eccellente secondo posto nella gara femminile dietro la tedesca Natasha Binder. Michela, alla sua prima partecipazione, ci ha confidato di aver corso “a sensazione”, senza contachilometri né GPS, dimostrando quanto in questa gara la testa conti molto di più delle gambe.

Un po’ di Italia anche sul percorso da 120 chilometri grazie al Finlandese Jukka Vastaranta, portacolori del Team Trek Cingolani, capace di agguantare il secondo gradino del podio dietro all’austriaco Christoph Soukup.
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Ma al di là dei puri dati statistici, che cos’ha questo Salzkammergut Trophy di così affascinante? Per capirlo ci siamo uniti ai coraggiosi biker dell’A-Strecke (senza alcuna velleità di concludere la prova, sia ben chiaro) e, puntuali alle cinque del mattino, abbiamo preso con loro il via tra le tenebre, acclamati da due ali di folla assiepate alle transenne ad incitare noi, i “numeri rossi”.

Stefano De Marchi @ www.solobike.it
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Sito internet: www.trophy.at
Informazioni in italiano: www.bikeandmore.it

Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1334/
http://www.flickr.com/photos/mtb_trophy
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/SalzkammergutTrophy2012
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L'avventura di un numero rosso

14/7/2012

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Ore 3.50 – Bad Goisern, sveglia
La sveglia suona, ma è da un pezzo che i nostri occhi sono aperti, almeno dalle due e mezza. La tensione e l'adrenalina sono alle stelle al punto che avremo dormito si e no quattro ore. Ci vestiamo e andiamo a fare colazione.

Ore 4.05 – Bad Goisern, colazione
Buio, silenzio. Tutti gli ospiti del grande albergo sono ancora in piena fase R.E.M.. Fuori le tenebre, dentro solo una grande stanza è illuminata, quella della sala da pranzo. Dentro siamo in sei, un italiano, due tedeschi, due austriaci e uno slovacco.... sembra quasi una barzelletta. Le facce assonnate e tese, le bocche ingurgitare tutto quello che ci capita a tiro. Emblematica la frase della cameriera: 'Sie sind verrückt'.

Ore 4.50 – Bad Goisern, km. 0
Pochi minuti al via: il buio non è poi così pesto come un'ora fa ma i lampioni e le fotoelettriche sono ancora indispensabili per vederci qualcosa. La situazione è strana ed emozionante: con le tenebre tutto sembra così diverso, non c'è musica, non c'è rumore. Tutto è come ovattato, il brusio è appena accennato: la piazza è un brulicare di bici e biker, ma tutti parlano sottovoce.

Ore 5.00 – Bad Goisern, partenza
La piazza esplode. Letteralmente. Un boato di grida, applausi e urla che sveglia quei pochi che ancora erano a letto: il rettilineo di partenza è stracolmo di gente, due ali di folla armate di campanacci, trombe, vuvuzela, tamburi e ogni altro aggeggio atto a far rumore. E' il saluto di Bad Goisern agli eroi che partono alla conquista del Salzkammergut. Da pelle d'oca.

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Ore 5.15 – Rehkogl, km. 4
Siamo solo a un terzo della prima salita, il terzo più facile, e siamo assaliti da sonno, stanchezza, gambe pesanti. Ma chi ce l'ha fatto fare? Ma quanto bene si stava a letto? Quasi quasi giriamo la bici e torniamo in albergo...

Ore 6.20 – Ratschberg, km. 11
Che meraviglia, che bellezza! Sta albeggiando. Tra le nuvole che si stanno diradando filtrano i raggi del sole a illuminare la valle. In lontananza il ghiacciaio del Dachstein, sotto di noi i paesi della valle che ancora dormono. Valeva la pena partire alle cinque anche solo per ammirare questo spettacolo della natura.
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Ore 7.25 – Ewige Wand, km. 29
Primo passaggio sul simbolo della gara, la strada nella roccia tra tunnel e precipizi. Prima e dopo qualche passaggio tecnico un po' umido in single track mette già in difficoltà diversi biker. Da chiedersi come pensano di finirla sta gara se già adesso sono presi così...

Ore 8.00 – Bad Goisern, primo passaggio, km. 40
Finisce il primo giro, quello corto. Inizia a vedersi qualcuno per le strade, finora c'erano quasi solo i bravissimi (e volenterosi) volontari ai bivi e qualche escursionista mattiniero. Gli applausi e i 'SUPPA SUPPA' (si scriverebbe 'Super', ma si legge 'Suppa') vengono distribuiti a destra e a manca non appena compare un 'numero rosso'.

Ore 8.25 – Rehkogl, km. 43
Il bivio tra primo e secondo giro passa senza neanche notarlo. La salita è asfaltata e pedalabile e le gambe iniziano a mulinare bene. Un crucco sbaglia direzione e tutti gli vanno dietro come pecoroni dietro finendo dentro un cortile. Si odono imprecazioni in svariate lingue del mondo.

Ore 9.05 – Reith / Altaussee, km. 52
Ristoro. Si mangia e si beve. Qualcuno già che c'è lava pure la bici visto che il fango accumulato inizia a essere tanto, soprattutto nell'ultima discesa giù per un sentiero di rocce, radici e parecchia melma: un sentiero non lunghissimo ma q.b. per sporcarsi dalla testa ai piedi. E, soprattutto, q.b. per perdere tempo prezioso se si ha da lottare con i cancelli.
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Ore 9.20 – Salzwelt Altaussee, km. 55
Passiamo di fronte alle miniere di sale, attrazione turistica divertente anche se freddina (un'ora e mezza a 7°C dentro la montagna). La temperatura esterna invece è ottimale, non fa troppo freddo e il tempo sembra tenere ed esce pure il sole. Anche questa salita è pedalabile... anzi no, dopo le miniere si impenna con pendenze da capottarsi. Ma dura poco, poi torna agevole.

Ore 9.30 – La pista nera, km. 57
Chi trova un amico trova un tesoro. Noi troviamo Giacomo, da Pesaro. Ci avverte di quel che sta per arrivare: una pista nera da scendere 'dritto per dritto'. Sul momento non capiamo, ma poco dopo... vediamo. Una discesa corta ma ripidissima, costellata di sassoni messi un po' a casaccio; poi entra nel bosco e si fa... inesistente. Sembra di essere sul greto di un torrente in secca, quasi impossibile procedere in bici tra le pietre umide e scivolose.
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Ore 9.40 – Blaa Alm, km. 59
Sempre insieme a Giacomo. Qui l'anno scorso forò: nella sosta notò un recinto per animali. Ci invita a fermarci un minuto per andare a vedere. Come allo zoo, anzi meglio... allo zoo le marmotte non sempre ci sono.

Ore 09.50 – Valle del Rettenbach, km. 63
La discesa è veloce, non troppo ripida e né troppo tecnica, ma si snoda in un ambiente a dir poco strabiliante, fianco a fianco al torrente tra gallerie, canyon, cascate, pareti di roccia. A ogni chilometro uno spettacolo diverso nella stretta e selvaggia valle, ma chi sbaglia una curva è spacciato.

Ore 10.00 – Valle del Rettenbach, km. 68
E il primo cancello è passato. 45 minuti di anticipo possono essere tanti ma anche pochi, visto quello che c'è ancora da affrontare. In compenso al ristoro, pochi chilometri prima, abbiamo approfittato del lavaggio bici, ce n'era proprio bisogno.

Ore 10.20 – Valle del Grabenbach, km. 71
Un'altra salita. Un'altra – per fortuna – con pendenze non così elevate. Si incunea dritta e senza tornanti in una forra sempre più stretta e sempre più profonda. Qui nel 2010 uno del D-Strecke è caduto di sotto e c'ha lasciato le penne. Inizia pure a fare un po' freddino, si alza un po' d'aria e il cielo si annuvola sempre più. Pure le gambe iniziano a sentire la stanchezza.

Ore 10.45 – Tauernkreuzung, km. 74
Ci siamo passati anche prima, nel giro piccolo. C'è il ristoro, adesso preso d'assalto da quelli del B-Strecke partiti alle 9.00. Fa freddo e c'è vento, meglio vestirsi. Ripartiamo e, abbandonati i 'numeri blu' canniamo alla grande il primo bivio che ci capita davanti. E' già la seconda volta che ci capita: preoccupante...

Ore 10.55 – La discesa senza nome, km. 76
Ecco il fascino del Salzkammergut: vegetazione rigogliosa, precipizi, pareti verticali e sentieri a strapiombo (questo che stiamo affrontando ha persino le reti di protezione!). Entriamo e usciamo dalle gallerie a velocità folli, poi tiriamo di colpo i freni sennò ci ammazziamo: davanti a noi diverse centinaia di metri di fango e sassi, radici e ruscelli. Dai numerosi infermieri presenti si capisce che qua ci si fa male, difatti tutti scendono a piedi.

Ore 11.15 – Bad Ischgl, km. 82
Non si sa come, non si sa perché, ma nonostante la stanchezza scendiamo in sella alla grande e senza problemi. Sarà merito della full 29'? O forse delle gomme 'quellechecostanomeno' gonfiate a 'piùomenoquantobasta'? Fatto sta che arriviamo alle porte di Bad Ischgl con il sorriso sulle labbra.

Ore 11.16 – Bad Ischgl, km. 82,5
Da lontano vediamo un biker arrancare a piedi tra le erbacce nel mezzo di un campo ripidissimo. Il sorriso sulle labbra sparisce all'istante. Poco dopo sarà ancora peggio: la foto si commenta da sola.
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Ore 11.35 – Da qualche parte vicino a Bad Ischgl, km. 84
C'è da camminare, e tanto, nei sentieri da capre infangati e invasi dalla vegetazione.
Fa freddo, e il cielo si fa sempre più scuro e minaccioso.
Siamo stanchi e le gambe invocano pietà.
Non abbiamo la più pallida idea di dove siamo, di quanto manchi alla fine della salita.
Giungiamo in un paesino fantasma, non c'è anima viva in giro.
Legge di Murphy: 'Se qualcosa può andar male, lo farà.'

Ore 11.36 – Perneck, km. 85
Non poteva esserci momento migliore per forare.
Per fortuna c'è subito il ristoro, e la foratura è meno grave del previsto e con un gonfia&ripara risolviamo rapidamente il problema.
Problemi però che non sono finiti: c'è da affrontare il secondo strappo dei quattro che compongono la salita che ci riporterà in cima all'Hutteneckalm, già vista alle sette e mezza di mattina.

Ore 11.45 – Miniere di sale abbandonate, km. 87
La salita è asfaltata, ma talmente ripida che non si può far altro che salire a piedi, e pure a fatica visto che si scivola di continuo sul cemento bagnato. Sono chilometri che non vediamo anima viva, nemmeno ai bivi. Incrociamo lo sguardo con un compagno di (s)ventura: non servono parole, basta un'occhiata per capirsi e scoppiare in una risata amara e beffarda. Ma chi ce l'ha fatto fare? Perché siamo qui? Ma soprattutto, dove siamo? Sconforto, ecco quello che proviamo.

Ore 12.05 – Hinterrad, km. 89
Miracolo: il terzo strappo è quasi un falsopiano! Le gambe e soprattutto la testa riprendono vigore. Inizia però a gocciolare, speriamo bene.

Ore 12.30 – Tauernkreuzung, km. 95
Per la terza volta ritorniamo a questo ristoro. Non gocciola ma pioviggina. Il nostro obiettivo di fare mezza Salzkammergut è quasi completato, ancora l'ultimo strappo e poi è più o meno tutta discesa.

Ore 12.50 – Hutteneckalm, km. 96
Piove. Anzi, nevischia. Crolliamo psicologicamente. Gettiamo la spugna. L'unico sorriso ce lo strappano degli spettatori imbaccuccati e festaioli. E qualche pacca sulle spalle da parte dei biker dei percorsi più corti. Non vediamo l'ora di scendere a valle e scaldarci un po'. A inizio discesa qualcuno lungo la strada dice di conoscerci ma il cervello ormai non connette più. Unico task: tornare a casa.

Ore 13.05 – Predigstuhl, km. 100
Più o meno al cancello dei 100 chilometri, dove arriviamo con quaranta minuti di anticipo, inizia a diluviare (come del resto è abitudine qui nel Salzkammergut). Con calma ci mettiamo in assetto da pioggia e proseguiamo con cautela.

Ore 13.25 – Ewige Wand, km. 104
Passiamo per la seconda volta per la strada nella roccia, ora decisamente meno felici e brillanti. Senza occhiali e con la pioggia non si vede niente. Andiamo in crisi pure sui single track in discesa: la facciamo sporca e qualcuno lo evitiamo tagliando per la sterrata principale.

Ore 13.40 – Weissenbach, km. 109
Laddove inizia e finisce l'anello per Chorinskyklause, con una salita agevole e una discesa estrema, come previsto, alziamo bandiera bianca: 'Kaputt, leer'. Intirizziti, zuppi, sporchi e puzzolenti non siamo quasi neanche capace di scendere di bici. Il volontario al bivio sogghigna beffardo e ci obbliga pure all'umiliazione di toglierci da soli il chip. Bastardo.

Ore 13.45 – Weissenbach, km. 109
Salutato il volontario con una bella imprecazione in idioma veneto, arriviamo alla feed-zone. Ci rifocilliamo a dovere, senza fretta e riprendiamo la strada verso Bad Goisern tra gli sguardi tra il divertito e il rassegnato delle ragazze del ristoro: chissà quanto se la ridono a vedere questi deficienti massacrarsi le natiche con ore e ore di culo in sella e che, magari, si trovano costretti pure a cambiarsi e asciugarsi chiappe al vento.

Ore 14.05 – Bad Goisern
Facciamo gli abusivi e ci immettiamo nel percorso all'ultimo chilometro, tanto per tagliare il traguardo e farci fare due foto. Non mancano gli incitamenti, anche se di tono diverso rispetto alla mattina: ora sono decisamente più mesti e rassegnati, come a consolare per la missione fallita.

Ore 15.47 – Bad Goisern
Docciati e cambiati finalmente possiamo dedicarci a birra & wustel sotto al tendone. Nel frattempo lo speaker annuncia l'arrivo del primo 'numero rosso'. Ce ne freghiamo alla grande, ora abbiamo altro di ben più importante a cui pensare.

Il pomeriggio scorrerà scandito dalla pioggia, più o meno intensa ma comunque sempre presente. Per i 'numeri rossi' sopravvissuti il più è fatto, anche se i chilometri da pedalare sono ancora tanti verso Hallstatt e Gosau, con un lungo (ma per nulla banale) tratto pianeggiante sul lungo lago e poi su verso le miniere di Hallstatt e il famigerato muro del pianto, vero e proprio ago della bilancia della corsa. Da lì al traguardo mancheranno altre due salite, pedalabili ma per nulla semplici dati i tanti chilometri nelle gambe, e diverse larghe e comode sterrate in discesa.

Chi uscirà indenne anche dagli ultimi cancelli sarà accolto a Bad Goisern in maniera trionfale fino oltre le nove di sera: i 'numeri rossi' che portano a termine la missione, primi o ultimi poco importa, sono ammirati e rispettati come degli eroi.

Stefano De Marchi @ www.solobike.it
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National Park Bike Marathon 2011 - Scuol [SUI]

27/8/2011

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Svegliarsi con la pioggia che batte alle finestre non è di certo il modo migliore per cominciare la giornata. Lo è ancor meno se la giornata è quella della National Park Bike Marathon.

In quel di Scuol, principale centro della Bassa Engadina e non lontano dal confine italiano, tutto era pronto per il decennale della celebre marathon attorno al Parco Nazionale Svizzero, attraverso i centoquaranta chilometri e quattromila metri di dislivello del “Vallader”, uno dei percorsi più affascinanti del panorama europeo individuato anche da un apposito segnavia permanente (il 444). Il meteo però c’ha messo lo zampino, e proprio sul finire di un torrido agosto ha regalato a biker e organizzatori una giornata tardo-autunnale.

Andiamo però con ordine: l’evento nasce nel 2002 e fin da subito si distingue per l’incantevole ambientazione in cui si svolge: un ambiente d’alta montagna, tra valli isolate e disabitate, toccando alcuni dei luoghi più suggestivi dell’intero arco Alpino e lambendo più e più volte il Parco Nazionale. Il parco, fondato nel 1914, fu il primo esempio in Europa di riserva naturale protetta:  da allora al suo interno è bandita ogni attività umana, permettendo alla natura di evolversi liberamente conferendo a questo paesaggio un carattere unico.

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Un’altra peculiarità della National Park Bike marathon è la distribuzione dei tre percorsi più corti: non partono da Scuol, bensì da altrettante località posizionate lungo il tracciato “Vallader” ripercorrendone così la parte finale. Da Fuldera, in Val Müstair, ha inizio lo “Jauer” (104km./2870m.), da Livigno il “Livignasco” (71km./1750m.) e da S-chanf, in Engadina, il “Puter” (47km./840m.). Nelle stesse località sono posti i punti di “cambio” della staffetta, una gara-nella-gara riservata a team di quattro frazionisti, mentre sul percorso più corto viene stilata la classifica “Gross und Klein” per coppie formate da un adulto e un ragazzo di massimo 16 anni.

Tutte le operazioni pre-gara si sono svolte in maniera rapida e ordinata all’interno dello stadio del ghiaccio, sede logistica dell’evento; nel costo di iscrizione (da 46 a 73 euro a seconda del percorso scelto) erano compresi anche l’eventuale trasporto al punto di partenza con bus e treno, e il pacco gara composto da uno zaino tecnico e un asciugamano in microfibra, entrambi personalizzati con il logo dell’evento. Il pasta party era a pagamento, sia al venerdì sera che nel dopo gara, ma la mattina della gara (a partire dalle ore quattro) un’abbondante e sostanziosa colazione attendeva tutti gli iscritti prima del via. Era disponibile anche un bike-park sorvegliato per la notte precedente la gara.

Alle ore 7.15 di sabato mattina, sotto un cielo coperto ma con diversi sprazzi d’azzurro, ha inizio l’avventura. La prima salita fino al Passo Costainas è lunga ma facile, risalendo per oltre venti chilometri la Val S-Charl e toccando a metà strada l'ameno omonimo paesetto: un luogo fuori dal tempo che appare di colpo sulla via per il Costainas, con le case in legno e le stalle affacciate sulla piazzetta, e pure qualche animale da cortile che scorazza libero per la piazza. I pochi abitanti sono tutti in strada ad applaudire e suonare campanacci, incuranti delle prima gocce di pioggia e del fortissimo vento contrario.
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Allo scollinamento, posto a quota 2251m., la gioia del bellissimo single track sommitale viene perentoriamente azzerata dalla visione della Val Müstair, immersa nelle nubi dense e scure di pioggia che accompagnerà la discesa e il successivo fondovalle. A Fuldera l’assistenza meccanica è presa letteralmente d’assalto da richieste di olio sulla catena, mentre già si segnalano le prime defezioni di atleti tremanti e  infreddoliti.

La situazione sembra migliorare all’imbocco della lunga, monotona e logorante scalata al Doss Radond, ma da metà salita è ancora tempo di acqua e vento. A quota duemila gli alberi scompaiono, privando i biker della loro provvidenziale protezione, e fino alla vetta sarà una lotta contro gli elementi avanzando a velocità ridicole, venendo sballonzolati continuamente qua e là da folate gelide e improvvise. Al ristoro del GPM (2234m.) un improbabile e imbevibile brodo caldo è l’unica fonte di calore prima della spettacolare Val Mora.

Con il bel tempo sarebbe un larga, veloce e scorrevole discesa in un continuo susseguirsi di montagne scoscese, prati sconfinati, torrenti impetuosi e pareti di roccia verticali. Ma in queste condizioni la valle si trasforma nello spettrale scenario dove a farla da padrone sono ancora una volta il vento, che infuria ora con raffiche laterali brusche e violente, e la pioggia, che cade quasi orizzontale. D’improvviso tutto si quieta, giusto all’imbocco della famoso e splendido single track nella gola: un sentiero rubato alla montagna, compatto e veloce, tutto da guidare, a picco sul torrente che scorre qualche decine di metri più sotto. Ogni errore qui si paga caro, e non a caso all’inizio del trail almeno una decina di soccorritori sono pronti per ogni evenienza.
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La fine del sentiero e il Lago di San Giacomo sanciscono l’ingresso in Italia: ha inizio la terza asperità. L’Alpisella è una salita di soli trecento metri di dislivello ma interminabile: dopo la prima parte nel bosco la strada prosegue sinuosa lungo la valle a medie pendenze, dando più volte l’impressione di scollinare salvo poi tornare a salire inesorabile, il tutto per cinque eterni chilometri.

E’ in questa fase che la situazione precipita: verso mezzogiorno la temperatura crolla d’improvviso, passando dagli 8-10° della prima parte di gara ai 2-3°, e la pioggia si fa mista a neve. La picchiata su Livigno, flagellata ancora una volta dalla pioggia e dal vento, si trasforma in un’agonia, con mani e piedi che congelano rapidamente e con il baratro a bordo strada che fa ancora più paura.
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Il lago di Livigno sembra un mare in tempesta, solcato dalle onde e spazzato dalle raffiche e dagli scrosci. Il pensiero subito corre al da farsi: trovare un posto caldo dove fermarsi, asciugarsi e cambiarsi con gli indumenti invernali provvidenzialmente portati nello zaino, per poi ripartire verso i 2700 metri del Chaschauna.

Il primo edificio che appare è la Latteria di Livigno: una distesa di biciclette abbandonate sul prato, i vetri delle finestre appannati, e una processione di biker che entrano nei locali della latteria. Nessuno invece esce. Una volta all’interno, arriva la notizia che tutti aspettavano.

Gara sospesa. Fine dei giochi. Game Over.
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Al Passo Chaschauna il termometro segna diversi gradi sotto lo zero e già diversi centimetri di neve coprono il suolo, mentre la tempesta che si sta scatenando su Livigno è solo quel che resta della ben più grande bufera che ha portato scompiglio sul versante svizzero.

Lungo tutto il percorso, da Fuldera a Livigno, da S-Chanf a Zernez, non si contano i casi di ipotermia, con bikers tremanti e intirizziti dal freddo assistiti dalle squadre di soccorso. Nella latteria di Livigno viene allestito un punto di primo soccorso per i casi più gravi, mentre fuori sono già pronti i pullman per il rientro a Scuol.

Non resta allora che concludere l’avventura comodamente seduti sul bus che riporterà al punto di partenza; alle biciclette, posteggiare in un garage piantonato dai vigili urbani, ci penserà l’organizzazione che le riconsegnerà a Scuol in serata.

Nel tardo pomeriggio, mentre il sole torna a splendere sulla Bassa Engadina, è tempo di capire meglio che cosa è successo.
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Le gare sui due percorsi più corti si sono svolte regolarmente, seppure in condizioni meteo difficoltose con pioggia, neve e grandine che hanno costretto moltissimi bikers a ritirarsi: i concorrenti del percorso “Livignasco” di 71km. hanno superato il Passo Chaschauna prima che il meteo peggiorasse, mentre il percorso di 47km. che si svolgeva completamente lungo il fondo valle non superava mai i 1700 metri.

Nel percorso di 104km. solo in diciotto hanno svalicato il Passo Chaschauna e in quindici hanno completato la gara, mentre il resto dei partecipanti sono stati fermati a Livigno o al rifugio nei pressi del valico.

La prova sul percorso “Vallader”, valida quale Campionato Nazionale Svizzero, è stata invece interrotta al termine della discesa dal Passo Chaschauna dopo il transito dei primi atleti: in quindici sono giunti fino a S-Chanf, con Urs Huber che diventava il nuovo campione elvetico. Tutti gli altri sono stati dirottati su alcuni punti d’appoggio lungo la salita e discesa del Chaschauna, o fermati direttamente a Livigno dove si è conclusa anche la prova femminile, vinta da Milena Landtwing.

La macchina organizzativa è senz’altro da elogiare per la perfezione e la tempestività con cui è stata gestita l’emergenza, dai primi soccorsi al coordinamento dei rientri fino alla restituzione delle biciclette abbandonate un po’ ovunque nei paesi toccati dalla gara. Esemplare poi il servizio fornito dai numerosissimi volontari, sempre disponibili e cordiali fino a sera sebbene in piedi già dalla colazione alle quattro del mattino.

Per questi motivi la decima edizione della National Park Bike Marathon si merita una promozione con lode: oltre a un percorso tra i più belli in assoluto e non eccessivamente tecnico, agli scenari d’alta montagna e ai panorami mozzafiato, questo evento ha dimostrato di essere al top anche dal punto di vista organizzativo collocandosi senza ombra di dubbio nel novero delle migliori marathon europee.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

Sito internet:
www.bike-marathon.com

Fotogallery:
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/NationalParkBikeMarathon2011
http://www.swiss-image.ch/slideshow/#bikemarathon2011
http://www.sportograf.com/bestof/984
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Ischgl Ironbike 2011 - Ischgl [AUT]

6/8/2011

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Non capita spesso di pedalare a quasi tremila metri di quota fino al culmine di una montagna, laddove l’aria rarefatta rende tutto più difficile, laddove la vista spazia a trecentosessanta gradi su un orizzonte sconfinato di vette, boschi e ghiacciai. E non capita spesso di potersi poi gustare tante adrenaliniche discese su piste e sentieri ogni volta diversi.

Tra le località che offrono questa possibilità, Ischgl è sicuramente una delle più rinomate: la piccola cittadina austriaca, principale centro della Paznauntal, negli ultimi anni ha saputo creare un’offerta turistica invernale ampia, variegata e altamente concorrenziale rispetto ad altre località vicine, al prezzo però di sfruttare intensamente (in alcuni casi anche esageratamente) le montagne della Silvretta Arena.

D’estate Ischgl cambia faccia. Messi da parte sci e scarponi, a farla da padrona è la mountain bike: oltre milleduecento chilometri di sentieri per ogni tipo di biker, negozi e noleggi disseminati un po’ ovunque, impianti di risalita e piste freeride disegnate da un certo Hans Rey fanno della Paznauntal una meta irrinunciabile per ogni appassionato delle ruote grasse.

Certo, tra il Burger King in piazza e le ruspe al lavoro alle quote più alte, i puristi storceranno il naso di fronte a una montagna così “commerciale” e sfruttata, in grado però di attrarre anche in estate un turismo giovane e sportivo con eventi di livello internazionale, dall’alpinismo alla camminata in montagna, fino addirittura a discipline motoristiche con moto e kart.

In questo contesto, ovviamente, la mountain bike la fa da padrone e la Ischgl Ironbike, svoltasi sabato scorso su queste montagne, ha sicuramente un fascino tutto particolare: conosciuta come una delle gare tra le più importanti e difficili d’Europa, attrae tutti i maggiori specialisti delle lunghe distanze. Proprio la fama di gara impegnativa, però, fa sì che il numero di partenti non sia elevatissimo: quest’anno erano circa 850, divisi sui tre percorsi a disposizione.

Se vogliamo essere obiettivi l’Ironbike non sembra concepita come un “evento” per intrattenere il biker, ma d’altronde a creare fascino e appeal ci pensano le montagne, le salite e i panorami. E tra piscine, impianti sportivi e di risalita, locali, negozi e svaghi lo slogan “Relax, if you can!” è azzeccato in pieno.

L’unica attività collaterale prevista, peraltro molto gradita dal pubblico, è stato l’Ischgl Palio del venerdì: un combattutissimo short track tra le vie cittadine che ha visto al via i principali favoriti dell’indomani, dal padrone di casa Lakata ai tedeschi Platt, Bohme, Mennen e Leisling, i favoritissimi svizzeri Buchli, Looser e Huber, e una nutrita pattuglia nostrana con Felderer, Cattaneo e De Bertolis. Per la cronaca, a vincere sotto una pioggia incessante è stato Leisling davanti a Platt e Mennen per un podio tutto tedesco.

Sabato è poi stata la volta della Ironbike, disputatasi sotto un cielo terso e limpido che dava la possibilità, alle alte quote, di ammirare un ineguagliabile panorama sulle montagne del Silvretta.

Dopo un giro tra le vie cittadine stracolme di spettatori, il percorso prevedeva un primo anello nella Paznauntal affrontando le ciclabili di fondovalle fino a Mathon e una salita piuttosto agevole verso Lareinalp e la Jamtal, scendendo poi a Galtur su single track e rientrando in costante ma leggerissima discesa a Ischgl dove era posto il traguardo per percorso più corto: 27 chilometri e 750 metri di dislivello su cui si sono cimentati moltissimi neofiti e biker improvvisati, come pure molti semplici turisti divertiti, senza troppi problemi per le bici datate, i pedali flat o l’abbigliamento vintage.

In centro a Ischgl questi proseguivano direttamente verso l’arrivo, mentre chi optava per uno dei due percorsi più lunghi veniva indirizzato verso uno stretto e ripidissimo vicolo in centro città: era solo l’antipasto di quella che sarebbe stata la salita più dura di giornata.

Il percorso infatti prevede ora la durissima ascesa ai 2300 metri di Idalpe (otto chilometri al 12%). La salita, completamente asfaltata, inizia subito impegnativa e – salvo un intermezzo pianeggiante dopo tre chilometri - non molla più fino in cima presentando pendenze costanti sul 13-14% con punte a oltre il 20%. Da Idalpe, dove gli atleti venivano accolti da un folto pubblico arrivato fin qui con la cabinovia, la salita prosegue sterrata fino a quota 2600 metri e poi… è tutta discesa. E che discesa!

Sicuramente una picchiata di quelle da ricordare quella lungo il Velilltrail, uno dei tanti sentieri freeride tracciati da Hans Rey: quattro interminabili chilometri di adrenalina tra tornantini, guadi, salti, paraboliche, un po’ sulla pista da sci e un po’ tra  i prati, fino a innestarsi sulla larga, compatta e velocissima sterrata che conduce direttamente in centro a Ischgl e al traguardo, non prima del curioso passaggio in un tunnel pedonale sotto la città, con tanto di tapis roulant in funzione. Si concludeva qui il percorso medio di circa 48 chilometri e 2000 metri di dislivello: adatto a chiunque abbia un discreto allenamento, si è rivelato bello, panoramico e divertente anche se reso piuttosto duro dall’impegnativa (e un po’ noiosa) salita di Idalpe.

Il percorso lungo, invece, godeva di quanto di meglio le montagne del Silvretta Arena avessero da offrire: dopo Idalpe si staccava dal percorso medio e saliva fin sull’Idjoch proseguendo poi fino ai 2853 metri dello Greispitze con pendenze a tratti proibitive, in un ambiente lunare fatto solo di rocce e ghiaioni.

La discesa che ne segue è un’esperienza che non può mancare nel bagaglio di ogni biker che si rispetti: fino al Salaaser Kopf su trail e sentieri realizzati ad hoc direttamente sulla cresta, non eccessivamente tecnici ma altamente panoramici, poi in territorio elvetico sulle medie pendenze dello Zeblastrail che taglia i pendii per oltre tre chilometri fino ad Alp Trida, da cui una comoda e veloce sterrata conduce a Laret e Samnaun, il principale centro svizzero del comprensorio, celebre per il “Twinliner”, la curiosa funivia a due piani.

Ha quindi inizio la seconda durissima salita: altri mille metri di dislivello fino al Palinkopf (2800 metri) risalendo le piste da sci con pendenze elevatissime e in alcuni tratti, come dopo lo Zeblasjoch a 2500 metri, al limite della ciclabilità. Dalla vetta l’ennesimo trail, ora sassoso e sconnesso ma piuttosto breve, è il preludio alla facile ma veloce discesa finale: prima un tratto sterrato reso molto fangoso e viscido dal transito dei mezzi d’opera, quindi alcuni chilometri asfaltati già percorsi nella prima salita, e infine ancora sterrato fino al tunnel e all’arrivo. In totale un percorso di 78 chilometri e 3800 metri di dislivello che danno un senso dicitura “Ironbike”.

All’arrivo il clima era disteso e festoso, con la festa di piazza in cui si teneva il pasta party, che qui usano fare con wiener schnitzel, bratwurst e crauti. E ovviamente tanta birra.

Nel complesso la Ischgl Ironbike 2011 si è rivelata una manifestazione bella e ben riuscita che non ha smentito la propria fama di gara dura ed estrema. Tutto ha funzionato alla perfezione, dalle veloci operazioni pre-gara allo spettacolo del Palio, dai ristori sempre ben forniti, fino al dopo gara con l’accesso gratuito alla piscina coperta. Alla riconsegna del chip veniva inoltre consegnato il pacco gara, costituito da una felpa griffata Cannondale. Il tutto per 32 euro di iscrizione. L’unica pecca riscontrata è forse la gestione della sicurezza in gara: nella lunga discesa dal Velliltrail i mezzi e il personale di soccorso erano decisamente scarsi.

Considerando i costi relativamente bassi di alberghi e ristoranti, Ischgl si rivela una meta appetibile a tutte le tasche, a meno di due ore di auto dal Brennero: gli impianti di risalita, i percorsi adatti ad ogni utenza, dal freerider all’escursionista fino alle famiglie, i tanti negozi e noleggi con decine di mezzi top di gamma (comprese tantissime mtb elettriche, il trend del futuro per il turismo su due ruote) fanno di Ischgl una meta irrinunciabile per i biker. Se questo non è il paradiso della mtb, poco ci manca….

Stefano De Marchi – www.solobike.it

Sito internet: www.ischglironbike.com

Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1199/index.html
http://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/IschglIronbike2011
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/IschglPalio2011

Video:
http://www.youtube.com/watch?v=DacRizLkYZg

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Salzkammergut Trophy 2011 - Bad Goisern (AUT)

16/7/2011

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La Salzkammergut o la ami o la odi, non ci sono vie di mezzo. Ti seduce e ti ammalia con il suo blasone, ma poi ti bastona. E' una tentatrice spietata che si lascia sfidare, ma che difficilmente si fa domare. Si presenta deliziosa, ma si rivela tremenda, talvolta terrificante.

La Salzkammergut Trophy, diciamocelo, mette in soggezione. Anche solo da quel nome impronunciabile che trasmette asprezza e rigore: più o meno significa 'di proprietà dell'ufficio del sale' (dell'Impero Austroungarico) e rappresenta uno dei territori più importanti dal punto di vista storico e culturale dell'Austria.

A circa sessanta chilometri a sud di Salisburgo, laddove il ghiacciaio del Dachstein si tuffa direttamente nelle verdi acque del lago di Hallstatt, l'attività umana è documentata da almeno 7000 anni, quanto basta per fare del Salzkammergut un Patrimonio Culturale dell'Umanità UNESCO: un territorio un tempo isolato e inospitale dove però il salgemma, presente in grandi quantità nelle montagne circostanti, ha influenzato per millenni la vita, i commerci e i mercati di mezza Europa. Proprio Hallstatt, la cittadina da cartolina incastonata tra l'acqua e la roccia, è ormai famosa in tutto il mondo per ospitare la miniere di sale più antiche del mondo.

All'altro capo della valle, Bad Ischl è il maggiore centro della valle: cittadina termale, è celebre per essere stata la residenza estiva dell'Imperatore Francesco Giuseppe.

A metà strada tra Hallstatt e Bad Ischl si trova Bad Goisern: un paesetto piccolo e anonimo che ogni terzo weekend di luglio diventa un vero e proprio melting pot della mountain bike. La relativa vicinanza con diversi paesi Europei (Germania, Italia, Ungheria, Slovenia, Repubbliche Ceca e Slovacca), unita alla fama e al fascino dell'evento, fanno del Salzkammergut Trophy il più importante evento mitteleuropeo: sono oltre quattromila gli iscritti, provenienti da ogni parte d'Europa e del Mondo, che si cimentano sui ben sei percorsi a disposizione.

Proviamo ora ad analizzare, in maniera un po' semiseria, tutto l'evento dalla A alla Z:

A-STRECKE
E' il percorso più lungo, 211,3 chilometri per 7049 metri di dislivello (6500 effettivi) che rappresentano una delle prove più estreme sulla faccia della terra. Già la partenza, al buio delle cinque del mattino tra due ali di folla, vale da sola il prezzo del biglietto: chi porta il 'numero rosso' a Bad Goisern e dintorni è visto come un eroe, o un pazzo a seconda dei casi.
Il percorso non è per tutti: con salite impervie e discese al limite della ciclabilità rischia di diventare un lungo calvario. Per le persone normali si tratta solo di puro autolesionismo che va ben oltre il mero spirito di sfida con sé stesso. Come disse Boardman della Parigi-Roubaix: 'It's a circus, and I don't want to be one of the clown'.

B-BIRRA
A fiumi, prima dopo e durante. Prevedibile.

C-CRISI
Sembrano sentirla anche alla Salzkammergut. Fino a qualche anno fa era un vero e proprio happening con dirette live, reportage video, copertura mediatica. Oggi è una manifestazione sicuramente di riferimento, ma senza quel valore aggiunto da 'grande evento' che il blasone farebbe supporre.

D-DACHSTEIN
E' il ghiacciaio che domina la vallata, ma non si capisce bene dove sia. In cima alla prima salita dei 120 e 211 chilometri appare d'incanto dall'altra parte della valle, maestoso e imponente. Poi sparisce di nuovo, per ricomparire verso fine gara proprio sopra la testa dei biker. E' però da vedere chi ha ancora la forza per alzarla.

E-EWIGE WAND
Il passaggio simbolo del Salzkammergut Trophy, scavato direttamente nella roccia: niente di più di due buie gallerie e una terrazza panoramica affacciata su Bad Goisern, ma talmente suggestivo che fa venir voglia di girare la bici e rifarlo un'altra volta.
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F-FISCHER, GARY
Si, c'era anche lui. Solo a vederlo si capisce che non è una persona normale: è un pazzo creativo dotato di ingegno e fantasia fuori dal comune. Un genio. Stravagante e geniale, eccentrico. Solo uno così poteva inventarsi la mountain bike. Per la cronaca, ha corso sui 120 chilometri con una Trak-Fisher 29' biammortizzata impiegandoci circa otto ore e mezza.

G-GITA

Andare fin lassù solo per pedalare è uno spreco di tempo e di denaro. Le opportunità di svago non mancano, come ad esempio la visita alle miniere di Hallstatt. Salita in funicolare panoramica, breve passeggiata a piedi, poi l'ingresso nel Salzwelten (mondo di sale) per un'esperienza a metà tra la didattica e il divertimento: scivoli in legno, spettacoli di luci, video, trenini sotterranei, animatronic. Sembra quasi di essere a Gardaland. Irrinunciabile.

H-HALLSTATT
E' la continuazione naturale della 'G-GITA'. Ridiscesi a valle non si può non visitare la chicca del lago omonimo: un paese incastrato tra il verde dell'acqua e il grigio della roccia, talmente bello che i cinesi starebbero pensando di copiarlo.

I-INCROCI
Incredibile ma vero: in diversi incroci non c'era alcun tipo di vigilanza. Passino i bivi sulle strade in quota (bastano le frecce), ma quando la ciclabile attraversa dritto per dritto la strada principale un brivido corre lungo la schiena. Gli automobilisti austriaci saranno anche disciplinati, ma certe cose non ce le saremmo aspettate. Una cosa del genere in Italia sarebbe il preludio di una carneficina.

L-LUCI
Rigorosamente rosse, rigorosamente posteriori. Più di qualcuno dell'A-Strecke le aveva montate prevedendo un arrivo al calare delle tenebre; e in effetti verso le nove di sera tra gli ultimi ad arrivare non ce n'era uno che ne fosse sprovvisto.

M-METEO
La vera incognita del Salzkammergut. Se piove il più delle volte diluvia, se splende il sole possono esserci fino a quaranta gradi, e la neve fa spesso visita anche in estate. Nel 2009 nevicò, nel 2010 il caldo torrido del mattino lasciò il posto a ore di pioggia torrenziale nel pomeriggio, nel 2011 invece è andata piuttosto bene. E considerando le difficoltà del percorso, i veterani del Salzkammergut sanno che se piove tanto vale stare a letto...
N-NECROPOLI
E' una tappa della 'G-GITA' nella passeggiata di avvicinamento alle miniere del Salzwelten. Dicono risalga a 7000 anni fa, ma anche in epoche più recenti ci hanno seppellito i morti delle miniere. E i più maligni sostengono ci sia finito pure qualche concorrente dell'A-Strecke dopo aver visto il Muro del Pianto (vedi 'Q-QUINDICI').

O-OUTDOOR
Il vero spirito sportivo austriaco. Aria aperta, natura, attività fisica, divertimento. A piedi, in bicicletta, in barca, in canoa, in monociclo, con i pattini. Aggregazione, divertimento, svago, turismo. Questa è la maniera con cui da queste parti - e non solo qui - vedono lo sport: non agonismo ma benessere fisico e mentale, pure in gara. Alla faccia degli italioti che fanno a botte per una classifica sbagliata.

P-PERCORSO
Di difficile interpretazione: le salite sono tutte piuttosto pedalabili (ad eccezione del Muro del Pianto, vedi 'Q-QUINDICI'), ma le discese sono abbastanza cattive soprattutto nei percorsi più brevi. Il fondo è sassoso, e in diversi passaggi le pietre sembrano essere messe lì apposta per rendere l'incedere più difficoltoso. C'è solo da sperare che non piova.
Particolarmente sadico il tracciatore, un tipo che solo a vederlo dà l'idea di un selvaggio, che ha la mania di tagliare i tornanti per sentieri scoscesi, pericolosi e al limite della ciclabilità.
Il finale dei due percorsi più lunghi non riserva comunque grandi difficoltà tecniche, anche perché dopo sette, dieci o più ore in bici basta poco per ammazzarsi.

Q-QUINDICI
Per cento. Come la pendenza media della salita delle miniere di Hallstatt. Poco meno di due chilometri stretti e tortuosi nel bosco fino alla stazione a monte della funicolare. Quando il peggio sembra passato appare poi il famigerato 'Muro del Pianto' della N-NECROPOLI: un chilometro e mezzo di asfalto al venti per cento, con punte fino al trentacinque. Una salita insulsa e improbabile che in tantissimi, quasi tutti, affrontano a piedi smadonnando e inveendo contro quel sadico del tracciatore. Inutile.

R-RISTORI
Numerosi e ben distribuiti. Forniti di ogni ben di Dio, dai panini ai dolci fino al formaggio passando per le belle ragazze. Non manca la Red Bull, a litri, unica arma per rinvenire chi, dopo ore e ore di culo in sella, non sa neanche più come si chiama.

S-SLOW MOTION
Da anni ormai la classifica a squadre del Salzkammergut Trophy viene stilata in maniera piuttosto curiosa, facendo la somma dei tempi impiegati da ognuno dei membri del team. Più numerosi sono i biker, più lungo è il percorso affrontato e più alto è il tempo impiegato, maggiore è la probabilità di vittoria. A vincere quest'anno è stato un gruppo di ottantotto slovacchi: il loro tempo è stato di 25 giorni 2 ore 41 minuti e 22 secondi.

T-T-SHIRT
Viola, rossa, verde o nera, costituiva il pacco gara insieme a un po' omaggi degli sponsor e di qualche integratore. Da ritirare a fine gara, quella nera era la più ambita e destinata solo ai finisher dei 211 chilometri. Se proprio c'è da guardare il pelo nell'uovo, la 'C-CRISI' si è sentita anche qua, visto che fino a qualche anno fa la fattura delle magliette era decisamente migliore.

U-UFFICIO GARA
Piccolo, caotico, chiassoso. Quattro piccole aule e tre stretti corridoi, con temperature tropicali e con quattromila persone a passar di lì: non è proprio il massimo. Il ritiro del numero è comunque rapido e veloce, ma per ogni altra esigenza... una lunga coda vi aspetta all'help desk.

V-VELOCITA'
Pazzesche quelle raggiunte un po' ovunque nei tratti scorrevoli delle discese, quando il fondo largo e compatto permetteva di lasciar correre la bici. Sessanta, settanta, ottanta all'ora e oltre. Da queste parti non ci sono vie di mezzo: in discesa o si va a piedi, o si sfreccia come pazzi.

Z-ZUSCHAUER
Che starebbe per 'Spettatori'. Tanti a ogni ora del giorno, dalle cinque del mattino alle nove di sera. Calorosi e coinvolgenti, non facevano mai mancare incoraggiamenti e applausi. Sicuramente uno dei punti di forza dell'evento, sentito dal territorio e ben visto dalla popolazione locale. Da segnalare i tipi vestiti da Village People, la vecchina dell'acqua sempre pronta per il rifornimento, il bar con speaker a Hallstatt, e le maliziose ragazze nel fiume che lanciavano inequivocabili inviti. Segnalato/a pure qualche ciclista in tenuta adamitica.

Stefano De Marchi - http://www.solobike.it/

Sito internet: http://www.trophy.at/
Informazioni in italiano: www.bikeandmore.it
Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1008/index.html
http://nyx.at/bikeboard/Board/showthread.php?149317-Salzkammergut-Trophy-2011-Bildbericht
https://picasaweb.google.com/Knolle00/SalzkammergutTrophy
https://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/SalzkammergutTrophy2011
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Kitz Alp Bike 2011 - Kirchberg [AUT]

3/7/2011

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Kitzbuehel, Titolo, Austria. La mente va subito al freddo, alla neve, allo sci, alle decine di migliaia di sciatori che ogni inverno affollano le Kitzbueheler Alpen, uno dei comprensori più grandi d'Europa che ha fatto della Streif un simbolo degli sport invernali; sulla pista più difficile e impegnativa del circo bianco, giù dall'Hahnenkamm passando per la Mausefalle e la Steilhang, si è scritta la storia dello sci alpino.
D'estate, quando la neve lascia il posto ai verdi prati, tutto il comprensorio cambia faccia votandosi interamente alla mountain bike, mettendo a disposizione del biker decine di impianti di risalita e oltre mille chilometri di percorsi segnalati, creando un'offerta diversificata che spazia dai bike park per i più piccoli fino a alle bici elettriche per i meno allenati.

Il risultato è evidente: ovunque si vada, dalle parti di Kitzbuehel, la bicicletta è una presenza costante.

In questo contesto, la settimana scorsa, è andata in scena la sedicesima edizione del Kitz Alp Bike Festival: la cittadina di Kirchberg, pochi chilometri a ovest di Kitzbuehel, ha ospitato una cinque giorni interamente dedicata alla mountain bike con gare in salita, cross country, dirt contest, gare e bike school per i più piccoli, concludendosi domenica con la famosa Kitz Alp Bike Marathon, già all'interno di numerosi circuiti austriaci e prima prova del neonato UCI Marathon World Series per le qualificazioni ai Mondiali Marathon 2012.

Circa 800 gli iscritti complessivi arrivati da tutta Europa, distribuiti sui quattro percorsi disponibili: il Light da 15 chilometri e 600 metri di dislivello, il Medium (35km/1300m), l'Extreme (56km/2600m) e il nuovo e durissimo Ultra di 95km e 4400 metri di dislivello, sul quale si svolgerà il Campionato del Mondo Marathon 2013.

La sede logistica della gara era concentrata nel parcheggio della funivia della Fleckalmbahn, a ridosso delle piste da freeride della Bike Academy, e comprendeva una piccola area expo, la segreteria di gara e la zona arrivo. Docce e lavaggio bici, che come vedremo saranno quanto mai indispensabili, erano dislocate a poche decine di metri.

La partenza della marathon avveniva a due chilometri di distanza, dal centro di Kirchberg, sotto un cielo coperto che accompagnerà tutto lo svolgersi della gara, senza comunque quella pioggia che è caduta sporadica nei giorni precedenti, anche sottoforma di nevischio alle quote più alte.

Alle ore 8.00 una mass-start unica per tutti i percorsi (ad eccezione del Light che partirà un'ora più tardi) dà il via alla gara. I primi chilometri si snodano frenetici sulle ciclabili di fondovalle verso Brixen, poi ha inizio la prima salita di giornata.

Nove chilometri di salita, pendenza media 11%: un'ascesa lunga e costante, a tratti noiosa finché non si esce dal bosco e la vista può quindi spaziare sulle vette circostanti. Gli ultimi cinquecento metri sono sicuramente i più ostici, da percorrere su un ripidissimo prato fino a raggiungere gli impianti di Choralpe dove una schiera folta e rumorosa di spettatori incita tutti indistintamente, soprattutto chi riesce a scollinare in sella.

Dopo il ristoro, una breve discesa, e una piccola risalita fino all'incantevole Lago Kreuzjochl, ha finalmente inizio la picchiata: compatta, larga e velocissima, da sessanta all'ora e oltre, gioca comunque qualche brutto scherzo a più di qualcuno, visto che l'elicottero continua a planare più e più volte in soccorso di biker caduti. Non mancano poi i single track: nella parte bassa il percorso entra nel bosco affrontando alcuni passaggi tecnici e divertenti, ma mai troppo impegnativi.

Dal fondovalle si rientra verso Kirchberg e la zona arrivo (conclusione del percorso Medium), da cui ha inizio la seconda salita di giornata: per metà asfaltata e metà sterrata, con pendenze sempre pedalabili ad eccezione di un breve tratto più ripido, conduce in otto km ai 1723 metri dell'Hahnenkamm, fin quasi alla stazione a monte della funivia.

Sulla sinistra inizia la mitica Streif, ma il percorso prosegue in discesa giù per un altro versante, per altre veloci mulattiere e poi per il temibile Ehrenbachtrail, invaso dal fango e dall'acqua, fino all'imbocco della terza salita.

La salita conta solo trecento metri di dislivello, abbastanza facili, fino a incrociare di nuovo la Streif al bivio tra i percorsi Extreme e Ultra: giunti fin qui ci si può accontentare della fatica fatta, dirigendosi verso l'arrivo. L'ultima discesa è divertente, varia, tecnica, alterna tratti sterrati a sentieri, single track fangosi a mulattiere, compresa una adrenalinica picchiata sui prati delle piste da sci e una conclusione in bellezza sui tracciati da freeride a ridosso dell'arrivo, con il supporto del pubblico direttamente proporzionale alla velocità con cui si affrontano salti e paraboliche. Arrivare puliti alla fine della Kitz è praticamente impossibile, e anche quest'anno al traguardo bici e biker sono coperti dal fango raccolto nelle discese in single track.

Chi invece vuole continuare a soffrire può trovare pane per i propri denti sul percorso Ultra, che dal bivio si butta direttamente sulla mitica Streif, ma al contrario: una salita disumana su per le curve in contropendenza della Steilhang, su un sentiero talmente ripido da essere dotato di scalini. Almeno 400 metri a piedi fin sotto la Mausefalle, la terribile 'trappola per topi', un muro verticale di 80 metri diventato l'emblema della Streif e di Kitzbuehel: il percorso in realtà sale per una mulattiera, finalmente di nuovo ciclabile, aggirando la Mausefalle e affrontandone solo la parte sommitale più 'facile', comunque quasi impossibile da fare in sella.

Dalla Mausefalle si torna nuovamente sulla vetta dell'Hahnenkamm, continuando ancora fino ai 1930 m del Pengelstein. Terza discesa, facile ma lunghissima (circa venti chilometri), e poi l'ultima salita, di nuovo all'Hahnenkamm. Altri nove chilometri, altri novecento metri di dislivello. In vetta si passa per la terza volta nello stesso punto e nonostante i cartelli, gli incroci, i ponti artificiali e le indicazioni degli addetti non è semplice capire la direzione da prendere.

La discesa è semplice, ripercorrendo a ritroso parte della terza salita, tornando al bivio del percorso Extreme e dirigendosi poi verso il traguardo sui sentieri più tecnici di cui già abbiamo parlato.

Basta un dato per capire la difficoltà della prova, l'austriaco Alban Lakata vincitore in 4 ore 36 minuti, ha coperto i 95 chilometri del percorso Ultra a una velocità di poco superiore ai venti chilometri orari.

Nel complesso è un percorso tecnicamente non troppo difficile, fatta eccezione per alcuni single track resi insidiosi dal fango, ma che - nella sua versione Ultra - può essere considerato brutale per l'altimetria: quattro salite e quattro discese, ognuna da non meno di nove chilometri e 800 metri di dislivello. Più abbordabili e 'umani' invece i percorsi più corti.

Grandiosi i panorami ammirabili dall'Hahnenkamm sulle Kitzbueheler Alpen: una vista a 360° che ripaga ampiamente degli sforzi profusi per raggiungere la vetta.

Ottimi i ristori con Coca Cola, dolci, barrette, Red Bull, acqua, sali e frutta a disposizione dei biker, come ottima la loro dislocazione sul percorso (all'inizio e alla fine di ogni salita).

L'iscrizione è in linea con la media austriaca (40€), mentre il pacco gara comprendeva un borsello sottosella Vaude e un flacone di olio spray; nel dopo gara un pasta party 'classico' con pasta e bibita.

La Kitz Alp Bike, con il suo festival e i suoi eventi collaterali, è sicuramente uno degli eventi che non possono mancare nel curriculum di un biker: a sole due ore e mezza dal confine italiano, può essere l'occasione per scoprire un luogo simbolo dello sci che d'estate diventa un vero e proprio paradiso delle due ruote. Le attenzioni riservate alla cura del paesaggio e dell'ambiente, dei percorsi e della segnaletica, denotano una valorizzazione del territorio e dello sport come solo gli austriaci sanno fare, e dai quali si può solo che imparare.

Stefano De Marchi - www.solobike.it

Sito internet: www.kitzalpbike.at

Informazioni in italiano: www.bikeandmore.it

Fotogallery:
http://www.sportograf.com/bestof/1014/
http://magazin.radsportland.at/fotos.php?id=108  
http://nyx.at/bikeboard/Board/showthread.php?148614-Kitzalpbike-2011-Bildbericht
http://picasaweb.google.com/the.mtb.biker/KitzAlpBike

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