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Tour du Mont Blanc - Tappa #1

27/7/2012

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Courmayeur - Bourg Saint Maurice (43km. / 1400m. disl.)

Finalmente, dopo tanto fantasticare, anche il Tour del Monte Bianco è fatto: insieme ad altri sette amici abbiamo effettuato il famoso periplo della montagna più alta d'Europa. Assieme a noi un’ulteriore persona alla guida di un furgone di appoggio per il trasporto bagagli ed eventuale assistenza (comprese - ma che non si sappia troppo in giro... - numerose "trainate" di qualche sfaticato).

Arriviamo a Courmayeur con già un'ora di ritardo causa coda in autostrada. Parcheggiamo alle porte di Courmayeur e partiamo alla volta della Val Veny.

Per noi abituati alle Dolomiti, la prima cosa che salta all'occhio è che i ghiacciai, da queste parti, arrivano a quote veramente basse: appena entrati in valle iniziano infatti a vedersi le prime lingue di ghiaccio.
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La salita alterna rampe impegnative a lunghi pianori e falsipiani, sterrati a partire da quota 1650 (Pian de Lognan) da dove ha inizio anche il secondo strappo che conduce ai piedi del ghiacciaio del Miage, solo l'ultimo dei tanti fin qui incontrati. Poco più avanti la valle si apre a formare l'incantevole Lac de Combal. Su, in alto si intravede il Rifugio Elisabetta Soldini, nostra prossima meta.
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Raggiungere il rifugio non è per nulla semplice: la mulattiera si impenna di colpo e, complice il fondo un po' rovinato, l'incedere risulta piuttosto difficoltoso. L'ambientazione della Lex Blanche aiuta comunque a distrarsi.
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Al Rifugio il meteo inizia a farsi più minaccioso con tuoni e lampi in lontananza. Fortunatamente il temporale interessa le vette a sud senza bagnare la valle, per cui decidiamo di proseguire verso il Col de la Seigne, a quota 2510m..

All'inizio pedalabile, l'ascesa si fa più impegnativa addentrandosi nel Vallon de la Lex Blanche costrigendoci, dopo un guado, a proseguire per lunghi tratti a spinta fino alla vetta, toccando strada facendo la Casermetta de la Seigne, ultimo punto di appoggio prima della cima.
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Dalla vetta la vista si apre sul versante francese offrendo un panorama grandioso su tutta la valle sottostante e, in lontananza, su Le Chapieux nostra prossima meta.

La discesa è a dir poco entusiasmante, su un single track compatto e scorrevole che perde quota tra prati e rocce, offrendo ben pochi tratti impegnativi da affrontare a piedi. Tutto attorno, inutile dirlo, lo spettacolo delle montagne solcate da ghiacciai e torrenti.
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Nonostante perdiamo quota abbastanza rapidamente la discesa sembra infinita, eterna: tutta da guidare e tecnica al punto giusto, offre a ogni curva uno scorcio diverso.

La discesa termina nei pressi del Refuge des Mottets, uno dei pochi luoghi dove pernottare da queste parti. Si prosegue poi su sterrato fino a La Ville des Glacier, e da qui su asfalto a Les Chapieux.
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Les Chapieux avrebbe dovuto rappresentare la fine della prima tappa, ma essendo l'unico albergo presente (Refuge La Nova) tutto pieno abbiam dovuto proseguire la discesa fino a Bourg-Saint-Maurice, circa tredici chilometri più avanti e ottocento metri più in basso, dove le opportunità di pernotto non mancano.
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Venezia... by Bike?!?!?!

26/2/2012

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Ma che c’azzecca Venezia con la bici…. direte voi. Rii, rive e canali semmai si adattano meglio al pedalò, ma con la mountain bike dove vuoi andare… a Venezia?!?!?!

E invece… si può! Certo non è proprio semplicissimo, ma comunque molto più agevole di quanto si possa pensare. Non stiamo parlando di centro storico, ovviamente, ma di una parte di Venezia in parte dimenticata dal grande turismo di massa.

La meta è l’isola di Sant’Erasmo, la più grande della Laguna, situata a nord-est del centro storico e alle spalle del litorale di Cavallino-Treporti. Sicuramente i veneziani conosceranno le caratteristiche del luogo, ma la quasi totalità dei “foresti” probabilmente non saprà che sull’isola – conosciuta anche come “l’orto di Venezia – ci sono strade e ci gira pure qualche auto.

Dopo un bel po’ di tempo che l’avevo in programma, domenica scorsa mi decido e – con una mezza improvvisata – parto alla volta di Jesolo Paese da dove ha inizio il giro.

Lasciata l’auto nel vasto parcheggio di Piazzale Kennedy parto alla volta del fiume Sile, e una volta attraversato è sufficiente seguirne la sponda destra; dopo poco l’asfalto lascia il posto allo sterrato e ci si addentra in aperta campagna seguendo il corso d’acqua con ampie anse.
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Lungo il fiume (che qui scorre nel vecchio alveo del Piave, dopo essere stato deviato fuori dalla Laguna dai Veneziani per evitarne l’insabbiamento) avvistare animali non è affatto difficile: in pochi minuti attraversano la strada lepri, germani, aironi, fagiani e anche quello che dovrebbe essere un falco di palude.

Dopo circa dieci chilometri di pedalata agevole una chiusa segnala l’ingresso nel territorio di Cavallino.
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L’orientamento è piuttosto intuitivo e percorrendo le strade (deserte, vista la stagione) tra i cantieri navali e i primi alberghi e stabilimenti, giungo rapidamente alla spiaggia. Il faro del Cavallino segna l’inizio della lunga e per nulla semplice pedalata lungo il litorale.
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Mi aspettano ora quasi 15 chilometri di spiaggia: devo dire che nonostante tanti anni di pedalate… questa ancora mi mancava!!!
All’inizio sembra semplice: basta pedalare sul bagnasciuga laddove il fondo è più compatto, lambendo l’acqua ma senza bagnarsi; la velocità non è molto sostenuta ma comunque accettabile. Fosse tutta così, non ci sarebbero problemi.

E invece, ogni 2-300 metri un molo interrompe la battigia costringendo ad avventurarsi tra la sabbia più soffice e ovviamente impedalabile: dopo 7-8 di questi ostacoli la fatica inizia a farsi sentire. Cerco allora altre soluzioni, primo fra tutti il classico marciapiede di cemento a fine spiaggia… ma qui non c’è! In compenso c’è un muretto inclinato fatto di grosse pietre irregolari la cui sommità è abbastanza lineare da poterci pedalarci sopra (per la gioia di forcella e ammortizzatore).

Qua e là però il muretto sparisce, e allora ecco la scoperta inaspettata: ampie fette di spiaggia, probabilmente toccate dall’alta marea o più esposte al vento, risultato battute come - se non addirittura meglio! - del bagnasciuga... e procedere in bici si fa più facile del previsto! L’unica cosa da stare attenti sono degli scalini più o meno alti che interrompono le dune, costringendo ad usare un minimo di tecnica per non fare un treessanta in avanti.

Per il resto, una volta capito il trucco, basta cercare le zone di sabbia di tonalità intermedia, né troppo chiara né troppo scura, passando da una zona all’altra cercando di perdere meno velocità possibile.

Nel frattempo, il cielo che alla partenza era poco nuvoloso, ora si è fatto minaccioso e un lampo con tuono annesso non promettono nulla di buono.

Nel finale, avvistato il faro di Punta Sabbioni in lontananza, i moli spariscono e posso concludere la traversata litoranea con due chilometri e mezzo a ridosso del mare… tra gli sguardi perplessi e straniti di alcuni patiti del mare d’inverno.
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A Punta Sabbioni inizia a cadere la pioggia, che mi accompagna nel tratto asfaltato a fino a Cà Savio e poi al terminal di Treporti, dove dovevo prendere il vaporetto per Sant’Erasmo. “Dovevo”, perché il tratto sulla spiaggia (che mi aspettavo più semplice) mi ha portato via più tempo del previsto facendomi così perdere la coincidenza per 15 minuti.

Pazienza… mi rifugio dentro al bar bagnato e infreddolito (e la signora mi guarda con compassione… ma faccio davvero così pena?!?!?), mangio e bevo qualcosa e, in attesa del vaporetto successivo, ne approfitto per qualche foto.
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Finalmente arriva il vaporetto, Linea 13, e appena salito a bordo chiedo diligentemente al comandante di farmi il biglietto. Lui mi risponde che li ha finiti… quindi “mi tocca” viaggiare gratis. Bene, grazie ACTV!

Il viaggio dura solo pochi minuti , e l’idea di usare un motoscafo per fare un giro in bici è alquanto bizzarra…
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Lo sbarco all’isola di S.Erasmo, presso Punta Vela, è accolto dal sole che è tornato a splendere e a scaldare l’aria. Di fronte all’isola si trova l’ameno isolotto di San Francesco del Deserto, e più dietro si scorgono le skyline di Burano, Mazzorbo e Torcello.
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La direzione da intraprendere è molto intuitiva (c’è una sola strada…) e inizio il periplo antiorario dell’isola, lunga 5km e larga circa 500m.. Raggiungo ben presto il centro principale di S.Erasmo, dove si trovano chiesa, porticciolo e un bar, proseguendo poi verso l’estremità sud-ovest dell’isola percorrendo la stretta stradina tra campi e serre: l’isola vive infatti soprattutto di agricoltura e non a caso è nota anche come “orto di Venezia”.

Qui il turismo di massa sembra non essere ancora arrivato e si respira un’aria dismessa e solitaria come se il mondo si fosse dimenticato di questi luoghi così apparentemente isolati.

Nella punta estrema si arriva finalmente a scorgere il centro storico di Venezia, da cui svetta il campanile di San Marco, successivamente coperto dalle Vignole e dall’isola di Sant’Andrea Spostandosi poi sul lato opposto si S.Erasmo si incontrano l’unico hotel e uno dei due ristoranti presenti nell’isola, entrambi in prossimità della Torre Massimiliana, dalla caratteristica forma circolare e probabilmente la più importante testimonianza storica qui presente. Non approfondisco oltre, se siete curiosi date un’occhiata qui.

Il lato sud-est dell’isola è occupato prevalentemente da una stretta spiaggia lungo la quale, rialzato, corre un bellissimo single track sferzato dal vento.
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Si raggiunge così la punta nord, entrando senza problemi in un cantiere abbandonato dal quale si ha finalmente una vista su Burano e Mazzorbo. Sembra tuttavia che il tempo stia ancora per cambiare.
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Prima di rientrare a Punta Vela per prendere il vaporetto che mi riporterà a Treporti provo ad esplorare, un po’ a caso, le campagne circostanti scoprendo un breve ma bel sentiero che corre tra campi, argini, chiuse e laguna.

Ritornato all’imbarcadero attendo il vaporetto prendendo confidenza con l’innovazione tecnologica che ha cambiato la vita ai veneziani, creando gioie e dolori a milioni di turisti e non pochi problemi all’ACTV…. Il famigerato IMOB.
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Il cielo si chiude nuovamente e inizia a gocciolare… per fortuna sono al coperto e il vaporetto arriva presto. Una volta a bordo, chiedo ancora una volta al comandante il biglietto: questo mi guarda… guarda la bici… guarda me… guarda la bici… guarda l’orologio… si gira, mette in moto e parte! Altro viaggio gratis… grazie ACTV!!!

Nei pochi minuti di navigazione il meteo cambia radicalmente: le nubi spariscono e in cielo splende nuovamente il sole e inizia a fare caldo, molto caldo.

Da Treporti ritorno a Cà Savio e da qui imbocco la provinciale che costeggia la laguna nord, incontrando strada facendo una vecchia torre e… un grande animale.
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Il percorso, identificato anche da un itinerario ciclabile, abbandona finalmente l’asfalto raggiungendo Cà Ballarin su una comoda sterrata immersa nel silenzio. Proseguendo lungo la laguna, il tratturo riporta alla chiusa già incontrata al mattino: per passare sull’altra sponda del Sile, però è necessaria una breve deviazione sul trafficato ponte stradale, riprendendo poi l’argine sud del fiume tra canneti e reti da pesca.
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Il rientro a Jesolo è molto intuitivo (basta seguire l’argine) ma abbastanza difficile dato il forte vento contrario e il fondo poco battuto. Altri dieci chilometri e la gita finisce: arrivato a Jesolo la prima cosa che vedo è…. e non resisto. Ecco il risultato…
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Racconto, foto e report a parte… se avete una domenica da perdere, andate a fare questo giro, ve lo consiglio vivamente: non è vera e propria MTB, ma comunque è un tour sicuramente originale e diverso dal solito. Certo ricordate a fine uscita di sciacquare un po' la bici... sabbia e salsedine non è che gli facciano proprio bene...

Da evitare comunque i mesi più caldi, visto che di ombra se ne trova poca e alcuni tratti (S.Erasmo e argine di ritorno a Jesolo) potrebbero essere invasi dalla vegetazione. Autunno e inverno potrebbero essere i periodi migliori, anche per vedere il mare e la laguna da un punto di vista diverso.

Per quanto riguarda la spiaggia, se proprio non ve la sentite di farvela tutta, potete sempre seguire le strade asfaltate interne al litorale.

Il trasbordo da/per S.Erasmo studiatelo bene: con la bella stagione ci sono dei servizi potenziati, mentre negli altri periodi dell’anno le bici possono essere trasportate ma in numero limitato (non più di 3-4 per viaggio) e comunque dando la precedenza ai passeggeri. Per orari e tariffe consultate www.actv.it o il call center Hello Venezia allo 041.24.24.

Il viaggio Treporti-Punta Vela dura 13 minuti; partenza da Treporti ai minuti 25 di ogni ora, da S.Erasmo ai minuti 12.

Se volete pranzare a S.Erasmo, ci sono due ristoranti: Tedeschi nei pressi della Torre Massmiliana, e Vignotto a circa metà isola, sul lato est. Se posso consigliare: evitate assolutamente il primo, decisamente meglio il secondo.
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Piani Eterni - Dall'Inferno al Paradiso e ritorno

23/9/2010

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Tutta questa storia ha inizio leggendo (anzi, provando a leggere...) un articolo su BIKE di Ottobre riguardante, tra le altre cose, un certo Passo Finestra in Val Canzoi.

Nessuna idea ovviamente di dove fosse questa Val Canzoi, salvo poi scoprirla localizzata nelle Dolomiti Bellunesi. Bene: una location nuova, inedita, vicino casa... merita pertanto almeno una visita. Tuttavia quel pozzo senza fondo che è internet non riesce a dare alcun tipo di aiuto concreto sul dove-come-quando esplorarla "by bike": i Monti del Sole (e il Parco Dolomiti Bellunesi in generale) sembrano talmente selvaggi, inospitali e impervi che la mountain bike qui sembra veramente quasi off-limit. "Quasi" perchè la rete almeno un link lo sputa fuori: un sito di autoctoni che descrivono alcuni tour più o meno noti nella natia Valbelluna tra cui, oltre al Passo Finestra, anche dei certi "Piani Eterni" che - googlando qua e là - sembrano davvero speciali. Un vasto altopiano circondato da montagne e accessibile solamente con una salita da capre e/o rocciatori ma comunque più o meno ciclabile.

Raccolta la documentazione e analizzato le cartine non resta che caricare la macchina e, in un sereno giovedì settembrino, al posto di andare a lavorare partire invece con destinazione Valbelluna, località Cesiomaggiore; che - per chi non lo sapesse - è detta la "città della bicicletta" con un museo dedicato e le contrade del paese chiamate con i nomi dei corridori famosi. Strano, ma comunque caratteristico.
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Parte allora l'avventura, che alla fin fine si potrà riassumere in tre semplici punti:
a) 60% di asfalto
b) almeno 1 ora a piedi in salita
c) discesa più o meno ciclabile a seconda del pelo sullo stomaco...

Si va, quindi: Cesiomaggiore, Cesiominore, Toschian... e in neanche quattro chilometri si è all'imbocco della Val Canzoi, quota 450 s.l.m, e si inizia a salire verso lo scollinamento che sarà a....1850 s.l.m..

La strada di fondovalle è bella, facile, comoda, deserta affiancata ogni tanto da quella che sembra essere una pista ciclabile in costruzione... prefabbricata e sopraelevata due metri sopra il livello del bosco. Boh, contenti loro...

Al Rifugio Boz la strada sale vertiginosa su due tornanti fetenti ma la cosa dura poco, difatti ecco il Lago artificiale della Stua. E "Stua" non a caso vuol dire diga. Dopo poco più di dieci chilometri una breve sosta rifocillante ci sta tutta: banana, barretta, borraccia... e un autoscatto, dedicato a tutti coloro non possono essere presenti. Voi pensate a produrre P.I.L... anche per me!
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Finalmente l'asfalto lascia il posto allo sterrato, quello pianeggiante del lungolago, fino all'altro capo del lago. Ponte in legno pericolante e... si sale. Letteralmente. Senza mezzi termini. 900 metri di dislivello in meno di cinque chilometri: la calcolatrice dice quasi 20%. Togliendo i falsipiani e qualche tratto facile... la pendenza media si potrebbe assestare, così a spanne, sul 25-28%. Roba da matti. Da salire con corde e moschettoni. Un vero e proprio INFERNO.

Seppur il fondo compatto e/o cementato sembri spesso pedalabile, una volta il brecciolino e una volta qualche sassone, ora la radice e dopo la buca... alla fin fine prima o dopo la salita "in piedi" tocca farla "a piedi". Impensabile restare sempre in sella: si potrebbe pedalare per il 60-70%, ma solo con buona gamba e buona tecnica e buon equilibrio e... buona fortuna. Verso metà salita la pendenza sembra farsi più umana e la speranza di pedalare un po' fa nuovamente capolino, ma una successione di tornanti fa tornare con i piedi per terra... nel vero senso della parola.

Una serie assurda di tornanti, uno dietro l'altro, incastrati tra alberi e rocce da mandate in tilt pure il GPS, con pendenze da capottarsi, con fondo disastrato da faticare pure a piedi, appare d'incanto davanti agli occhi. Con un po' di porchi, un po' di santi, e soprattutto un bel po' di pazienza, pure questa è fatta.

Dopo il bivio per Val porzil la muscia cambia: la strada abbarbicata sulla roccia presenta ora un fondo perfetto, pendenze accettabili e spettacolari panorami sulla Val Canzoi. Ma il bello deve ancora venire: ecco difatti l'ennesimo - e per fortuna ultimo - muro; finalmente la strada spiana: un po' di discesa, qualche saliscendi, un altro muro fetente, un po' di piano... e iniziano pure a intravedersi le alture dei Piani Eterni. Era ora.
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Con una veloce discesa si arriva ai prati dei Piani. Lo spettacolo è sublime, grandioso, eccezionale. L'enorme pianoro è circondato su tre lati da montagne più o meno elevate, costellate di rocce, praterie, boschi e baranci che nulla hanno da invidiare ad altre più blasonate ambientazioni d'alta montagna. E qui siamo solo a quota 1600 s.l.m..Se la salita di prima era l'INFERNO, questo è senz'altro il PARADISO.

Tanto per avere un'idea, date un'occhio alle foto panoramiche di bellunovirtuale.com
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In mezzo ai prati ci sta pure un punto di riparo, Malga Erera, oggi chiusa ma - sembra - solitamente aperta durante l'estate. Altri escursionisti si crogiolano al sole, e appena vedono sto imbecille arrivare fin lassù in bici scattano subito con la classica domanda retorica di rito "Era dura la salita?!?!?" accompagnata dal solito sorrisetto "Ma quanto scemo sei?!?!?! Non c'hai altro di meglio da fare?". Si a quest'ora avrei dovuto essere a lavorare...

Comunque...alla malga c'è pure una quanto mai provvidenziale fontana e un bel po' di panchine dove oziare beati. Poi però arriva l'ora per ripartire: ancora in salita, ovviamente, sull'802 verso Forcella Pelse (quota 1847 s.l.m.) e poi, molto più tardi, alla misteriosa California.
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Qui la pendenza è decente, ma il fondo fa pena: nell'attraversare un ghiaione non c'è altro verso di proseguire che a piedi, ma comunque i 150 metri di dislivello dalla malga alla forcella passano veloci, complice pure lo scenario circostante.

Ha perciò finalmente inizio la discesa, che all'inizio è larga e scorrevole conducendo in un battibaleno alla malga Campotorondo. Ed è qui che finisce il PARADISO e ricomincia l'INFERNO.

Il sentiero entra nel bosco e non vi uscirà più fino a fondovalle, dieci chilometri e 1100 metri di dislivello più sotto: all'inizio mediamente largo ma pieno di sassi irti e smossi, poi stretto e tecnico, poi ripido e tortuoso... una goduria. O un'agonia. Dipende dai punti di vista. Perchè se come nei videogiochi hai "tre vite" e due te le fumi subito, è ovvio che la picchiata si trasforma in un'angosciante attesa di arrivare in fondo... sani, salvi, integri... e magari in bici. Se "vite" sono le camere d'aria, che alzano bandiera bianca due volte in un chilometro con dei "pffffffff" liberatori, ecco che tutto si spiega.

Fatto sta che, comunque, la discesa verso California è un piatto per palati fini. E escursioni generose. E gente con manico. Rocce, sassi, piccoli drop costellano la parte alta del sentiero. Ogni tanto qualche settore più agevole permette velocità più alte, ma per portare a casa la pelle ci vogliono calma e sangue freddo. E soprattutto occhio, magari a qualche roccia bagnata nascosta tra l'erba pena volare a pelle di leone... col rischio di farsi male... nel mezzo del nulla... lontano da tutto e da tutti. Stavolta è andata bene, per la prossima... maglio non pensarci, e scendere con prudenza. E nel dubbio a piedi.

Finalmente i sassi lasciano il posto al sottobosco. Il trail si innesta su quella che sembra essere una mulattiera, poi però alcune frecce sugli alberi indirizzano ancora su sentieri stretti. Quota 1300 s.l.m.: inizia il divertimento.

Il fondo di foglie e terriccio è finalmente compatto e sicuro e permette di prendere qualche rischio in più. Si alternano senza soluzione di continuità tagli veloci e successioni infinite di tornantini. Ogni tanto c'è il ritorno di qualche pietraia (visti i precedenti meglio a piedi) ma per il resto a complicare le cose c'è ora la pendenza.... bella tosta. Da mettere in crisi i freni. E intanto si scende, tornantino dopo tornantino, facendo attenzione a non volare di sotto (appunto... secondo volo di giornata). Alla in fin fine, un po' per la fatica della salita, un po' per la fatica della discesa... ci si inizia a rompere un po' i cogl... e chiedersi... ma quanto manca?!?!? "Ancora 300m." dice Mr. Garmin. Che però va nel pallone. Per fortuna il sentiero è evidente e intuitivo, non si sbaglia neanche a occhi chiusi.
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All'improvviso dalla vegetazione appare dal nulla una mulattiera... fatiscente, sconnessa e disastrata. Poi di colpo un fienile diroccato. Poi una grande casa. Ci manca solo che appaia John Locke e il Mostro e possiamo farci l'ottava stagione di Lost.
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Si tratta in realtà di quel che resta della misteriosa città fantasma di California, la “montagna dimenticata”: il paese nacque sull'onda della febbre dell'oro che qui si scatenò a inizio '900 con l'apertura di miniere. Doveva essere il paese della cuccagna, la "California" bellunese. E invece le miniere si esaurirono presto e il posto tentò di crearsi un futuro turistico. Il colpo di grazia lo diede l'alluvione del 1966 che spazzò via quel poco che era rimasto.

La sterrata – finalmente decente – che corre a fianco del torrente Mis porta direttamente all’imbocco della Valle del Mis. Da qui a Cesiomaggiore saranno venticinque chilometri di solo asfalto, prima tra le buie gallerie della valle, poi a fianco del lago, quindi sui saliscendi poco frequentate dell’alta Valbelluna tra Sospirolo e San Gregorio, compresa l’odiosa salitella a tornanti di Carazzai.

All’arrivo a Cesiomaggiore risultano circa 58 chilometri e 1850 metri di dislivello percorsi in oltre sei ore... più meno le stesse rubate al lavoro!
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